
Girato all’interno di una vera prigione in Giordania ed ispirato ad una storia vera, il film racconta l’occupazione israeliana da un punto di vista tutto particolare, quello della prigione, che diventa emblema e simbolo della Palestina sotto occupazione. Anche la società israeliana viene raccontata nelle sue molteplici sfaccettature: la regista Mai Masri accosta l’aspetto più disumano dell’occupazione, rappresentato dalla direttrice del carcere senza scrupoli, ad uno più empatico, impersonato dall’avvocata della protagonista, una israeliana il cui figlio è morto in un attacco palestinese.
Il film è ambientato in Cisgiordania negli anni Ottanta e racconta la storia di Layal, una giovane palestinese insegnante di scuola che viene messa in un carcere israeliano con l’accusa, falsa, di favoreggiamento al
terrorismo. Layal dovrà trascorrere i prossimi otto anni in prigione, i 3000 giorni del titolo. Poco dopo il suo ingresso in carcere, Layal scopre di essere incinta e decide di tenere il bambino. Il piccolo Nour (Luce, in arabo) passa i suoi primi anni di vita circondato dalle compagne di cella di Layal, che diventano per lui una comunità di madri affettuose e premurose.