ROMA – DALLA LEGGE 40 ALLA SURROGA – Al seminario nazionale UDI del 18 marzo 2017
Molto bello il seminario!!! Brava Vittoria (ndr . Vittoria Tola e Laura Peretti sono le responsabili nazionali dell’UDI che ha organizzato questo seminario) che tanto ci hai lavorato!!
Nel febbraio del 2004 con un Seminario dal titolo: Generare oggi: le donne fra il desiderio e la norma, UDI rifletteva sulla legge 40, approvata dal parlamento e avviata ad essere oggetto di referendum parzialmente abrogativo.
Attraverso le relazioni di apertura e dal dibattito emersero temi quali senso del limite, desiderio e diritti, integrità del corpo femminile, leggi e progresso scientifico, governo da parte delle donne del progresso scientifico, scelta informata, autodeterminazione, assunzione di responsabilità.
Da allora e anche successivamente, UDI scelse di combattere apertamente e senza riserve la legge 40, compreso il divieto di fecondazione eterologa, pur continuando a non sponsorizzare, come elemento di “libertà” senza se e senza ma, tutto il meccanismo di “procreazione assistita”, sapendo di quanti se e di quanti ma, in realtà, esso fosse disseminato.
Non era il tempo dei distinguo. Il micidiale intreccio della legge 40 si sviluppava attorno all’articolo 1, quello dei diritti di persona attribuiti all’embrione, per rispettare i quali (no al congelamento degli embrioni, no all’indagine pre-impianto) si sceglieva di danneggiare scientemente le donne, più di quanto già lo facesse la pratica della fecondazione medicalmente assistita, in sè. Infine che le coppie sterili e/o portatrici di malattie genetiche non potessero accedere alla PMA fu discriminazione insostenibile dal punto di vista giuridico, come si è poi visto dalle varie sentenze successive.
Che piacesse o no, l’eterologa pareva il limite estremo o almeno spinto molto avanti, di un desiderio che si poteva anche discutere, ma che non autorizzava una legge a dissuadere in modo così rozzo, ideologico e misogino. Nei nostri documenti e riflessioni, giunte a questo punto, spesso aggiungevamo, la nostra contrarietà “alla pratica dell’utero in affitto”, messa tra virgolette perchè, in definitiva era proprio tra virgolette. Pareva lontana, numericamente scarsa, da citare velocemente solo per porre un limite che a noi (o almeno a molte) non sembrava valicabile.
Non era tempo di distinguo, si diceva, perchè era anche tempo di Storace ministro della Sanità, della demonizzazione/demolizione dei Consultori come luoghi mortiferi a causa della legge 194, (su cui l’articolo 1 della legge 40, poneva ipoteca), dell’obiezione di coscienza deregolata, protetta e favorita in ogni modo (allora come ora, si può ben dire), era il tempo del blocco della sperimentazione della RU486 a Torino, espediente (quello della sperimentazione, visto che era diffusa in tutto il mondo già da cinquant’anni) dell’equipe del dott. Viale per poterla finalmente introdurre anche in Italia.
Cosa che accadde di lì a pochi anni (2009) perchè l’AIFA diede il via libera alla commercializzazione in Italia e i pretoriani dell’embrione non poterono farci nulla. Sappiamo però che cosa succede ancora oggi in molte regioni, quanti ritardi e difficoltà attorno all’aborto farmacologico e non solo quello, mentre la smobilitazione dei consultori non si è fermata, la legge 194 è “diversamente applicata” o non è applicata affatto, le giovani donne, sempre più precarie, debbono ancora scegliere se lavorare, sempre che trovino un lavoro, o diventare madri.
Su tutto ciò l’ UDI ha avviato la campagna Adesso Basta, tutt’ora in corso.
Il 2005/6 vide infine l’immensa mobilitazione per la legge 194 promossa da Usciamo dal silenzio a cui UDI aderì convintamente, nonostante il titolo; qualcuna di noi partecipò alle manifestazioni con una maglietta che recava scritto “mai state zitte”.
Il referendum contro la legge 40 andò deserto soprattutto per la massiccio discesa in campo delle gerarchie ecclesiastiche. Se il bersaglio della legge 40 e del partito dell’embrione erano le donne, bisognava da bersaglio diventare tiratrici scelte: mettere il nostro corpo generativo al centro di varie questioni e mirare da lì contro omissioni, ritardi, emarginazioni.
La legge 40, inapplicabile in uno stato di diritto e laico, fu in varie parti smontata dai TAR a cui le coppie si rivolsero, ma il dibattito scaturito dalla sua asprezza aveva risvolti potenti.
Ben sapendo infatti che la legge 40 era stata votata anche dalle maggioranza delle donne presenti in Parlamento, l’eccesso di misoginia e disprezzo che da essa trasudava chiariva inevitabilmente che molte più donne in Parlamento avrebbero fatto la differenza. La spudoratezza della legge 40, in aggiunta alla sempre nominata e mai risolta questione della scarsa rappresentanza delle donne nei luoghi decisionali, fu inaspettato motore per spazzare via il concetto di quote e approdare direttamente a quello di Democrazia paritaria (vedi campagna 50E50 ovunque si decide del 2007 e raccolta di firme, più di 120.000, per una legge di iniziativa popolare Norme di democrazia paritaria per le assemblee elettive.
E anche sulla violenza, che proprio in quegli anni incominciammo a chiamare femminicidio, con l’iniziale, serrata polemica contro la stampa e i media che continuavano a parlare di amore distorto, disperato e contro il generale giustificazionismo “verso il povero uomo fragile che era stato lasciato e non lo aveva sopportato”, ancora una volta ci mettemmo lì nella nostra interezza, a rivendicare una cultura paritaria, fra i generi, nella famiglia, nella società, nelle politica, nella pubblicità, nella scuola, nei libri di testo, cultura che sola poteva fornire reale prevenzione contro la violenza.
Fra il 2008 e il 2012, le campagne Stop femminicidio, la Staffetta di donne contro la violenza contro le donne, Moratoria contro le pubblicità sessiste, Immagini amiche, e No More, convenzione fra soggetti diversi per impegnare le istituzioni in reali piani contro la violenza, mai hanno riguardato altro che non fosse il diritto di cittadinanza delle donne, declinato su vari temi, ma considerato a 360 gradi. E oggi siamo dentro al movimento non una di meno con l’obiettivo di un Piano nazionale femminista contro la violenza .
Il desiderio di maternità o indotto o conculcato, è spesso lontano dall’autodeterminazione ed da un qualsivoglia concetto di libertà, e le donne nella loro vita si trovano a fare i conti sia con gravidanze non desiderate che con un desiderio di maternità che non può essere soddisfatto. Intrecciando la sterilità, che allora era alla base della discussione attorno alla PMA, alla precarietà di vita e di lavoro delle donne (la precarietà rende sterili, slogan 8 marzo 2006), abbiamo preteso di parlare dei corpi delle donne anche quando parliamo di lavoro, di economia, di politica, di accesso alle risorse, di scienza e di tecnologia. Ma proprio riferendomi all’articolo 1 della legge 40, chiarendo il concetto di “primato della madre” che andavamo delineando con sempre maggiore incisività, mi sono ritrovata in una conferenza stampa al Senato, del gennaio del 2008, a dire “perchè è il consenso materno che porta dal concepimento alla nascita di una persona, perchè il processo del nascere non può prescindere dal corpo della donna che accoglie”.
Ancora non facevamo i conti con il fatto che il corpo della donna che accoglie potesse non essere il corpo di chi ha deciso la maternità, tanto meno che il desiderio tutto maschile di paternità diventasse invece una maternità.
Oggi il dibattito sulla surrogata, introdotto per impedire la legge sui diritti civili, mescolandolo, ma al contempo confondendolo deliberatamente con la adozione di bambini già nati, è comunque andato avanti anche per la globalizzazione delle informazioni. Così succede che quello che accade nel mondo sembri dietro casa, ma anche che quello che è dietro casa ci sembri lontanissimo.
Sulla gestazione per altrii si è aperto un capitolo controverso anche fra le donne, anche nell’UDI. Le controversie in parte dipendono anche dal grado di conoscenza del fenomeno, dalla discordanza dei dati e delle informazioni che vengono date, infine dalla consapevolezza o meno di alcune sue implicazioni sulla salute delle mamme surrogate e delle bambine e bambini nati, conoscenze che con questo seminario vorremmo per lo meno contribuire ad aumentare.
Ci si confronta anche su importanti questioni di principio e, perchè no anche su emozioni in genere attraverso i media. Ricordiamo la fila di mamme surrogate nepalesi in mezzo al terremoto e la forza armata israeliana che portava in salvo i bimbi/e “israeliani”, ma anche, di contro, immagini di padri surrogati in sala parto, in lacrime, commossi, con il figlioletto in braccio, emozionati, amorosi.
Secondo me bisognerebbe tenersi fuori dalle questioni emotive e, persino dalle questioni di principio, per quanto si può. Immagino che suoni strano dirlo, ma penso che di fronte all’unica vera certezza e cioè che si tratta di un mercato floridissimo, in cui possono anche entrare, ma solo come ospiti, questioni di principio, commozione, amore, generosità, solidarietà, ci sono argomenti più “grigi”, più “terra terra”, ma più certi su cui puntare, per discutere.
Che cosa c’è di diverso fra difendere, come facemmo con la fecondazione eterologa, il progresso scientifico (o per meglio dire la tecnologia in campo biologico), chiedendo comunque autodeterminazione e scelta informata, e il disgusto per il dilagare di una pratica che immette su commissione un embrione geneticamente estraneo in un corpo di donna, salvo poi riprenderlo a fine gestazione e consegnarlo ai genitori affittuari? Almeno una cosa e non di poco conto, non tanto di principio, come si diceva, ma dirimente: chi desidera non è la gestante, che si offre per un desiderio e una necessità altra da sè.
Il fatto che avvenga a pagamento, con intermediari terzi, e che questo comporti la certezza della servitù economica, almeno nella maggioranza dei casi, è gravissimo, ma così come sono gravi gli stupri di guerra, la tratta, e le infinite forme di schiavitù economica, dalle più politicamente corrette alle più brutali, a cui le donne del pianeta sono sottoposte,
Qui di specifico c’è altro: manca uno stato di necessità ( a parte la questione economica) da parte di chi si sottopone a questa pratica, manca il senso “del male minore”, quello che ci fa affrontare anche un’interruzione di gravidanza, manca infine, e vale per tutto, un desiderio. Gestazioni per altri è davvero la parola giusta, per altri da sè, nessun vantaggio personale, nessun sogno, nessun desiderio in proprio, nessuna scelta che può sostenere anche lo strazio della PMA, compresa l’eterologa.
E’ molto importante conoscere i danni fisici che dalla gestazione per altri possono derivare sia ai nati che alle mamme surrogate, è importante perchè il discorso diventerebbe meno scontato e ideologico sul fronte del sì o del no e più semplice in tutti suoi aspetto, compreso quello giuridico. La domanda potrebbe infatti essere: ma davvero si può fare? siamo sicure? Perchè rischi e danni psicologici le donne li hanno sempre affrontati per poter avere una vita sessuale libera, una maternità consapevole, perfino la contraccezione prima maniera, quella di tanti anni fa, faceva male, ma la praticavamo lo stesso. La libertà della scelta era proprio per la ricaduta positiva su di noi, ma ora se danno fisico c’è e non c’è un valore aggiunto, se il valore aggiunto è solo denaro che differenza c’è rispetto a vendere/ acquistare un rene, un occhio, un polmone, cosa che almeno ufficialmente non si può fare in nessun paese?
Siamo in un paese che non consente la maternità surrogata, ma attorno a noi accade, siamo soddisfatte dei pronunciamenti europei in merito, tuttavia proprio per la potenza del mercato, potremmo trovarci a doverci esprimere con sempre più chiarezza. Sulla maternità surrogata non vedo però spazio per campagne, tantomeno crociate. Credo che UDI abbia fatto molto bene a mettere la sua posizione avversa dentro ad una Piattaforma a vasto raggio “Per una contrattazione di genere”, Piattaforma che presto presenteremo anche con un’iniziativa pubblica. Non vogliamo parlare di maternità surrogata se non, contestualmente, anche di libertà femminile, autodeterminazione, diritti di cittadinanza da esercitare pienamente. Eviteremo così ogni possibile accostamento con gli orridi difensori della famiglia naturale, della procreazione naturale, della donna naturale, e tutto l’armamentario degli integralisti prolife. La maternità surrogata è parte nientemeno che del più vasto problema che riguarda nuove forme di schiavitù, non solo femminile, legate spesso allo sfruttamento economico di una parte del mondo sull’altra, ma anche degli uomini sulle donne. Qualcuna di noi la accosta alla prostituzione. Ancora una volta, invece di fare da bersaglio, spostiamo da noi il tiro e poniamo domande.
Nella maternità surrogata, vedo soprattutto donne affittate. Non riesco, anche se dovrei, mettere meglio a fuoco bambini e bambine, se non proprio per le questioni di salute. E’ che non trovo le parole, se non pensando alla donna che affitta il suo corpo, per definire come “brutta” una nascita “diversa” rispetto a quella naturale, con un papà e una mamma, la questione della natura non mi aiuta. In natura tutti fanno figli con tutti, anche i violenti, assassini, pedofili, stupratori, quelli che poi uccideranno la madre dei loro figli, quelle e quelli che non dovrebbero mai averne, perchè non saranno buoni genitori, anche se naturali. Il bene supremo dei minori mi sfugge nella maternità surrogata come in altre maternità o paternità “diverse”. Mi affido ad una legge che, come il progresso scientifico, vorrei capire e governare, ma non parlatemi di natura o almeno non con troppa enfasi.
Nella maternità surrogata lo stato di necessità che aiuterebbe ad accettarla c’è solo da parte delle coppie affittuarie, necessità per sè, ovvio. Dunque questa pratica sembra riportare alla luce l’uso dell’utero di carattere servile, una gestazione per altri che le schiave facevano nell’antichità per dare figli al padrone o alla padrona.
In quelle maternità, dove in assenza di tecniche, tutto era naturale, la madre in quanto schiava, però, giuridicamente, non esisteva. Nella gestazione per altri il meccanismo è lo stesso con tutte le sostituzioni che la tecnica può fare rispetto ai reali gesti dell’agire umano. Se non che, almeno per ora, sempre da un seme maschile e da un ovulo femminile e da un utero materno si sviluppa la vita umana. Che l’utero materno sia un vuoto a perdere ora come allora è segno di schiavitù.