ROMA – Insieme per la giustizia sociale – Non è giustizia senza cittadinanza
Articolo di Grazia Naletto
— Eguaglianza e giustizia sociale sarebbero ottimi anticorpi contro la diffusione della xenofobia e del razzismo. Sarà questo il messaggio che sarà lanciato oggi sabato 21 ottobre a Roma in una manifestazione nazionale che renderà visibile quella parte della società italiana che non si riconosce nelle urla e nelle violenze xenofobe e razziste, e neppure nell’approccio prevalentemente securitario delle politiche migratorie e sull’asilo. Sono 5 milioni i cittadini italiani residenti all’estero secondo i dati diffusi ieri dalla Fondazione Migrantes nel Rapporto Italiani nel mondo. Solo nel 2016 sono partiti per l’estero circa 120mila connazionali, di cui 48 mila sono giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. 5 milioni e 47mila sono anche i cittadini stranieri residenti nel nostro paese.
Sono arrivati in Italia negli ultimi 40 anni, in grandissima parte per motivi di lavoro: qui vivono, studiano, lavorano stabilmente. Sono ormai parte integrante della società italiana. Tra loro vi sono anche i figli e le figlie della migrazione, nat* e cresciut* in Italia da genitori stranieri e che il nostro paese si ostina a non voler riconoscere come propr* cittadin*, negando l’approvazione della riforma sulla cittadinanza. In tutto dieci milioni di persone di cui si parla pochissimo.
Un dibattito pubblico distorto preferisce rimuovere le cause strutturali che inducono gli uni e gli altri a lasciare i propri paesi per concentrarsi sulle “invasioni”, sul numero di persone che arrivano sulle nostre coste e sul “peso” insostenibile che eserciterebbero sul nostro mercato del lavoro, sul sistema di welfare e sulla finanza pubblica, sulle distorsioni del nostro sistema di accoglienza e sulle proteste popolari (molte delle quali spontanee solo in apparenza) che ne rifiutano l’esistenza e l’estensione. “Non possiamo permetterceli”. È questo il messaggio che grazie a una propaganda serrata delle destre nazionali ed europee, alla miopia politica di chi governa l’Italia e l’Europa e alla sudditanza culturale delle forze politiche democratiche e di sinistra, ha ormai fatto breccia in una buona parte dell’opinione pubblica.
Così, diventa “normale” ritrovare i cartelli “non affittasi agli immigrati”, istituire linee di autobus separati per i richiedenti asilo, picchiarli per strada e filmarli per ostentare online la violenza più brutale, persino rinchiudere due donne rom in una gabbia colpevoli di aver rovistato tra i rifiuti di scarto di un supermercato. E diventa troppo spesso “normale” uccidere: sono almeno undici gli omicidi razzisti documentati negli ultimi due anni.
La verità è che la costruzione tutta politica di una relazione di competizione tra i diritti dei cittadini nazionali e dei cittadini stranieri serve a distogliere il nostro sguardo dalle diseguaglianze economiche e sociali che crescono, dall’impoverimento che attraversa le nostre vite, dalla sfiducia nelle istituzioni che si è radicata nel nostro comune sentire, dalle scelte politiche che trasformano i diritti sociali garantiti dalla nostra Costituzione in privilegi per pochi garantiti ai soliti noti. La nostra società ha fame di giustizia sociale ma non la trova. Questo è il punto. E per questo attecchiscono facilmente i messaggi xenofobi e razzisti.
Servirebbe riorientare il nostro sguardo dalla parte giusta e tornare a riconoscere che una persona è una persona è una persona, dovunque sia nata. E che nessuno al mondo ha il diritto di negare a chicchessia il diritto a costruire per sé e per la propria famiglia un progetto di vita. Servirebbe tornare a pretendere politiche economiche, sociali, sul lavoro e un impiego delle risorse pubbliche capaci di permetterci di vivere bene. La competizione con chi si trova in una posizione lavorativa, economica, sociale o giuridica più fragile non migliorerà le nostre vite.
Sono l’umanità, la solidarietà, la contaminazione, il dialogo e la comune ricerca di un modello di relazioni capaci di rispettare ciascuno e ciascuna le chiavi del nostro futuro. Attraversano già molti spazi collettivi, le nostre scuole, i luoghi di lavoro, i quartieri delle nostre città con pratiche promosse dal basso che raramente ricevono gli onori delle cronache. Per questo li racconteremo a Roma sabato prossimo.