ROMA – la Casa Internazionale delle Donne è un logo politico un luogo di incontro delle culture femministe, non un centro assistenziale
La giornata di ieri, 21 maggio, ha avuto due momenti topici: la conferenza stampa mattutina al Senato dove la Casa internazionale delle donne ha incassato riconoscimento, apprezzamento e solidarietà e il presidio pomeridiano al Campidoglio durante l’incontro del Direttivo della Casa con la Sindaca terminato con qualcosa che è peggio del nulla di fatto poiché evidenzia la coesione della maggioranza di cui la mozione di Gemma Guerrini è un’espressione e ribadisce il tradizione approccio che abbina il termine “donna” sempre e solo a situazioni di violenza, debolezza, emergenzialità di salute e di stato sociale.
Leggere le dichiarazioni della nostra Sindaca su fb sulle diversamente “meritorie” associazioni che si occupano di tragedie quali la disabilità, la povertà, l’autismo, il bullismo, il femminicidio ecc, da inserire nella “nuova gestione” di una Casa “riallineata alle esigenze del Comune”, è un salto all’indietro di un oltre un trentennio quando erano in atto tentativi di trasformare il Governo Vecchio, prima sede politica del femminismo romano, in una struttura assistenziale. Le prime a denunciare la solitudine femminile, l’abbandono e le violenze, l’assenza di sostegni che non fossero pietistici e a valorizzare la parola “cura” sono state le femministe, non riducibili a una sola generazione politica né liquidabili come superate o fallite.
Le donne, ovunque, con grande fatica, contando innumerevoli martiri del sessismo e delle culture tradizionali, stanno maturando libertà personali e collettive ed è il femminismo, nelle sue declinazioni plurali, l’unico movimento che riguarda più di tre miliardi di persone e coinvolga tutte e tutti.
Per questo la Casa è “internazionale”, come affermato nel primo statuto dell’Associazione Federativa Femminista Internazionale (Affi) che sostanziò, insieme al Centro Femminista Separatista (CFS), il percorso del Progetto formalizzato dalla Commissione comunale presieduta da Pasqualina Napoletano, con Rutelli sindaco:
“Le donne che hanno occupato il palazzo del Buon Pastore sono le stesse che in questi anni hanno impegnato il proprio tempo e la propria esperienza per fondare una realtà cui tutte le donne possano riferirsi. Al fine di creare un Centro romano, nazionale ed internazionale ove le donne possano, attraverso pratiche ed esperienze diverse, divenire un punto di identità forte e di ricchezza di genere che conquisti sempre più spazi alla libertà femminile in tutti i campi della vita politica, culturale, sociale e affettiva.” (1992)
Successivi statuti di associazioni ed enti gestionali nella Casa hanno sempre rilanciato questo assunto politico.
Chiedersi chi ne abbia paura è pleonastico. Rimane il non senso che l’attacco alla Casa avvenga tramite una Commissione delle Elette nata da un forte patto tra donne fuori e dentro le istituzioni e talmente trasversale da contare il voto decisivo della consigliera comunale Anna Teodorani, del MSI, per l’elencazione del Progetto Casa internazionale delle donne tra le opere previste per il Giubileo.
Ci si chiede dunque, perché mai la progettualità della Sindaca, del M5S e dell’odierna maggioranza comunale, non possa legittimamente esprimersi in un indirizzo diverso da Via della Lungara 19.
Forse il Comune non ha spazi da utilizzare diversi dall’unico palazzo romano, d’altissimo valore simbolico per essere stato, dal 1619 al 1983, espressione di politiche d’omologazione e d’oppressione rivolte alle donne e oggi riscattato, dalle grammatiche politiche femministe, a luogo emblematico di presa di parola, autodeterminazione, riconoscimento delle lotte e del portato delle generazioni femminili del passato e laboratorio che individua e consegna diritti e libertà alle odierne e prossime generazioni?