ROMA – “la Casa non si tocca, è delle donne, s’illude chi spera di farcela lasciare, siamo pronte a una nuova occupazione”.
Congestionato il traffico intorno alla Casa Internazionale delle Donne per l’assemblea cittadina indetta dal Direttivo dell’APS omonimo prima che montasse lo stupore, la rabbia e lo scandalo dell’aut aut del Comune, pagate o vi sfrattiamo. Affollata come poche altre volte si è vista la Sala Carla Lonzi dove, all’intervento iniziale della presidente dell’Asp, Francesca Koch, è seguita una carrellata d’interventi a sostegno e consiglio sul da farsi. Questa mattina il Direttivo incontrerà l’Assessora al patrimonio che si è detta disponibile a un confronto per la sospensione dell’atto e la riapertura delle trattative. Il Direttivo ha chiesto che nel mentre non ci siano azioni dimostrative quali quelle ventilate da più parti ma rimanga alta l’attenzione che in questo momento raccoglie solidarietà nazionale e internazionale: es. la campagna di firme – 25.00 quelle raccolte in pochi giorni dalla Casa delle donne di Bari con l’ambizione di portarle a 100.000, 4000 solo quelle delle Casa delle donne di Torino – una profusione di messaggi, una mobilitazione trasversale a partiti e altre istituzioni italiane ed europee. Da un male è nato un bene, la riemersone del percorso carsico femminista, un circuito virtuoso tra generazioni disposte a lottare: “la Casa non si tocca, è delle donne, s’illude chi spera di farcela lasciare, siamo pronte a una nuova occupazione”.
L’assemblea ha concordato sulla matrice politica, al femminismo, il tentativo di sfrattare l’Asp e le altre realtà presenti nell’ex Buon Pastore perché è impensabile che non sapesse impossibile riscuotere subito somme esorbitanti, con cancellazione della sede storica del femminismo degli ultimi trent’anni (dopo Governo Vecchio) e di una sede carica di simbolico, che dal ‘600 è abitata da comunità femminili, laiche e religiose, dal 1983 femministe. Un edificio legato alla storia delle donne di tre Stati (Stato della Chiesa, Regno d’Italia e Repubblica Itliana), riscattata e migliorata dal femminismo “che si è fatto carico del benessere delle donne e della società”.
“La vostra presenza è di grandissima importanza; ci nutre e ci dà coraggio in questa ultima, speriamo, fase del rapporto con l’Amministrazione comunale che sappiamo lunga” ha detto Koch, ringraziando tutt* e ricordando, tra i messaggi di solidarietà, quelli delle Donne evangeliche, di esponenti del Forum del Terzo Settore, della Fiom e Cgil, ecc., “…abbiamo bisogno che il vostro sostengo duri nel tempo; vi terremo informat* nei modi più trasparenti e, passo passo, vedremo di superare questa vicenda e trovare soluzioni. Contestiamo l’idea circolante che in questa Casa ci siano delle privilegiate che godono di un bene pubblico danneggiando la collettività mentre questa Casa vive sulle nostre spalle e apporta vantaggi alla collettività. Rifiutiamo quest’interpretazione gretta della nostra realtà mentre non possiamo contestare che sia una realtà che costa, con una gestione sana che mantiene le lavoratrici, per cui siamo rimaste indietro nei pagamenti. Siamo state noi le prime a chiedere un confronto con l’Amministrazione. La Casa, assegnata nel 2001 e poi nel 2003, aveva aumentato le sue potenzialità e speravamo in un nuovo accordo sempre sulla base di un reciproco riconoscimento. Sotto la Giunta Marino è stata fatta una valutazione e calcolato da essa, non da noi, un riconoscimento economico di valore di 700.000 euro. Questo riconoscimento è molto importante perché dove c’è vantaggio sociale per la cittadinanza non c’è danno erariale. Chiediamo un confronto non solo fatto di euro ma che riconosca il nostro lavoro, la storia di questo edificio e la storia del movimento femminista.”
Tale era la folla, che si è fatta una diretta streaming dal ristorante della Casa.
Tra i molti interventi, quello di Elettra Deiana sul nuovo riconoscimento dei beni pubblici che possono essere dati in comodato gratuito. L’Indicazione sull’art. 71 della riforma del Terzo Settore è stata ribadita da Loredana De Petris: “c’è la possibilità effettiva di poter dare in comodato d’uso gratuito, fino a 30 anni, locali in cui si svolgono servizi alla cittadinanza a fronte della manutenzione e di altri impegni. Ci sono gli strumenti legislativi perfetti per poter intervenire in questa vicenda e aprire una trattativa vera sul pregresso per quantificare i corrispettivi. Si tratta di mettere in campo una volontà politica per applicare gli strumenti.”
Pasqualina Napolitano (già parlamentare europea e presidente della Commissione che ha formalizzato il Progetto Casa internazionale delle donne, nominata dal Sindaco Rutelli a seguito di anni di richieste in tal senso dell’Affi e del Cfs), ha ricordato come molte giovani, come sua figlia, non hanno mai messo piede nella Casa però ritenendo importante oggi difenderla.
Il complesso dell’ex Buon Pastore alla Lungara, era un bene indisponibile del Comune di Roma che nel 1940 l’aveva acquistato dall’ordine “Nostra Signora della Carità del Buon Pastore” ivi gerente il reclusorio per donne con reati collegati alla moralità e alla fede e bambine ritenute in pericolo di compierli od orfane o figlie della povertà e dell’emarginazione. Vi si era praticata la reclusione di Stato (reclusorio e penitenziario), e quella “privata” per accordi con le famiglie, e pensionato; successivamente era diventato un riformatorio femminile, ma sempre con le regole dettate dalle suore. La destinazione, del 1983, alla cittadinanza femminile, a sede di movimenti femministi (con prima assegnazione di una parte al Cfs) ne ribaltò il simbolico, parlò di libertà e autodeterminazione; essa fu difesa con un’occupazione durata dal 1987 al 2000, durante la quale associazioni femministe vecchie e nuove avevano formato l’Affi, erano ricorse al Tar e al Consiglio di Stato, ma avevano anche fatto collette mettendo a disposizione del Comune (che mai la ritirò) la somma minima stabilita da esso per altre sedi associative cittadine. Il cosiddetto “debito pregresso” è stato calcolato sugli anni d’occupazione ed è stato accettato, seppure enorme, per senso politico di assunzione di responsabilità nella difesa della cittadinanza.
“Con la Commissione del sindaco Rutelli la città si riconciliò” ha detto Pasqualina Napoletano e “la Casa avrebbe dovuto corrispondere un certo canone” che sommato al debito pregresso rendeva la cifra innavicinabile. Tuttavia, nel tempo, ne è stata pagata circa il 40%.
“Adesso come ieri” ha proseguito Pasqualina Napoletano, “dobbiamo negoziare con l’assessorato al patrimonio ma vorrei che si rinnovasse il rapporto, ci fosse un nuovo pronunciamento della Giunta; nel Parlamento europeo ci furono risoluzioni a favore della Casa che potrebbero essere rinnovate; se noi usciamo da qui, entrano la speculazione o il degrado.”
Di Casa della Moda già si parlò negli anni ’90 e come tante altre proposte fu sventato; peraltro, quando vi entrarono le associazioni femministe, l’edificio non era certo come è oggi ed è grazie al loro lavoro, al loro tempo, ai loro soldi che è stato mantenuto decoroso fino ed oltre i restauri.
Tatiana Montella ha portato la solidarietà di “Non una di meno” il cui primo atto politico, nel giugno 2016, è stato la denuncia della chiusura degli spazi delle donne. “Non permetteremo lo sfratto, porto la parola di tutte noi che siamo disposte anche ad occupare. Il 25 novembre partiremo da Piazza della Repubblica alle 14, mettendo al centro la questione della chiusura degli spazi. Facesse bene i conti il Comune anche di tutto ciò che la Casa ha messo in campo in questo luogo. Luogo aperto, di femminismo. Possiamo dare alla Raggi poche centinaia di euro perché riteniamo che l’impegno sociale, il nostro profitto, sia molto più interessanti del libero mercato.”
Paola Mastrangeli, femminista storica, ha chiesto che tutte le buone volontà che si stanno mettendo in gioco per salvare questo posto, ognuna percorrendo proprie strade, si rapportino al Direttivo di una Casa che “non è mai di una donna o di un’altra donna, ma solo di donne che lo vogliono e vogliono tenerselo senza essere tirate per la giacchetta”. Un anticipo sui successivi interventi in merito ai possibili pericoli della strumentalizzazione accentuati dalla campagna elettorale in corso.
Francesca Danese, portavoce del Forum del Terzo Settore del Lazio, ha ricordato che “anche il documento di programmazione economica ci dice che la città è più sicura quando sono attive le associazioni di donne”. Ha consegnato il documento, steso con Cattoi, del conteggio su quanto benessere desse la Casa alle donne. “La Casa sta facendo una battaglia che è anche per le altre strutture della città. Abbiamo vinto 22 ricorsi. Noi abbiamo trovato gli indicatori della qualità della vita; le donne di questa città pagano costi altissimi.”
Sara Lilli, Consigliera del I Municipio, ha dichiarato: “Questa è anche casa nostra, sono cresciuta grazie all’esperienza nella Casa internazionale; ho trovato qui un insegnamento incredibile, credo di aver ricevuto molta forza da questa energia.” Ha poi ricordato che in tutti i Municipi cittadini gli esponenti del Pd hanno presentato lo stesso Atto che chiede di scongiurare lo sfratto e di essere un interlocutore. L’Atto è stato protocollato dall’Assemblea capitolina che dovrà decidere se firmarlo.
Marta Bonafone, “Consigliera regionale e femminista” ha dichiarato la disponibilità piena della Regione che non punta a nessun piano B, c’è solo quello A che rispetta la volontà della Casa, il suo riconoscimento civico e sociale e chiede l’estinzione del debito”
A sua volta, Alessandro Totti della Rete “decide Roma” ha ricordato gli 836 immobili che a causa della delibera di Marino che ha reso “disponibili” i beni “indisponibili”, permettendo il cambio d’uso, hanno ricevuto una similare lettera di sfratto. Nel ringraziare “la Casa internazionale che è riuscita a riaprire ciò che si era chiuso con l’Assessora al Patrimonio, che proviene da un’esperienza di vendita del patrimonio pubblico, cioè dal settore opposto a quello cui è preposta; la nostra proposta è una delibera sui Beni comuni urbani di cui Roma è priva mentre sia a Napoli che a Torino la formula, che riconosce l’esistenza di luoghi di difesa dei diritti fondamentali, è in piena sperimentazione. A Roma, una Giunta che si è candidata sulla trasparenza, sta scrivendo, a porte chiuse, un Regolamento su cui non possiamo intervenire. Penso che l’incontro di domani possa essere utile anche per altre realtà.”
Lia Migale, del Direttivo, di contrappunto: “Le donne, il femminismo, si prendono cura degli altri. Questa è la prima volta in vita mia che non provo un senso di colpa, so di aver fatto tutto il possibile nel portare avanti la contrattazione. Questa sala è un albero da cui si dipartono molti rami”
L’assemblea, molto determinata e coesa, ha comunque recepito il pericolo che nel clima generale, mondiale, sta aumentando verso le donne. Il mondo è il soggetto della Casa.
“Da quando eravamo bambine ci sentiamo legate a questa Casa che è andata verso il mondo; oggi messa sotto attacco sta raccogliendo adesioni da tutte le donne, nel mondo, anche da quelle invisibili. Una Casa aperta da portoni chiusi. Voi ci dovete tutto, siamo noi che siamo tutto” (Sabina)
Vittoria Tola (Udi) è intervenuta sulla fondamentale questione dell’abbattimento del debito e della ricontrattazione “importante non solo per il riconoscimento del valore dei servizi ma di quello politico della Casa, il che significa che noi, nonostante la questione della messa a punto del patrimonio pubblico, siamo esattamente la continuazione del movimento femminista degli anni ’70 il quale ha prodotto moltissimo e vuole continuare ad andare avanti. Questa storia non si chiude solo perché forniamo servizi ma perché abbiamo un pensiero politico, femminista.” Ha poi ricordato i cinque anni di battaglie fatte dall’Udi “…per salvare il nostro Archivio storico, che è l’archivio della storia repubblicana. Noi abbiamo sempre pagato tutto, non abbiamo debiti, ma ci hanno triplicato l’affitto perché eravamo in un edificio di valore storico. Lo hanno fatto solo per questioni economiche? Evidentemente no. Da qui le donne non si muovono, ma occorre trovare una soluzione per il pregresso che metta in tranquillità tutt*.”
Bruna Felletti, de “Le Nemesiache” tra i primissimi gruppi occupanti la Casa, ha ricordato l’impegno politico e artistico, iscritto nel femminismo, di Lina Mangiacapre: “questa è la nostra Casa; l’occupazione ha fatto tanto ma ha anche lasciato tanto. Le donne dei partiti, qui presenti, che ringrazio tutte, sono parte di un potere che tiene noi donne sotto il tallone. Noi dobbiamo tornare ad essere quello che eravamo ed affermare che l’unica politica che esprimiamo è quella femminista. Noi abbiamo il diritto e il dovere, per le generazioni future, di portare avanti un pensiero che è nostro, diverso da quello degli uomini.
Molti i successivi interventi di donne della Casa e di altri percorsi che hanno unito alle dichiarazioni di solidarietà, riflessioni sullo stato delle cose: “in Italia, siamo al cinquantesimo posto dietro il Burundi per gender gap, queste le vere cifre da dare e che fanno scandalo.” Molti i suggerimenti su come cambiare un problema in opportunità, cogliere l’occasione per un cambio di passo anche della Casa.
Alessandra Bocchetti è andata al cuore della questione: “Certamente questa è una Casa accogliente ma è soprattutto la casa del femminismo che è la maggiore rivoluzione sia mai stata pensata. Rivoluzione lunga ma implacabile di cui noi facciamo parte. Io so che andrà a finire bene, noi non ci muoviamo da qua. Ricordiamoci sempre di questa nostra grande rivoluzione anche se siamo schiacciate da un campo semantico troppo stretto, da una parte le manganellate e dall’altra i palpeggiamenti. La politica oggi si è stranamente privatizzata ma è risentimento, dispetto, acrimonia, odio e, davanti a questa politica piccola piccola si è fatto una grande operazione. La più grande critica del potere è stata fatta dal femminismo. Cerchiamo di tenere sempre nel nostro cuore la politica grande che si sta facendo e di cui noi non vedremo la fine. Io vorrei che qui non si facessero campagne elettorali, porte aperte a tutte.”
Ricordiamo in merito che l’Affi vietò le campagne elettorali nei locali occupati e questo semmai rafforzò, superando le appartenenze, una trasversalità essenziale alla contrattazione.