ROMA – L’Oscura allegrezza, il romanzo d’esordio di Manuela Diliberto nel cortile della CasaSpiazza l’11 luglio 2017
Roma, 1911. Alla vigilia di cambiamenti che trasformeranno l’Europa, Giorgio, giornalista di famiglia borghese, si abbandona all’inerzia rassicurante di un socialismo di facciata. L’incontro con una giovane donna indipendente lo allontanerà da ciò che gli è più caro per spingerlo verso un cammino scomodo, unica via per la felicità.
L’oscura allegrezza (La Lepre edizioni) è il romanzo d’esordio di Manuela Diliberto che lo racconterà in dialogo con suo fratello, Pif.
La Casa (S)piazza – Venti d’Estate – Ore 21,00 – Entrata: Via San Francesco di Sales 1a – Organizza: Doppio Ristretto – Luogo: Cortile
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Vi proponiamo l’articolo di Stefano Montefiori da IOdonna
Manuela e Pierfrancesco erano diversi già da bambini. Lei vivace e chiacchierona, lui introverso e silenzioso. È finita che Manuela si è immersa nella ricerca e nella letteratura, archeologa e scrittrice a Parigi, e lui è diventato Pif,“Iena” in tv e poi regista di La mafia uccide solo d’estate e In guerra per amore. Alla fine di L’oscura allegrezza, il suo primo romanzo (in libreria per La Lepre), Manuela Diliberto intervista suo fratello Pierfrancesco in arte Pif. Io donna li ha intervistati a sua volta entrambi, quarantenni un po’ siciliani e un po’ europei vissuti tra l’Italia, Londra e Parigi con Bertel Thorvaldsen, scultore danese, come avo ottocentesco e istigatore alla fuga. Tocca per primo a Pif, al telefono, mentre sta partendo per Londra.
Come è stato farsi intervistare da sua sorella?
Strano e divertente, a certe domande avrebbe risposto meglio lei, per esempio quella sul mio nome. Perché i nostri genitori mi hanno chiamato Pierfrancesco? Lei è più grande di me, quando sono nato c’era già e dovrebbe saperlo. È un’intervista che serve da transizione al prossimo romanzo, dove Manuela interroga persone che esistono realmente.
Com’è andata che il timido della famiglia è un uomo di spettacolo e l’estroversa fa la ricercatrice?
Quando mio padre ci accompagnava, il tragitto da casa a scuola di Manuela era rumoroso e pieno di allegria. Poi la salutavamo e fino a scuola mia calava il silenzio. Era Manuela che avrebbe dovuto fare il mio lavoro. Però capita spesso che chi fa spettacolo nella vita sia timido, perché il cinema o la tv sono un modo per superare la timidezza. Manuela a scuola andava benissimo e io malissimo, alla fine è giusto così, che lei faccia l’archeologa e la scrittrice, eio la televisione e il cinema.
Andavate d’accordo?
Quando stavo per nascere mia madre le disse che il fratellino in arrivo era un regalo per lei. Così quella cosa tipica da sorelle maggiori, “basta, lo buttiamo di sotto”, lei non l’ha mai detta.
Che cosa pensa del romanzo di Manuela?
L’ho letto tanti anni fa, prima che lo pubblicasse, e adesso aspetto di riceverlo stampato, un libro vero, non ho voglia di leggerlo sull’iPad. Siamo due mondi completamente diversi, io sono più pop, si vede che lei ha studiato e io no. Passo per intellettuale ma in realtà sono di una ignoranza spaventosa. Probabilmente ho l’istinto che mi salva, lei invece è una intellettuale vera.
E Manuela che cosa pensa della carriera di Pif?
È sempre stata una mia fan, anche di quelle pericolose perché ti dice quello che non le piace. Io non sono così bravo quando leggo un suo libro. Ma mi usa per testare la reazione di un lettore medio.
Come prende il fatto che Manuela vive a Parigi?
Mi fa un po’ ridere che un’archeologa italiana debba lavorare all’estero.
Dovrebbero essere i francesi a venire in Italia?
Esattamente, visto il nostro patrimonio storico. Ma la situazione della ricerca in Italia la conosciamo bene. Diamo sempre la colpa ai politici ma qualcuno li vota. Io mi lamento del politico e anche di chi lo vota, il politico è lì perché qualcuno ce l’ha messo.Grazie, più tardi intervisto sua sorella. La avverto, parla tanto.
Incontriamo Manuela Diliberto nel pomeriggio, appena uscita dall’Institut National d’Histoire de l’Art dove lavora. Prendiamo un caffè nella Galerie Vivienne a due passi. Sorridente, molto gentile, meno chiacchierona di come l’ha annunciata il fratello. Estroversa, sì, ma più di una volta quasi si scusa prima di dire qualcosa che per lei è importante.
Perché un’archeologa ha deciso di scrivere un romanzo?
Non l’ho mai deciso veramente, il fatto è che scrivo da quando respiro. Non ho mai provato questa scissione tra la vita e la scrittura. Per esempio anche questo momento è un atto letterario. Questo romanzo è nato quando avevo 19 anni, ero a Roma dove ancora vive una parte della mia famiglia, e mi è capitato di pensare quanto deve essere duro incontrare l’amore della tua vita e non poterlo vivere. La cosa che mi premeva dire era che nella vita bisogna fare le scelte giuste, cioè il più possibile vicine ai nostri desideri. La società non lo permette quasi mai, figurarsi per le donne.
Pif si definisce l’anima pop della famiglia, è così?
Fino a un certo punto, anche lui è più scientifico di quel che sembra. La documentazione dei suoi film è sempre accuratissima. Pierfrancesco è molto più intellettuale di quel che dice e io più pop di quel che sembro.
È vero che lei avrebbe dovuto essere l’attrice di casa?
In effetti da ragazzino lui era molto chiuso, un po’ lo prendevamo in giro. Chi se lo aspettava che venisse fuori così…
Si sente europea?
Non saprei, di sicuro italiana, vivo a Parigi da nove anni ma conservo il mio passaporto e il mio accento con orgoglio. Sono legata alla Sicilia ma ho sempre patito la dimensione di isolana. Poi la mia famiglia da parte paterna ha origini danesi, c’è stata sempre questa cosa, questo richiamo all’apertura, all’estero… A casa di mia nonna, che abbiamo frequentato molto, c’erano i quadri e le sculture della Danimarca. Ho sempre voluto parlare altre lingue, da 24 anni in poi ho spesso avuto fidanzati stranieri, ho vissuto in Austria, volevo inseguire mio fratello a Londra ma lui invece è stato chiamato da Zeffirelli a fare l’aiuto regista, ci siamo mancati.
Come è stata accolta in Francia?
Benissimo perché la mia porta di accesso è stata la ricerca scientifica, e gli accademici francesi sono curiosi, vanno subito all’essenziale. In Italia siamo seppelliti dalle citazioni, anche negli articoli scientifici talvolta non si dice nulla ma si rende omaggio ai professori.
Sarebbe riuscita a fare l’archeologa in Italia?
Non lo so. Dei miei compagni di studi all’università di Bologna uno fa l’assicuratore, uno è andato in Svizzera, un’altra lavora in un negozio di abbigliamento e un’altra ancora fa la ricercatrice in un museo con un contratto da bidella. Sarebbe stato molto difficile.