ROMA – MedFilm Festival, dal 9 al 18 novembre – Un aiuto per chi vuole confrontarsi sul ruolo concreto e simbolico delle donne nelle società del bacino del Mediterraneo
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La cronaca rende difficile pensare al Mediterraneo senza angoscia. L’UNHCR ammonisce: nel 2018 sono più di 2000 i migranti morti nei naufragi delle imbarcazioni che cercavano di raggiungere le coste europee. Quelle rotte, attualmente le più pericolose del mondo, per millenni hanno messo in relazione popoli e culture, hanno plasmato la nostra identità molto più profondamente di quanto chi ha deciso di trasformare il Mare Nostrum in un gigantesco camposanto sia disposto ad ammettere.
Subiamo una martellante retorica sulle nostre tradizioni e i nostri valori, in contrapposizione a tradizioni barbariche in uso al di là del mare. Retorica che strumentalizza la necessità di protezione delle nostre donne. Come se da noi le donne non fossero bersaglio di una violenza sistematica e quotidiana per mano di connazionali, o come se -eventualmente- potesse mai essere un’idea decente isolare quelle nate sulla sponda sbagliata.
Di quel che accade di là sappiamo sempre meno, soprattutto della vita delle donne dei paesi di religione musulmana, ma non solo. Abbiamo battaglie simili da combattere ed esperienze da condividere? Forse le donne che producono cultura in questi paesi non sono poche come saremmo inclini a pensare?
Il programma del MedFilm Festival, a Roma dal 9 al 18 novembre, può essere d’aiuto per chi ha voglia di confrontarsi con questi interrogativi. Dei 79 titoli in cartellone (lungometraggi, cortometraggi e documentari) molti sono firmati da registe: siriane, marocchine, turche, tunisine, spagnole solo per citare qualche nazionalità. La sezione “Rather Be Horizontal” indaga il rapporto con il corpo e la forza propulsiva del desiderio attraverso lo sguardo femminile; il concorso e le altre sezioni includono un numero consistente di autrici. Il mosaico dei titoli sollecita una riflessione sulla complessità del ruolo sia concreto che simbolico delle donne nelle società del bacino del Mediterraneo.
Non sono molte le occasioni che abbiamo di vedere come una giovane regista marocchina racconti una maternità indesiderata, una israeliana l’adolescenza di una ragazza lesbica in una comunità ultraortodossa oppure la guerra rappresentata da una cineasta siriana. Difficilmente opere come queste trovano una distribuzione regolare.
Allargare lo sguardo può aiutarci a capire la realtà che ci circonda; quella dall’altra parte del mare, ma anche la nostra. La ribellione alle culture patriarcali che non risparmiano -con modi e intensità differenti- nessuna di noi passa anche attraverso la ricostruzione di un immaginario condiviso, per recuperare il ruolo di crocevia fertile che il Mediterraneo ha avuto per secoli.