ROMA – Mostra sui 70 anni dal voto alle donne alla Casa Internazionale delle Donne
Nel percorso della Mostra-Convegno itinerante “1946: il voto delle donne”, il pomeriggio del 2 giugno è stato un momento forte e commovente che le proponenti (Fiorenza Taricone, Gabriella Anselmi e chi scrive) e il Coro della Casa internazionale delle donne hanno costruito insieme, alternando letture, brevi interventi storici e canti popolari.
Al centro, il protagonismo femminile nella scelta e realizzazione di un’Italia democratica, repubblicana e costituzionale; le ragioni che spinsero tante donne a opporsi al Fascismo dagli esordi alla realizzazione dittatoriale; l’esistere delle donne nella Resistenza e nel garantire a se stesse e ad altri/e la sopravvivenza in tempi di fame, guerra e atrocità; dopo la Liberazione, l’impegno nella fase costituente e l’ottenimento del voto nel ’46.
In un ideale ponte tra ieri e oggi, l’incontro si è aperto con la lettura del comunicato apparso sul giornale clandestino “La Nuova Realtà, edizione straordinaria per la Liberazione”, già appartenente, decenni fa, ai materiali di uno dei primi convegni delle partigiane piemontesi (relatrici A. Lusso, G. Tedeschi, C. Ravera, F. Malan, A. R. Girola Gallesio, C. Mantica Pallavicino):
«Le aspettiamo ancora: nonostante tutte le mostruosità compiute nei campi di concentramento, nonostante che la speranza si vada affievolendo quando udiamo di quali spaventevoli atrocità si sono macchiati i criminali nazisti, nonostante questo, ancora le aspettiamo. Oggi non sono con noi, in questi giorni di radiosa felicità la loro assenza e il pensiero del loro lungo soffrire ci fanno tanto male.” (Il contributo delle donne alla lotta di liberazione, 6.4.1974, Torino, Consiglio Regionale del Piemonte, p. 88).
Il Piemonte contò, alla Liberazione, 38 cadute civili, 99 partigiane cadute, 185 deportate.
Tra le prime, Maria Elisa Borgis, di tre anni, fucilata per rappresaglia dai nazifascisti il 20 agosto ‘44 a Pavaglione di Bussoleno (op. cit., p. 99). Tra le seconde, la maestra Cleonice Tomasetti, della Divisione Flaim, fucilata a Fondotoce di Verbania il 20 giugno ’44 con altri 43 partigiani, lei la prima della fila che, sotto minaccia delle SS, attraversò Intra, Pallanza, Suna e Fontodoce dietro il cartello “sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”. Morì gridando «Viva l’Italia» (op. cit., p. 72).
Il regime, autocelebrandosi come unica istanza benefica per il Paese, istituì un Tribunale speciale a Perugia (legge n. 2008 del 25 novembre 1926, G. U. 6-12-’26 n. 281) che comminò agli “Anti-Italiani” la pena di morte per fatti diretti contro la vita, l’integrità o la libertà personale del Re o del Reggente, la Regina, il Principe ereditario o il Capo del Governo (art. 1); da 5 a 15 anni di carcere per chiunque pubblicamente o a mezzo stampa istigasse a commettere quei reati o ne facesse apologia (art. 3); da 3 a 10 anni, con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per chiunque ricostituisse sotto forma o nome diverso, associazioni, organizzazioni o partiti disciolti (art. 4). Seguono altri quattro articoli liberticidi.
Il Tribunale speciale perugino condannò, e solo in piccolissima parte assolse, donne di tutte le Regioni di cui Mario Mammuccari e Anna Miserocchi raccolsero, nel possibile, le biografie (Le donne condannate dal Tribunale Speciale recluse nel carcere di Perugia, quaderni dell’ANPPIA, La Pietra, 1981).
“Anti-Italiana” fu Iside Viana di Candelo (Vercelli), ‘casalinga’ impegnata nella stampa clandestina (“La Fiaccola”, “Riscossa”, “Scintilla”) condannata a 4 anni di reclusione e morta nel carcere perugino il 22 novembre 1931.
“Anti-Italiana” fu Adele Bei (Cantiano di Pesaro, ‘casalinga’ militante, dal ’25, nell’organizzazione del Partito Comunista, più volte espatriata clandestinamente, arrestata nel ’33, condannata a 18 anni di cui ne scontò a Perugia 10 prima di diventare ‘madre costituente’ e senatrice nella prima legislatura. Disse: «Io non ho proprio nessuna scusante per la mia mancata preparazione, all’infuori della mentalità con la quale viene cresciuta la ragazza dalle nostre parti: la donna deve saper fare i lavori casalinghi e quando ha fatto la terza elementare, che è sufficiente per saper scrivere una lettera, basta.» All’accusa di aver “abbandonato” i figli in Francia, rispose: «Non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà. Pensate invece ai milioni di bambini che per colpa vostra stanno soffrendo la fame in Italia.» (op. cit., p. 3).
Scrissero gli Autori: «Per il fascismo, la donna ideale era una casalinga, una ignorante fattrice; queste donne antifasciste sono state dunque anticonformiste, hanno lottato per dare all’Italia una donna diversa e capace di rendere diversa la società nella quale viveva (…) In quel momento, la figura tradizionalmente patetica della ‘Madre’ che nella sua ignoranza ottusa attendeva e soffriva senza partecipare in alcun modo alla vita politica del paese, lasciava il posto alla figura di una ‘madre’ cosciente dei suoi doveri ma anche dei suoi diritti e del suo peso politico, che sentiva come in una società nuova la comoda retorica delle parole dovesse essere sostituita dall’azione diretta, determinante di tutte le donne.» (op. cit. p. 3-4)
Nell’incontro romano, sono stati letti stralci della Commemorazione di Camilla Ravera (pronunciata dal sen. G. Spadolini e dall’allora Presidente del Consiglio Ciriaco De Mita); la poesia Memoria dedicata da Natalia Ginzburg (Natalia Levi) al marito, Leone Ginzburg, con cui aveva condiviso il confino nel ’38 e che fu ucciso dalla Gestapo nelle carceri di Roma il 5 febbraio ’44 (in G. Vacana e C. Minnocci, Antologia poetica della Resistenza. Amm. Prov. Frosinone, 1995); le ultime frasi del Diario di Etty Hillesum, filosofa e scrittrice olandese, di origine ebraica, deportata a Westerbork nel giugno ’43 e morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943: «…In tempi difficili si tende a disprezzare le acquisizioni spirituali di artisti vissuti in epoche cosiddette facili (ma essere artista non è di per se abbastanza difficile), e si dice: tanto cosa ce ne facciamo? É un atteggiamento comprensibile ma miope. E rende infinitamente poveri. Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite». (in: Diario 1941-1943. Un mondo ‘altro’ è possibile, a cura di M. P. Mazziotti e G. Van Oord, Apeiron, 2002).
L’iter politico e legislativo che portò dalla Liberazione al primo voto delle Italiane, è stato ripercorso da Valentina Muià (con master in storia di genere), che ha rivendicato l’emozione sia dell’avvicinarsi ai preziosi materiali degli Archivi (centrale e locali) dell’Udi, sia di quello che provava in quel momento, empatico, tra persone che seguivano, attente e partecipi, l’evento. Un sentimento «che è un valore aggiunto, non l’elemento limitante e discriminante del femminile qual’è da sempre opportunisticamente considerato» ha detto, sottolineando che «per l’associazionismo delle donne, in primis dell’Udi, è sempre stato chiaro ed urgente che per ottenere la massima partecipazione, anche istituzionale, delle donne alla vita del paese e renderle consapevoli di cosa significasse ‘mettere la scheda nell’urna’ occorresse colmare le distanze, le paure e le diffidenze che potevano circondare non solo l’andare a votare ma eleggere altre donne o voler essere elette.»
La propaganda emancipatrice riuscì tanto bene, e tale fu il coinvolgimento delle donne che 21 donne entrarono all’Assemblea Costituente (13 iscritte all’Udi).
Come è stato ricordato, la percentuale del 4% è stata letta sia come elemento favorevole, data l’assenza di precedenti sia come mancanza di fiducia delle elettrici e degli elettori verso le candidate donne i cui problemi, nello ieri, non erano tanto diversi dall’oggi, come s’evince dalle risposte a un questionario ‘sulle difficoltà che le donne incontrano nella politica’ datato al 1996, a cinquant’anni dal voto:
Vincere i pregiudizi/conquistare la fiducia degli uomini e dell’elettorato (50,0%); conciliare la vita familiare con la vita politica (26,9%); i tempi della politica (23,1%); non ho avuto difficoltà a livello di elettorato quanto piuttosto nel partito (15,4%); essere relegate a problemi considerati strettamente ‘femminili’ (15,4%); le logiche della politica sono diverse dalla logica delle donne (15,4%); la campagna elettorale (11,5%; difficoltà ad avere ascolto/Autorità nel partito (7,7%); sono stata penalizzata/ il mio curriculum non ha più avuto valore una volta eletta (7,7%).
Il totale è superiore al 100 perché erano possibili più risposte (in: Addis Saba M., De Leo M., Taricone F., Donne e Costituente, Dip. per l’informazione e l’editoria, Presidenza del Consiglio dei Ministri-Comm. Naz. per la Parità e le P. O. tra uomo e donna, Roma, 1996).
Sostanziale, come s’è detto, l’apporto del Coro della Casa internazionale delle donne diretto, da novembre 2010, da Patrizia Nasini che ‘l’orienta allo studio e alla ricerca della Tradizione Orale della Musica Popolare Italiana’. Nello splendido repertorio, che ha coinvolto il pubblico, canzoni sul tema del suffragismo (es. Bread and roses) di cui è stata segnalata la rarità delle composizioni; sul ‘lavoro’: es. Figli di nessuno, Cinturini o canto delle lavoratrici della fabbrica di juta, a Terni, impiantata all’inizio del ‘900 dall’ingegnere Cinturini e Ignoranti Senza Scuole, dove le Mondine si autodefiniscono la plebe della terra / in risaia com’in prigion, rifiutano un futuro senza speranza di pace e di lavoro e denunciano le armi di menzogna e corruzion dei padroni cui opporre l’istruzione, la giustizia e la libertà; sulla Resistenza Oltre il Ponte (di Italo Calvino e Sergio Libero) che invita chi non vuole chinare la testa a prendere la strada dei monti. In finale, le due versioni di Bella Ciao, quella partigiana e quella delle Mondine.
Hanno cantato: Maria Rosa Ardissone, Anna Maria Baldassi, Anna Maria Chiabrera, Laura Ferrari, Gabriella Lazzoni, Sandra Olivares, Vittoria Panico, Milvia Ragno, Patrizia Regazzoni, Livia Rocco, Flora Rovesti, Assunta Ruscitto.
Ricordiamo che la Mostra-Convegno itinerante 1946: il voto delle donne, chiude la tappa romana sabato 4 giugno alle 13,00 con due documentari (11,30-12,30): 1946: Ragazze di Maria Luisa Di Blasi (prod. Il Paese delle donne) e Rovensbrück, storia di deportate italiane, di Ambra Laurenzi (prod. Aned e Fondazione Memoria della Deportazione).