Roma – OGGI inizia un seminario sulle migrazioni organizzato dalla Società Italiana delle Storiche – Ricordiamo che il 28 sera a Como, mentre era in corso una riunione di Como Senza Frontiere hanno fatto irruzione dei nazifascisti che hanno letto un delirante proclama poi messo in rete.
Si terrà a Roma, tra il 30 novembre e il 2 dicembre, presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea e la Casa internazionale delle donne, il convegno Donne e uomini migranti, che mette a frutto le più rilevanti acquisizioni del dibattito internazionale e il lavoro pluriennale che la Società Italiana delle Storiche ha dedicato ai temi attinenti alle migrazioni con specifiche esperienze di ricerca. L’attualità dei movimenti migratori che attraversano l’Europa ha dato nuovo impulso allo studio dei temi migratori anche in ambito storiografico. La chiusura delle frontiere, la spinta a emigrare, la presenza e il protagonismo femminile nei flussi migratori, la centralità dei legami familiari transnazionali sono fenomeni che caratterizzano le strategie legate alla mobilità geografica di breve e lungo raggio in una prospettiva storica di lungo periodo. Il convegno mette a frutto le più rilevanti acquisizioni del dibattito internazionale e il lavoro pluriennale che la Società Italiana delle Storiche ha dedicato a questi temi con specifiche esperienze di ricerca.
SINTESI DEGLI INTERVENTI
Anna Badino, Migrazioni internazionali e interne negli anni della ricostruzione: percorsi familiari a Marsiglia e Torino L’intervento è basato sui primi risultati di una ricerca comparativa, volta a studiare i percorsi sociali delle seconde generazioni di immigrati dall’Italia Meridionale verso due mete specifiche: l’area urbano – industriale di Torino e quella di Marsiglia. L ’arco cronologico preso in esame è quello del lungo secondo dopoguerra compreso tra il 1946 e gli anni 1970. L’intento alla base dell’indagine è di mettere a confronto una migrazione internazionale e una migrazione interna al fine di individuare e verific are alcune costanti del processo migratorio che sembrano essere indipendenti dal fatto di attraversare o meno delle frontiere nazionali. Operazioni di questo tipo sono rare, soprattutto poiché non è ancora acquisita l’idea di considerare le migrazioni int erne come migrazioni a tutti gli effetti: non si attraversano confini amministrativi, non ci si ritrova con statuti giuridici diversi rispetto alla popolazione già stabilizzata nel luogo di arrivo, si condivide una comune appartenenza nazionale con i non i mmigrati. Eppure, anche in assenza di questi evidenti ostacoli all’integrazione, l’atto di spostarsi da un contesto geografico e sociale a un altro ha conseguenze che possono perpetrare le differenze tra vecchi e nuovi arrivati, anche al di là di una singola generazione. L’approccio adottato insiste sull’importanza di considerare la migrazione soprattutto come processo di integrazione nelle società di arrivo attraverso la costruzione di nuove reti sociali ed è dunque meno orientato all’analisi degli aspetti culturali legati alla mobilità geografica. Il metodo utilizzato è quello di un’osservazione ravvicinata dei percorsi di insediamento e di inserimento delle famiglie immigrate nelle società di arrivo, con un’attenzione specifica alla ricostruzione delle reti di relazione nel tessuto sociale locale, ossia nei quartieri di residenza, nel vicinato, nei luoghi di lavoro, a scuola e così via. Tra i principali nodi affrontati hanno un ruolo primario i percorsi occupazionali di padri e madri immigrati, l’atteggia mento di questi nei confronti dell’istruzione di figli e figlie, le scelte residenziali e le ricadute che tali scelte hanno avuto sui destini delle seconde generazioni in termini di frequentazioni, aspirazioni e scelte scolastiche, le relazioni dei figli l ocalizzate nei luoghi di socializzazione.
Anna Badino insegna storia della famiglia e di genere all’Università di Firenze e collabora con il Laboratoire Telemme – Aix MarseilleUniversité in qualità di chercheur associé. I suoi studi vertono sulle trasformazioni sociali del secondo dopoguerra in rapporto ai movimenti migratori degli anni Cinquanta e Sessanta. In particolare ha indagato gli intrecci tra la partecipazione delle donne al lavoro, i mutamenti nella famiglia e la mobilità sociale delle pr ime e delle seconde generazioni in emigrazione. È autrice di Tutte a casa? Donne tra migrazione e lavoro nella Torino degli anni Sessanta Roma, Viella, 2008 e di Strade in salita. Figlie e figli dell’immigrazione meridionale al Nord , Roma, Carocci, 2012.
Eleonora Canepari, La città e le stagioni. Migran ti temporanei dentro e fuori lo spazio urbano (XVI – XVIII secolo) La comunicazione ha per oggetto le migrazioni « circolari » , stagionali e temporanee in città, e ha l’obiettivo di mettere in luce alcuni effetti di tale mobilità sulla società urbana, e di coglierne gli aspetti legati all’identità di genere. Essa presenta alcuni risultati di una ricerca sulla mobilità urbana nelle città mediterranee, condotta dal 2014 ( Settling in motion. Mobility and the making of the urban space in the early modern cities , Aix -Marseille Université, Fondation A*Midex, 2014- 2018). La ricerca propone di guardare alla mobilità come a uno degli elementi che contribuiscono alla « creazione » dello spazio urbano, e di definire una nozione « inclusiva » di città, che tiene conto non solo della popolazione stabile, ma anche di quella meno radicata (a prescin dere dall’origine geografica). Mettendo da parte un’ottica che vuole questi individui come « flottants », separati in qualche modo dalla « vera » città, è possibile reinserire i percorsi di mobilità all’interno della città e mettere in luce la pluralità di risorse e dispositivi, formali e informali, che rendono possibili le presenze temporanee in città. A Roma, una società « plurale » come molte di quelle urbane di antico regime, l’impatto della migrazione sulla città va al di là della dimensione demografica spesso sottolineata (sovrappopolamento), e contribuisce in molti modi ad una ridefinizione dello spazio urbano. Le migrazioni temporanee si inseriscono in un quadro di mobilità generale, che verrà brevemente presentata come elemento di contesto. Come si vive e si abita in una città di cui si è abitanti temporanei, sebbene ricorrenti , e come un approccio di genere può aiutare a cogliere alcuni aspetti della mobilità ? Organizzato in tre parti, l’intervento prende in considerazione alcune categorie di lavoratori, in particolare i lavoranti agricoli (« huomini di campagna »), i vignaioli e i norcini. Nella prima parte, l’intervento esamina le forme di mobilità dentro/fuori città di cui gli stagionali sono protagonisti. Saranno presi in considerazione i l uoghi di origine, la durata della permanenza e il tipo di lavoro svolto. La seconda parte sarà centrata sui modi di abitare lo spazio urbano dei migranti stagionali : coabitazioni, domicilio occasionale, doppio domicilio. Il ricorso agli stati delle anime permette di esplorare gli households caratterizzati dalla presenza dei lavoratori temporanei, siano essi installati in locande, case di privati , camerate, ecc. La terza parte, infine, prende in esame le relazioni tra identità di genere e forme di mobilità temporanea, articolandole a partire dai modi di abitare. Le fonti utilizzate sono gli stati delle anime di alcune parrocchie romane, atti notarili, processetti matrimoniali e decreti del cardinale vicario.
Eleonora Canepari è ricercatrice in Storia modern a a Aix -Marseille Université, dove dirige il programma di ricerca Settling in motion. Mobility and the making of the urban space in the early modern cities .I suoi temi di ricerca sono la migrazione, la mobilità urbana e i modi di abitare in epoca moderna, e nel XVII secolo in particolare. Tra le sue pubblicazioni : Places, palais, auberges. À la recherche du travail dans une ville baroque , «Mélanges de l’École française de Rome – Italie et Méditerranée modernes et contemporaines », 129 (2017) ; Abitare la città , «Quaderni storici », 151( 2016) , dir., con C. Regnard ; Mobil(h)ommes. Formes d’habitats et modes d’habiter la mobilité, (XVIe -XXIe siècles) , dir., con B. Mésini e S. Mourlane, 2016.
Michele Colucci , Il passaggio degli anni Settanta e i molti volti delle migrazioni in Italia La congiuntura storica degli anni settanta del Novecento rappresenta un terreno di ricerca ricchissimo di spunti per ricostruire i tanti volti delle migrazioni italiane. Convivono infatti esperienze migratorie diverse, che si manifestano di frequente nello stesso luogo e nello stesso tempo: lo sviluppo dei primi nuclei di immigrazione straniera, il costante perdurare delle migrazioni interne, l’enorme flusso di ritorni dall’estero (soprattutto dopo l’esplosione della crisi petrolifera), la stessa emigrazione verso l’estero, che pur in calo rispetto al passato resta un fenomeno ancora importante. L’intreccio tra queste mobilità contribuisce a far emergere questioni irrisolte che attirano l’attenzione dell’opinione pubblica: l ’aumento della disoccupazione, gli squilibri territoriali, la diffusione ineguale dei servizi sociali, solo per citarne alcune. In questo contesto la questione di genere si manifesta in diversi modi. Nella relazione viene analizzata soprattutto a partire da due punti di vista: l’insistenza sulla figura sociale del disoccupato, uomo e padre di famiglia, associata all’emigrante di ritorno; la presenza di percorsi particolarmente separati tra uomini e donne nei flussi di immigrazione straniera che iniziano a essere presenti sul territorio. Nella relazione vengono proposti alcuni strumenti di lavoro per verificare queste tendenze, soprattutto rispetto alla questione delle fonti: in particolare vengono analizzati gli atti della Prima conferenza nazionale dell’em igrazione che si tiene a Roma nel 1975 e viene esaminato il Primo rapporto sui lavoratori stranieri in Italia, realizzato dal Censis nel 1978. A fianco a questi percorsi nella relazione vengono inoltre segnalati alcuni nessi tra le battaglie dei movimenti sociali e per i diritti civili e le migrazioni, soprattutto rispetto al divorzio e al nuovo diritto di famiglia. Queste tracce ci permettono di individuare due modalità differenti con cui la dimensione di genere si manifesta nella percezione pubblica del le migrazioni nel corso degli anni settanta: del tutto assente (o quasi) rispetto al tema dell’emigrazione all’estero e del ritorno; presente anche se in modo molto particolare rispetto al tema dell’immigrazione straniera
Michele Colucci è ricercatore presso il CNR – Istituto di studi sulle società del mediterraneo. Insegna storia contemporanea e storia dell’Europa contemporanea presso l’Università della Tuscia. I suoi interessi scientifici ruotano prevalentemente attorno allo studio dei fenomeni migratori, alla storia del lavoro e delle istituzioni. Tra le sue pu bbl icazion i : Lavoro in movimento : l’emigrazione italiana in Europa, 1945 -57 , Roma, Donzelli, 2008; L’ Umbria e l’emigrazione : lavoro, territorio e politiche dal 1945 a oggi , Foligno, Editoriale umbra, 2012 ; L’ emigrazione italiana : storia e documenti , (con S. Gallo), Br escia, Morcelliana, 2015.
Emilio Franzina, L’esperienza della mobilità e della migrazione femminile nei canti Per mezzo dei canti popolari, ma anche con l’ausilio dei motivi di un vasto repertorio di “musica leggera” in grado di attraversare quasi per intero gli ultimi due secoli, la relazione prende in esame alcuni aspetti cruciali del rapporto intercorso fra le donne italiane, la mobilità territoriale e, dall’unità in avanti, le emigrazioni all’estero, sia proprie che maschili, ripercorrendo un cammino fisicamente compiuto da molte generazioni di lavoratrici. Dalla fase degli spostamenti di corto raggio nei contesti di vecchio regime a quella dei grandi esodi di fine Ottocento di retti tanto nella Americhe quanto in Europa – senza trascurare, qui, i principali flussi stagionali, periodici o temporanei più consistenti dal centro nord della penisola – furono infatti numerosi i fenomeni, riflessi nelle canzoni, che coinvolsero donne e ragazze non solo in veste di madri e di sorelle o di fidanzate e di spose, bensì pure di protagoniste in prima persona delle più diverse esperienze emigratorie. Un capitolo spesso dimenticato dagli stessi storici della emigrazione femminile è quello del la mobilità interna alla penisola a cui la relazione dedica invece un certo spazio perché essa, inoltrandosi fin dentro la seconda metà del secolo XX, costituì per un verso un apprendistato delle emigrazioni all’estero, ma anche perché rappresentò, per un altro, una modalità specifica di “esodo provvisorio”, e tuttavia reiterato, destinato a riguardare varie regioni d’Italia e particolarmente le giovani impiegate in settori del lavoro agricolo e manifatturiero poi evolutisi o anche venuti meno (la filanda, la monda, la fabbrica ecc.). In essi, com’è noto, si riscontra un’abbondanza ed anzi una esuberanza di canti che sfociano già, alle volte, nel campo delle rivendicazioni sociali e politiche.
Emilio Franzina è stato docente di Storia contemporanea presso l’Università di Verona. Studioso di storia sociale e culturale dei secoli XIX e XX, si è occupato in particolare di scrittura popolare e di migrazioni all’estero . Tra le sue più recenti pubblicazioni: La storia (quasi vera) del milite ignoto raccontata come un’autobiografia , Roma , Donzelli, 2014; Al caleidoscopio della gran guerra : vetrini di donne, di canti, di emigranti (1914- 1918) , Isernia , Cosmo Iannone editore, 2017 ; Entre duas patrias : a Grande Guerra dos imigrantes italo -brasileiros 1914- 1918 , Belo Horizonte , Ramalhete, 2017. Da tempo svolge un’intensa attività di animazione teatrale con lezioni di storia cantata, assieme al complesso musicale degli Hotel Rif .
Manuela Fugenzi , Migrazioni e sguardo fotografico: testimonianze, cronaca e comunicazione. La fotografia si propone come strumento di documentazione e di narrazione della nostra emigrazione e diventa una preziosa occasione d’introspezione e di lettura delle complesse identità del nostro presente causate d allo spostamento, dal transito di persone e popoli, tra radici, storie e nuove esperienze, legami familiari e, in senso più ampio, comunitari. I migranti stessi ne sono stati tra i fruitori e i produttori più attivi, trovando proprio nella fotografia il mezzo privilegiato per comunicare, mantenere legami, condividere. Mentre tanti illustri fotografi hanno indagato la propria identità migrante volgendo lo sguardo su questo fenomeno epocale.
Manuela Fugenzi , giornalista photo- editor, è consulente iconografico nell’editoria libraria e periodica e , più recentemente , nella comunicazione multimediale e cura iniziative espositive e didattiche sulla fotografia. Coordina la Scuola di Fotogiornalismo presso l’ISFCI a Roma ed è docente presso l’Universit à Roma Tre in un laboratorio di Fotografia e s toria sociale. Tra le sue pubblicazioni: Il mito del benessere, 1981- 1990 Roma, Editori Riuniti, 1999; Il secolo delle donne. L’Italia del Novecento al femminile , Roma – Bari, Laterza, 2001; L’evoluzione del mezz o tecnico in La fotografia in Italia.1945- 2000, a cura di U . Lucas ( Annale della Storia d’Italia ), Torino, Einaudi, 2004; They Fight with Cameras. Walter Rosenblum in WWII from D -Day to Dachau, Roma, Postcart, 2014; Storia d’Italia in 100 foto, Roma -Bari, Laterz a, 2017.
Stefano Gallo, La mobilità territoriale delle maestre italiane nella prima metà del Novecento Il mestiere di insegnante elementare è stato, almeno per l’Italia del Novecento, un lavoro intimamente legato alla mobilità territoriale, tanto da poterlo definire un “mestiere mobile”, ovvero un mestiere per cui gli spostamenti rappresentavano un elemento costitutivo, strutturale della professione. Per fare il maestro o la maestra era necessario spostarsi: sia la nomina in ruolo che la fase precedente di avventiziato (o precariato, per usare un termine attuale) prevedeva la disponibilità allo spostamento. Entrare in ruolo significava poi acquisire una titolarità concreta – e di fondamentale importanza – per sperare di trasferirsi altrove nel l’arco di pochi anni. Il nesso tra mobilità territoriale e la professione di insegnante elementare si basava quindi anche sul riconoscimento di un diritto che ruotava intorno all’istituto del trasferimento, entrato in vigore con la Legge Daneo -Credaro del 1911 e sulla cui vigenza l’azione e la vigilanza della classe magistrale si fecero ben sentire anche durante il Ventennio. Questo carattere di mobilità per la professione di insegnante elementare risulta ancora più significativo nel momento in cui la maggi or parte del personale interessato era costituito da donne. In una fase storica, quella di inizio ‘900, in cui le migrazioni da lavoro erano prevalentemente maschili, constatare l’esistenza di un lavoro pubblico con quote femminili maggioritarie e in crescita, connotato proprio dal suo essere un lavoro migrante, rappresenta un oggetto di studio di un certo interesse. La relazione presenta l’evoluzione del mestiere magistrale dalla fine dell’800 alla metà del ‘900 in rapporto alla mobilità territoriale, intrecciando fonti normative, pubblicistica e memorialistica, ed evidenziando l’intreccio tra una progressiva professionalizzazione del mestiere, dinamiche di emancipazione e la centralità delle migrazioni consentite dallo status di insegnante.
Stefano Gallo è assegnista di ricerca presso l’Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (CNR Napoli) e docente a contratto presso l’Università San Raffaele di Milano e l’Università degli Studi di Firenze. Socio fondatore della Società Italiana di Storia del Lavoro, ne è stato segretario coordinatore fino al 2015. Ha collaborato con la Fondazione Sabattini (Fiom nazionale – Camera del Lavoro di Bologna) e c ollabora attualmente con l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in provincia di Li vorno. Tra le sue pubblicazioni: Il Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna (1930 -1940) : per una storia della politica migratoria del fascismo , Foligno, Editoriale umbra, 2015; (con M. Colucci), L’ emigrazione italiana: storia e documenti , Brescia, Morcelliana, 2015.
Carmela Grillone , Sfruttamento sessuale transnazionale dalla Nigeria all’Italia Questa ricerca si propone di aprire un dibattito globale sul forte legame esistente tra migrazione e prostituzione sulla base della realtà osservata a Palermo nel periodo 2015 -2017. I tre elementi principali che emergono dall’analisi sono criminalità, povertà e sfruttamento. Come suggeriscono i dati, l’Italia è la meta preferita in Europa per il mercato dello sfruttamento sessuale. In particolare, la Sicilia svolge un ruolo importante nel racket dello sfruttamento delle migranti nigeriane, oltre a fungere da quartier generale della mafia italiana e nigeriana. L’accordo tra Cosa Nostra (mafia siciliana) e le due organizzazioni conosciute come Black Axe e Eye (mafia nigeriana) rappresenta il punto di partenza per la mercificazione delle ragazze nigeriane (minorenni e maggiorenni). Il degrado sociale e culturale, acuito da un limitato pattugliamento del territorio da parte delle istituzioni dello Stato italiano, ha contribuito alla creazione della “Repubblica di Ballarò”, un’area fuorilegge all’interno del centro storico di Palermo, governata dalla joint venture delle mafie nigeriana e siciliana. E ‘in questo contesto criminale che fiorisce il mercato dello sfruttamento sessuale transnazionale Nigeria -Italia. La nuova Costa degli Schiavi (la Sicilia) sta diventando protagonista di un’inedita migrazione di genere simile a quella della tristemente famosa “Costa degli Schiavi”, luogo di compravendita di abitanti dell’Africa occidentale, commerciati per lavorare nelle piantagioni americane del Nuovo Mondo. La fase di reclutamento delle nuove schiave del sesso in Nigeria (in particolare nello Stato Edo) è affidata ad un gruppo di pastori, commercianti e avvocati. L’ingannevole offerta lavorativa consiste in un lavoro ben pagato nell’ambito dei servizi di assistenza alla persona (badante, babysitter) o dell’intrattenimento (mai descritto in dettaglio, vide licet prostituta) in Italia. Dopo questa vaga offerta, la ragazza si impegna a rimborsare i soldi del viaggio (schiavitù per debiti) al “benefattore” (la madame). Collusi con questo sistema sono i medici indigeni (guaritori/stregoni) che celebrano riti voodoo utilizzando principalmente capelli e unghie delle ragazze per sigillare il patto e soggiogare la volontà delle stesse. Dopo un periodo di sfruttamento nelle connection houses libiche (alias bordelli) e il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo, le ragazze nigeriane (37% delle quali sono minori straniere non accompagnate) arrivano sulle coste siciliane, con il peso di un debito che oscilla tra i 30.000 e i 70.000 euro da ripagare lavorando come prostitute per un periodo che va dai 3 ai 7 anni. Come indica la Carta di Nizza, la commercializzazione di parti del corpo umano è severamente proibita. E la commercializzazione esseri umani? E’ anch’essa da proibire? Le sfumature semantiche di espressioni come “mercato del sesso”, “cliente”, “prostituta”, “servizi sessuali” intendono ideologicamente suggerire un distacco dell’essere umano dal suo stesso corpo. E’ possibile separare una persona dalla sua principale caratteristica biologica, che è il sesso? Può un’analisi olistica del fenomeno condotta alla luce dei diritti umani aiutare a considerare queste ragazze come esseri umani nella loro interezza, integrità e quindi dignità?
Carmela Grillone è dottoranda di ricerca i n Diritti umani pr esso l’Università di Palermo. Conseguito un master in Sviluppo internazionale presso l’Università di Bologna , ha lavorato per vari anni come consulente della Nazioni Unite in Siria e come project manager di ONG in Egitto, San Salvador e altri paesi. Attualmente i suoi interessi di ricerca si concentrano sullo sfruttamento sessuale delle immigrate nigeriane in Italia.
Patrizia Guarnieri , Per scelta e per forza. Fuga senza rientro di Renata Calabresi, displaced psychologist a New York. Sia l’emigrazione sia la mobilità intellettuale dall’Italia hanno una storia che ha ricevuto poca attenzione, in confronto agli analoghi fenomeni dalla Germania, per esempio, e in confronto alla grande emigrazione degli Italiani poveri. Ancora meno ne ha riscossa l’emigrazione intellettuale femminile. Nell’esperienza migratoria di insegnanti e accademici che sotto il fascismo per motivi politici e razziali decisero di andarsene, quanto conta l’essere non solo donna, italiana, ebrea, ma per giunta una intellettuale in cerca di lavoro qualificato secondo le proprie competenze? Rispetto alla maggiore considerazione anche storiografica per i casi illustri, di già noti professori ordinari espulsi, si preferisce guardare a studiosi e studiose all’inizio della loro carriera, che rappresentavano il futuro della università, della scienza e della cultura. Quello che qui si cerca di indagare sono non solo casi individuali emblematici, ma gli atteggiamenti dell’ambiente accademico da cui partirono e quello di presunto inserimento. Le variegate esperienze della migrazione intellettuale, maschile e femminile, come interagiscono con la comunità scientifica di appartenenza, con l’andamento della scienza e della professione? Perché molte di queste storie sono state quasi necessariamente cancellate nel dopoguerra. Per precisare il campo d’indagine e al contempo allargarlo in modo innovativo (in gender, età, qualificazione, e disciplina di appartenenza), si mira al piccolo gruppo di studiosi italiani (professori o liberi doc enti) che apparirono i più meritevoli, ovunque siano emigrati. O almeno furono fortunati rispetto ai molti altri che cercavano una sistemazione all’estero. Sono infatti i grantees, finanziati dalla nota organizzazione di New York, l’Emergency Committee in Aid of Foreigner Displaced Scholars. Nessuno di loro tornò, e non sempre fu per scelta. Fra questi, c’è una sola donna ed è il caso di cui qui si parlerà. Renata Calabresi, studiosa di psicologia sperimentale, sbarcata da sola a New York nel 1939, evidentemente era giudicata un brain gain per chi la scelse fra molti altri candidati. Eppure la sua storia per certi versi eccezionale e successful negli Stati Uniti dove ha vissuto fino al 1995, è stata del tutto dimenticata da noi, anche nell’ambiente della psicologia. Perché? Nel 1956 al ministero della P.I. fu dichiarata ufficialmente irreperibile, nonostante venisse regolarmente in Italia, lavorasse a New York come psicologa clinica dell’APA, pubblicasse, e tutto questo fosse dimostrabilmente noto nell’ambiente ristretto degli psicologi italiani. Di famiglia antifascista, legata a Salvemini e a Nino Levi, in quali ostacoli si imbatté, quali aiuti ricevette, e da chi, prima e durante il suo percorso di americanizzazione? La storia di Renata Calabresi ci dice molto anche su perdite, rimozioni e mancate riparazioni che hanno segnato la ricerca e l’università, la costruzione di una scienza particolarmente attaccata dal fascismo e dal neoidealismo, e anche l’immagine di una disciplina incerta. Nel secondo dopoguerra in Italia dove era stata materia di insegnamento dalla fine dell’800, la psicologia appariva come fosse un sapere nuovo, proveniente dall’America, da trasformare in una professione che sarebbe stata crescentemente femminile e avrebbe avuto da noi, a differenza che in Germania, un molto tardivo riconoscimento giuridico.
Patrizia Guarnieri insegna Storia culturale dell’età contemporanea all’Università di Firenze. E’ stata Fulbright Research Scholar a Harvard University, C.N.R. – Nato Fellow, Wellcome Institute for the History of Medicine in London, Jean Monnet all’IUE, e lecturer per Stanford University . Si occupa di storia e microstoria della criminalità, della salute mentale e di quella materno- infantile, di storia delle scienze umane, de lla psicologia e della psichiatria. Il suo ultimo libro è Italian psychology and Jewish emigration under fascism. From Florence to Jerusalem and New York , New York, Palgrave -Macmillan, 2016.
Sabrina Marchetti , Unite o divise? U n’analisi delle reti sociali fra donne dell’ex blocco sovietico in Italia. A partire da interviste con donne georgiane, ucraine e polacche che attualmente lavorano come assistenti familiari nella provincia di Reggio Emilia, si cercherà di rintracciare gli elementi di unione, solidarietà e comunanza o, al contrario, di separazione, distanza e competizione che possono emergere nella relazione fra questi tre gruppi nazionali durante l’esperienza migratoria in Italia. Si guarderà ad esempio alla rilevanza, nel rapporto fra i tre gruppi, di fattori quali il comune passato sovietico, le politiche migratorie (italiane e europee) e gli effetti della crisi economica sul mercato del lavoro di cura in Italia. Un aspetto importante della discussione sarà l’analisi dell ’evoluzione nel corso degli anni Novanta e Duemila delle loro traiettorie migratorie verso l’Italia, all’interno della penisola e infine nella provincia di Reggio Emilia. In conclusione, si interrogherà la rilevanza della categoria di nazionalità, nella su a intersezione con quella del genere, per l’analisi delle reti sociali fra donne migranti attive nel settore della cura in Italia.
Sabrina Marchetti è docente di Sociologia dei processi culturali presso l’università Ca’ Foscari di Venezia dove coordina il progetto ERC “DomEQUAL: A global approach to paid domestic work and social inequalities”. Si occupa di migrazioni femminili, costruzioni identitarie, diritti e discriminazioni lavorative, in particolare nel settore domestico e della cura, in una prospetti va postcoloniale e intersezionale. Tra le sue pubblicazioni: Le ragazze di Asmara. Lavoro domestico e migrazione postcoloniale , Roma, Ediesse, 2011; Black Girls. Migrant Domestic Work and Colonial Legacies , Boston, Brill, 2014 6 SOCIET À ITALIANA DELLE STORICHE Donne e uomini migranti : rotte, scambi, contaminazioni nel lungo periodo Roma, 30 novembre -2 dicembre 2017
Francesca Rolandi, La rotta adriatica dei richiedenti asilo e il ruolo dell’Italia durante la guerra fredda L’intervento si propone di riflettere sulla vicenda, in gran parte rimossa, dell’Italia come paese di transito nei decenni compresi tra la ratifica della Convenzione sullo sta tus dei profughi (1954) e l’abolizione della limitazione geografica (1989), che limitava gli obblighi di accoglienza ai soli individui in fuga per effetto di eventi avvenuti in Europa. Questo lasso temporale, se da un lato coincideva con la guerra fredda, dall’altro era animato da dinamiche più ampie, quali le relazioni bilaterali e i rapporti storici, culturali ed economici di lungo periodo. Nel periodo in questione oltre 120.000 individui, provenienti in gran parte dall’Europa orientale, presentarono domanda d’asilo e trascorsero un periodo in Italia, in attesa di raggiungere una meta definitiva, attraverso il ricollocamento da parte delle organizzazioni internazionali o tramite canali informali. Sin dall’indomani del secondo conflitto mondiale, infatti, l ’Italia era stata considerata dalle istituzioni internazionali esclusivamente un paese di transito, non in grado di assorbire alcun profugo straniero, in quanto caratterizzata da sovrappopolamento e disoccupazione, essa stessa paese di emigrazione e già al le prese con l’integrazione di “profughi nazionali” provenienti dalle aree ex italiane, dalle ex colonie e protettorati e in generale dallo spazio mediterraneo. In questo intervento l’analisi verte sul caso studio dei richiedenti asilo jugoslavi in Italia , un fenomeno che caratterizza il decennio tra la metà degli anni ‘50 e la metà degli anni ‘60 e che illustra come i tentativi di catalogare in termini sia politici che nazionali i flussi migratori in arrivo al confine orientale italiano risultino inadatti a definirne la complessità. Mentre i primi profughi provenienti dalla Jugoslavia assumevano un’etichetta politica (attraverso la richiesta di asilo), successivamente, con il miglioramento delle relazioni bilaterali e l’apertura di canali ufficiali per l’emigrazione, gli jugoslavi vennero considerati migranti economici a tutti gli effetti. Inoltre, la suddivisione tra profughi stranieri e profughi nazionali (italiani), destinati i primi al ricollocamento, i secondi all’integrazione, e il diverso atteggiamento delle autorità italiane rispetto agli ex cittadini del Regno d’Italia permettono di mettere in luce le difficoltà nel tracciare distinzioni nette in territori multinazionali e a lungo caratterizzati da confini mobili. Si trattava di un contesto fluido, nel quale profughi e migranti emergevano come soggetti attivi che tendevano ad adattare la propria identità in modo strategico per adeguarsi a categorie imposte dall’esterno. Il tema in questione spinge a una riflessione che tocca anche l’attuale sistema dell’asilo . In quale misura i principi umanitari, per quanto elaborati in un’ottica universalistica, sono radicati nel contesto storico che li ha prodotti? Quale ruolo giocano le strumentalizzazioni politiche e la volontà di delegittimare (o al contrario non danneggiare) il paese di origine dei profughi nelle decisioni sul conferimento dell’asilo? Quanto i processi di categorizzazione che tendono a dividere profughi e migranti economici in compartimenti stagni contribuiscono a materializzare le ca tegorie stesse? L’oblio nel quale la storia dei profughi durante la guerra fredda è caduto può essere messo in relazione con le attuali scelte europee in materia di asilo e migrazione?
Francesca Rolandi ha conseguito un dottorato di ricerca in Slavistica presso l’Università di Torino nel 2012. Ha successivamente sviluppato una ricerca post -dottorato sui flussi migratori e il sistema dell’asilo durante la guerra fredda, con un particolare focus su Italia e Jugoslavia. Ha pubblicato Con ve ntiquattromila baci. L’influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia (1955 – 1965) , Bologna, Bononia University Press, 2015.
Laura Schettini, Meglio mal accompagnate che sole: esperienze e politiche di mobilità femminile tra Otto e Novecento Questo contributo tratta di esperienze di mobilità di giovani donne italiane nel periodo a cavallo tra Otto e Novecento, attraverso una lente particolare: la documentazione istituzionale prodotta in Italia intorno 7 SOCIET À ITALIANA DELLE STORICHE Donne e uomini migranti : rotte, scambi, contaminazioni nel lungo periodo Roma, 30 novembre -2 dicembre 2017 all’allarme internazionale per la “tratta delle bianche”, oggi conservata presso l’Archivio centrale dello Stato nel fondo Interpol. È un insieme documentario particolarmente ricco e stratificato, attraverso cui è possibile lavorare su diverse questioni: la nascita del mercato globale del sesso, l a mobilitazione dell’opinione pubblica , la nascita della polizia internazionale, ma anche – appunto – aspetti importanti delle migrazioni e della mobilità femminile verso le colonie, il C entro e Nord Europa, le Americhe. La “tratta delle bianche” è entrata nel discorso pubblico negli anni Ottanta dell’Ottocento, assumendo da subito la fisionomia di una vera e propria emergenza sociale. La campagna coinvolse governi, associazionismo femminile, polizie, stampa e cinema, agenzie internazionali e paventava l’esistenza di una rete internazionale di trafficanti di giovani donne, per lo più europee e statunitensi. Con la violenza o l’inganno (false promesse di lavori rispettabili), si riteneva che i trafficanti conducessero all’estero donne per lo più minorenni e possibilmente di classe media o comunque rispettabili per poi venderle come “schiave del sesso” in remoti bordelli delle colonie, nelle grandi città europee, nel C entro e Sudamerica, in Oriente. Allarme dai confini indefiniti ed estesi, è stato occasione d i una intensa attività giudiziaria e investigativa, nonché di inchiesta sociale, a maglie larghe, rivolta alle potenziali vittime della tratta. A partire dagli ultimi anni dell’Ottocento e in maniera significativa durante i primi due decenni del Novecento, le partenze e i transiti delle donne dai porti e dalle stazioni italiane sono state i larga misura filtrate attraverso i dispositivi di controllo attivati per contrastare la tratta. Attingendo alla documentazione relativa ad alcune inchieste su spostamenti sospetti di donne, ma anche alle politiche di contrasto adottate e prodotte dal Ministero degli Interni e degli Affari esteri, dalle questure – soprattutto delle città portuali –, dall’Ufficio centrale italiano per la repressione della tratta presso la Direzione generale di pubblica sicurezza e dalle autorità coloniali, la riflessione si svilupperà quindi su due piani. In primo luogo ci chiederemo in che misura la mobilitazione contro la tratta delle bianche si sia tradotta in una sovraesposizione della dimensione sessuale nei progetti migratori e di mobilità femminili (soprattutto di quelli pensati al di fuori delle reti familiari di artiste, prostitute, balie). In secondo luogo, discuteremo le implicazioni che le pratiche di polizia hanno avuto per le donne coinvolte in questi “casi”, verificando come le politiche di contrasto attivate si siano prevalentemente indirizzate alle donne “sospette” (perché prostitute, artiste, nubili, giovani) traducendosi in misure di schedatura, controllo e limitazione dell a mobilità femminile.
Laura Schettini , assegnista di ricerca presso l’Università di Napoli ‘l’Orientale’, si è laureata in storia all’Università di Roma Sapienza e dottorata in Storia delle donne e delle identità di genere all’Università di Napoli ‘L’Orientale ’. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sulla storia sociale e culturale in età contemporanea, con particolare attenzione alla storia di genere e della scienza. Tra le sue pubblicazioni : Il gioco delle parti. Travestimenti e paure sociali tra Otto e Novecento , Firenze, Le Monnier, 2011 (libro vincitore del premio SISSCO Junior 2012 ) ; La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (XV -XXI , a cura di con S. Feci, Roma, Viella 2017.