S.O.S. scuola
Gli studenti saranno ostaggio dell’indottrinamento del familismo territoriale. I docenti, esautorati della libertà d’insegnamento. Mentre il Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca sta iniziando a praticare i pesantissimi tagli all’Istruzione statale tutta, come previsto dalla legge n° 1336 dell’agosto 2008, in Parlamento sta tranquillamente viaggiando la proposta di Valentina Aprea. Ex maestra elementare (diploma magistrale alle scuole cattoliche di Bari), ex direttrice didattica (laurea in Pedagogia al Magistero di Bari). Oggi in forza nella squadra di Berlusconi.
Il disegno di legge dell’on. Aprea porta il n° 953, ed è stato presentato alla Camera dei Deputati il 12 maggio 2008: [“Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”.->http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=16PDL0001960]
Già nel titolo, sono enucleati i punti cardine di questo progetto, che ha come obbiettivo lo smantellamento della scuola statale, nel particolare “{{autogoverno delle istituzioni scolastiche”}} che introduce. Queste, trasformate in {{Fondazioni private}}, saranno gestite in nome della “libertà di scelta educativa delle famiglie” da {{vere e proprie lobby di familismo territoriale}}, con buona pace della libertà di ricerca e d’insegnamento che è la linfa vitale di ogni processo di formazione in un paese democratico. Il ddl 953, al contrario, pur richiamando costantemente la centralità degli studenti (che novità pedagogica!) li blinda in {{una concezione di famiglia-clan, dove ai figli si chiede conformismo ‘in nome del padre’}}. Ostacolando così quel sano processo educativo di emancipazione culturale e sociale, che passa anche attraverso l’irrinunciabile ruolo dello Stato (art. 3 della Costituzione) per rimuovere gli ostacoli (familiari compresi), perché ciascuno si autodetermini, libero di pensare e scegliere con la propria testa. Insomma di realizzare la propria appartenenza nel pluralismo della cittadinanza.
Il ddl. Aprea, al contrario, con la sua visione di autogoverno delle “istituzioni scolastiche” vorrebbe {{perpetuare la stasi del localismo territoriale}}, a cui è regalato un potere straordinario di gestione, progettazione e controllo sulle scuole statali:“Gli organi di governo concorrono alla definizione e alla realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, attraverso percorsi articolati e flessibili” (art.1.5). Lo Stato, privato del vero compito di istituire scuole pubbliche per ogni ordine e grado (art. 33 Costituzine) diviene semplice sussidiario, anche nell’erogare fondi: “La sussidiarietà diventa la stella polare di questo cambiamento”, recita il ddl. nell’introduzione.
Le nuove scuole saranno governate da un Consiglio di Amministrazione -si legge sempre nell’introduzione- che è “l’organo di gestione della scuola”. Ogni scuola statale, trasformata in “fondazione”, proprio come un’azienda, può “avere {{partner pubblici e privati che le sostengano}}, disposti a entrare nell’organo di governo della scuola”. Tutto ovviamente allo scopo di “innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell’istituzione scolastica”. Peccato che subito dopo si affermi, che “attraverso la trasformazione in fondazioni si vuole anche favorire una maggiore libertà di educazione che poggia sulla natura sociale dell’educazione: un’opera da svolgere entro quella società civile e quegli enti pubblici e privati più vicini ai cittadini, che devono essere riconosciuti a pieno diritto come espressione dell’azione pubblica”.
Insomma il governo della squadra Berlusconi vuole giocare la partita dell’insegnamento e dell’apprendimento sul campo dei gruppi di tendenza prevalenti nel quartierino, “i rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi”( art.1.2), che potranno finalmente avere una scuola pubblica a loro asservita.
Il democraticissimo e funzionalissimo {{Consiglio d’Istituto}} attuale, dove tutte le componenti della scuola sono già rappresentate, sarebbe sostituito così da un verticistico strumento politico-economico di controllo e gestione della scuola, formato da 11 persone, “compreso il dirigente scolastico, che ne è membro di diritto”. Ma in quali rapporti proporzionali i magnifici 11 sarebbero, non è dato sapere. L’assise governativa dovrà comunque avere al proprio interno (art.6.1): “l’ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola” (come se il padrone di casa di un affittuario dovesse poi prendere, di diritto, parte alla gestione della famiglia), “esperti in ambito educativo, tecnico o gestionale” (chi sono?, quali titoli hanno?), “una rappresentanza dei docenti”, “dei genitori” e “negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, degli studenti”.
Intanto {{alle private (paritarie) andranno i danari sottratti a quelle pubbliche}}. Anzi si legge nella presentazione del ddl 953, è proprio questa la sfida: “resta la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all’istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie”. Vale appena sottolineare che in queste scuole di tendenza, che in Italia sono al momento soprattutto cattoliche, tutto sarà tranquillo, visto che chi comanda è l’ente gestore, di cui già per contratto i docenti sono tenuti ad abbracciare l’ideologia: “Nelle scuole paritarie la responsabilità amministrativa appartiene all’ente gestore” (art.1.7). Punto e basta! Per tutelarli da eventuali associazioni professionali di docenti, non conformi, e presenti sul territorio?
Maestri e prof. delle statali, intanto, dovranno fin che ne avranno le energie, e finché l’art. 33 della Costituzione Repubblicana non verrà cambiato, rivendicare che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Un principio, nato proprio dallo spirito resistenziale e antifascista, ma che se passerà il ddl Aprea sarà sempre più svuotato anche grazie alla {{“nuova” redifinizione della funzione docente}}. E’ inquietante infatti, come questo disegno di legge si preoccupi di sostituire abilmente libertà d’insegnamento con libertà didattica (art.5.1). Ognuno sa – e una pedagoga-pedagogista come la dott. Aprea non può non sapere -, che questa riguarda le strategie d’insegnamento di obbiettivi e contenuti prefissati.
E nel ddl. di cui ci stiamo occupando nostro malgrado, {{è proprio la libertà d’insegnamento ad essere sottoposta a vincoli}}, come si legge fin dall’introduzione: “La legge, nel dare attuazione al principio costituzionale della libertà di insegnamento, non può limitarsi alla mera definizione della libertà, ma ha il compito di stabilire regole precise con riferimento ai vari aspetti che incidono su di essa, come, ad esempio, il modo con cui si identificano le attività del docente, l’eventuale tipologia della funzione docente, i rapporti fra il docente e la scuola, i rapporti fra la scuola e gli altri pubblici poteri, le procedure di assunzione, la stabilità del rapporto, i princìpi su eventuali «carriere» eccetera.”; “In tale prospettiva il concetto di «stato giuridico» include, tra l’altro: l’identificazione (in che cosa consiste) e la configurazione (identica o differenziata) della funzione docente; i contenuti e i limiti della libertà di insegnamento”.
Insomma {{una libertà limitata e ben vigilata}}! Sottoposta a diversi controllori come abbiamo visto, a molti dei quali, per altro, nessuno chiede titoli culturali e professionali, quelli che i docenti hanno ovviamente, per parlare di scuola, progettare scuola, e fare scuola ogni giorno! E per moltissime ore al giorno.
Eppure {{saranno i clan del familismo}}, che magari nei confronti della scuola nutrono i livori per non aver preso bei voti, o per essere stati non sempre promossi… {{che maggiormente detteranno legge,}} visto che il docente deve procedere nella “sua funzione educativa… in collaborazione con la famiglia di ciascun allievo, e i relativi risultati educativi costituiscono l’oggetto della specifica responsabilità professionale del docente.” (art. 12.3). Poiché poi, tale “responsabilità” sarà valutata e costituirà anche elemento di progressione di carriera (anche economica):”le procedure per la valutazione e il controllo dell’attività dei docenti rientrano nella esposta nozione di «stato giuridico» e, dunque, nell’ambito riservato al legislatore statale. In tale contesto il Parlamento potrebbe introdurre, andando a colmare un vuoto attualmente esistente nell’ordinamento, forme di valutazione e di responsabilità del docente, che dovrebbero essere improntate alla predeterminazione dei criteri della valutazione medesima (quale, ad esempio, il raggiungimento di obiettivi formativi predefiniti)” –introduzione), si capisce bene a quali meccanismi perversi si andrà incontro. Tanto più che si potrà arrivare anche in {{caso di formulazioni di giudizio negativo sul docente}}, come il ddl prevede “alla sospensione temporanea della progressione economica automatica per anzianità del docente. Le valutazioni periodiche costituiscono credito professionale documentato utilizzabile ai fini della progressione di carriera e sono riportate nel portfolio personale del docente”.
{{Una vera e propria schedatura}}, dunque. E chi non supera l’esame, magari perché ne rifiuta anche il meccanismo perverso dei continui concorsi che il decreto prevede? Perché ha fatto già durissimi concorsi a cattedra ordinari. Perché ha già anni ed anni d’esperienza, e certamente potrebbe lui insegnare ai novelli “esperti” di nomina ministeriale? E forse saranno proprio i professionisti dell’insegnamento più bravi. Ve lo siete posto questo problema? Voi che intanto, per blindare l’autonomia professionale del docente, nel suo cardine della libertà d’insegnamento contro eventuali vertenze sindacali, prevedete nel ddl Aprea: “Al fine di garantire l’autonomia della professione docente e la libertà di insegnamento, è istituita l’area contrattuale della professione docente come articolazione autonoma del comparto scuola”. {{Una libertà a trattativa che già è preoccupante}}, ma come se ciò non bastasse, ecco pronta una altra gabbia di controllo: “le materie riservate alla contrattazione nazionale e integrativa regionale e di istituto sono individuate secondo criteri di essenzialità e di compatibilità con i princìpi fissati dalla presente legge. “ (art. 22).
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