SABRATHA (Libia) – la guerra oltre a fabbricare morti devasta cultura e memoria
Presenza di gruppi armati, oltre che di predatori di beni archeologici, e assenza di misure concrete di conservazione. Questa la pericolosa situazione in cui si trova l’antica città di Sabratha come altri siti del patrimonio libico, iscritti dall’UNESCO nel luglio 2016 nella lista del “patrimonio mondiale in pericolo”.
Riportiamo un servizio giornalistico (3 ottobre scorso) a cura dell’Agence France Press correlato da bellissime foto visibili in rete.
La città romana di Sabratha si estende su 90 ettari, con una parte lambita e sommersa dal mare, è una delle tre città dell’antica Tripolitania romana, con Oea (l’attuale Tripoli), e Leptis Magna. Oggi è circondata, assediata da vegetazione inselvatichita bruciata dal sole e dal vento marino, è in totale abbandono. La sua conservazione è stata affidata in passato a missioni archeologiche occidentali, ma da quattro anni ormai nessuno se ne occupa, “a causa del caos e della mancanza di sicurezza” conferma il responsabile del Dipartimento delle Antichità della Libia, Mohamed alChakouki.
La città soffre anche per la continua erosione e del degrado della pietra con cui è stata costruita, e anche di questo sono responsabili l’incuria umana e lo sfregio prodotto da spari e cannoneggiamenti. “Gruppi armati sono appostati dentro i siti archeologici e le battaglie che si scatenano dentro e vicino alle aree archeologiche sono un continuo pericolo. Il maestoso anfiteatro costruito tra il II e il III sec. vede le sue colonne di marmo rosa sfigurate dai colpi di mitragliatrici e cannoni. Giacciono a terra pezzi delle antiche costruzioni, frammenti di quello che fu uno dei gioielli dell’impero romano.
Secondo gli abitanti delle aree vicine, tiratori scelti piazzati nella parte alta dell’anfiteatro a settembre dello scorso hanno ucciso 39 persone e ne hanno ferite più di trecento nel corso di scontri tra gruppi armati. Oltre che subire le violenze descritte, molti dei siti libici protetti sono oggi minacciati dall’espansione urbana, tra questi Cirene, tesoro dell’epoca ellenistica, nella parte est della Libia. Profittando del caos e rivendicando la proprietà dei terreni gli abitanti costruiscono indisturbati all’interno del perimetro del sito archeologico.
Dalla caduta di Gheddafi nel 2011 la città moderna di Sabratha, a circa 70 chilometri dalla capitale Tripoli, è diventata il principale punto di partenza dell’immigrazione clandestina, le milizie e i predoni di esseri umani approfittano del vuoto di sicurezza e imperversano nel caos coi loro ‘affari’, assolutamente impuniti. Il saccheggio dei siti costituisce un’altra minaccia, sono favoriti i traffici clandestini e gli scavi non autorizzati fioriscono, col conseguente traffico di antichità. Sono molti i casi registrati di rapina di oggetti antichi: in marzo il governo spagnolo ha denunciato di aver ritrovato “numerose opere d’arte originarie della Cirenaica e della Tripolitania, tra cui sette mosaici, urne funerarie e manufatti d’origine egiziana. Secondo Madrid, è stato dimostrato che provengono dai siti di Apollonia e di Cirene, due necropoli saccheggiate da gruppi terroristici.
Cosa si può ancora salvare? Il Dipartimento delle Antichità tenta di salvare il salvabile chiudendo i musei, in particolare quello di Tripoli, o spostando i tesori archeologici in “posti sicuri”.
L’UNESCO già nel 2016 ha dichiarato in pericolo la città antica di Sabratha e altri quattro siti libici “sulla base dei danni già verificatisi e per le minacce che gravano su questi insediamenti”, “gruppi armati sono presenti sui luoghi o nelle strette vicinanze”. Un recente accordo sottoscritto da una missione di scavi spagnola operante a Sabratha per il restauro di alcuni manufatti e in particolare del teatro è a rischio, i responsabili libici del patrimonio locale ne sono ben consapevoli: “dipenderà dalle condizioni di sicurezza sul campo”. “…Emana dalla Libia un fascino particolare, che viene dai suoi paesaggi, ma anche e soprattutto dai suoi abitanti. Nessuno ha potuto soggiornare su queste spiagge della Sirte, anche per brevi periodi, senza esserne coinvolto. L’importanza delle vestigia del passato non è indifferente nel creare questa alchimia che si rinnova e ammalia la sensibilità di tutti i visitatori”: è questa la prefazione a uno dei più importanti libri sul fascino della Libia per il grande pubblico, scritto dal professor Andrè Laronde (1940-2011).
Risultato di una sedimentazione storica particolarmente fertile, il patrimonio storico libico resta eccezionale per ricchezza e diversità. Le campagne di scavi avviate nel XIX secolo da storici francesi, italiani e britannici, proseguite poi numerose da parte di istituzioni europee, canadesi e giapponesi hanno consentito di censire e identificare centinaia di siti archeologici di rilevante interesse. Questa terra che ha conosciuto tanti popoli e tante religioni ospita un grande patrimonio etnografico, antropologico e architettonico.
In questi ultimi sei anni, dallo scoppio della guerra civile, centinaia di video, migliaia di foto mostrano al mondo il degrado e la distruzione di Sabratha, Lepris Magna, Oea, Apollonia e molti convegni internazionali se ne sono occupati, attribuendo la responsabilità di questa devastazione del patrimonio libico al permanere di un conflitto senza fine. L’attuale stato catastrofico supera quello causato dall’embargo contro la Libia degli anni tra il 1998 e il 2003.
La stessa devastazione che hanno conosciuto l’Iraq e la Siria, vittime i loro musei e le loro vestigia storiche. In Libia si aggiunge che un gran numero di siti d’epoca medioevale e moderna sono stati distrutti in modo irreversibile per la presenza nelle vicinanze delle zone di combattimenti, diventando veri e propri campi di battaglia e obiettivi militari. Le indagini e le notizie più recenti non lasciano speranza sulla mole del traffico illegale di antichità anche da zone non colpite fino a qualche anno fa, nella totale assenza di misure giuridiche di protezione dei musei e dei siti di scavo. È urgente lanciare un appello alla comunità internazionale, a tutte le autorità accademiche, all’UNESCO: resta poco tempo per sperare di salvare quello che resta del magnifico patrimonio archeologico e culturale della Libia. (Da Mediterranea – UDI di Catania )