“Santa o sguardrina. Essere donna in Italia” di Barbara Bachmann e Franziska Gilli
Santa o sgualdrina è il titolo provocatorio, con sottotitolo Essere donna in Italia, scelto da Barbara Bachmann e Franziska Gilli per l’indagine che “si dipana tra i racconti di una coppia alle prese con la sfida della parità durante il Covid-19, di una ragazza ossessionata dal controllo del proprio corpo, di madri traumatizzate da esperienze di violenza ostetrica e di femministe in lotta per liberarsi dagli stereotipi di genere.”
Due giornaliste nate a metà degli anni ‘80 che, indipendentemente l’una dall’altra hanno riflettuto “sulla immagine femminile in Italia” per poi approfondire insieme l’impietoso ritratto del Bel Paese “di cavalieri e gentiluomini” lontano da superare stereotipi; in cui “la madre” rimane un’icona indiscussa” e dove, “in media ogni tre giorni, una donna muore per mano, nella maggioranza dei casi, del suo compagno”.
Intrecciando significativamente testi e fotografie – entrambi di grande impatto ed estremamente puntuali – le Autrici si sono mosse “tra passato e presente, restituendo felicità e tristezza, forza e debolezza, coraggio e rinuncia delle donne cui dà voce”.
Voci laiche e religiose d’ogni età ed estrazione e impegno nella società.
La Vergine Maria e Maria Maddalena, costanti riferimenti del modello femminile italiano ancora poco scalfito nella sostanza dalle lotte femministe e dalle riforme legislative, si offrono a paradigma di un percorso compositivo e artistico che rileva “i sette peccati capitali e rispettive antitesi, emanazione diretta del pensiero manicheo della Chiesa cattolica” attraverso sette capitoli solo in apparenza inconciliabili, ciascuno un mondo a sé: Gola & disciplina; Avarizia & generosità; Ira & amore; Invidia & lode; Lussuria & svogliatezza; Superbia & dubbio; Accidia & zelo.
Strade, abitazioni, conventi parchi fanno da sfondo a protagoniste e protagonisti (in Invidia & lode – con anticipazione “la donna può tutto” – anche spogliarellisti, apicoltori, ristoratori ed ex sindaci, studenti, sacerdoti), che esprimono idee opposte (anche rispetto alla propria identità), in un florilegio di luoghi comuni specie sul femminismo. Es. “il termine femminismo mi rattrista. Ho diverse amiche femministe. Il loro modo di esprimersi tradisce ai miei occhi quanto siano consapevoli delle menzogne che vengono loro raccontate. Sono donne ingannate e deluse, mi fanno pena” (Emanuela Pongiluppi Eleuteri, 1968, consulente aziendale, attivista del Popolo della Famiglia, Milano, in Superbia & dubbio, p. 133)
Due pagine prima (Superbia & dubbio, p. 131), Anna Maria Busia (1963, avvocata, ex consigliera regionale, Cagliari), dichiara: “Oggi mi viene da ridere se vengo apostrofata come femminista. Come se fosse un insulto. Per fortuna, nel nostro Paese il femminismo è ormai un movimento importante. Non sono d’accordo con tutto. Ad esempio non apprezzo le femministe che fanno politica adottando uno stile maschile, ma ho grande rispetto per le pioniere del movimento a difesa dei diritti delle donne. Ovviamente anche io sono femminista. Talvolta i miei tacchi atti e il mio modo di vestire vengono giudicati poco femministi. Evidentemente, non rispondo a una certa immagine precostituita” (Superbia & dubbio, p. 131).
C’è anche chi lucidamente afferma: “Sono una postfemminista. Non ho mai sentito la necessità di essere femminista. Ho sempre ottenuto ciò che volevo senza dover combattere anche perché altre avevano già combattuto per tutte noi. L’Italia non è più maschilista di altri Paesi”(Alessandra Adalgisa Cecchini, 1965, chirurga plastica, Milano, p. 125).
In Lussuria & svogliatezza, con sottoscritta Della sofferenza silenziosa delle partorienti e dell’ideale della verginità di Maria, troviamo la denuncia della violenza ostetrica “il problema degli abusi subiti durante il parto è ancora vissuto con vergogna” (p. 83) alla Congregazione delle Suore Pie Operaie dell’Immacolata Concezione, fondata ad Ascoli Piceno da don Francesco Antonio Marcucci (1744) “tutte le donne dovrebbero essere come Maria ed elevare anche gli uomini”, le quali suore “valutano in modo critico la diffusione del movimento per l’uguaglianza di genere nel Paese” (p. 117)
Il volume, nelle intenzioni, rileva comportamenti, motti, consuetudini di pensiero, ruoli tradizionali nella sfera domestica e pubblica, utilizzo dei mass media di vecchia e nuova generazione compresi i social, nel proporsi individuale e collettivo, di fatto costituendo una summa di quanto più sessista permanga nel nostro Paese.
In chiusura, Accidia & zelo, con dicitura “Insieme siam partire, insieme torneremo”, rassegna anche fotografica di manifestazioni di donne del Terzo Millennio (20-19-2020), ultima quella del Ndum (Roma, 8 marzo 2020); epilogo e biografie delle Autrici che ringraziano per il sostegno, nella ricerca e nella pubblicazione, la Ripartizione Cultura italiana della Provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige per il tramite del Museo delle donne di Merano.
Rimane aperta la domanda: “Cosa s’intende per i termini femminismo e femministe che anche quantitativamente – per citazioni e centralità discorsiva – è il termine/soggetto dominante, il riferimento più citato/omesso del volume, tanto per restare in ottica dicotomica?
Si suggerisce un proseguo d’indagine.
Info: Barbara Bachmann, Franziska Gilli; traduzione di Federica Romanini, Santa o sguardrina. Essere donna in Italia, Edition Raetia, Bolzano, 2021