Se che sia femmina non guasta … certo non basta
Il recente scenario offerto dalla frenetica corsa di alcune donne verso le “Stanze
degli uomini” – roccaforti d’insediamento del potere patriarcale maschile –
suscita, per lo stile, i modi, la trivialità dei toni e l’idioma da caserma, un
lieve Sconcerto. Moralismo? No. Non ho mai pensato che essere “femministe” dovesse
necessariamente coincidere con: licenza all’insulto, sadismo, sarcasmo, odio per
le proprie simili anche se al mito delle “sorellanza”, a dire il vero, non ho
mai creduto.
_ Anni di storia, di pensiero, di pratiche femministe e femminili sepolti e di colpo
inesistenti.
Ciò cui stiamo assistendo in questo assalto maldestro e sconsiderato di alcune
donne alle Stanze del potere, è l’ennesimo e squallido perpetuarsi di modelli di
comportamento maschi, di logiche guerrafondaie che trovano il loro naturale
nutrimento-compiacimento nella violenza, nella contrapposizione duale – roccaforti
di un patriarcato che lungi dall’essere estinto, sopravvive ammuffito ma rinverdito
proprio grazie alla complicità di quel “genere” di donne che dopo aver rinunciato a
una sana “conversione al proprio genere” (Irigaray), in preda a
un’identificazione mimetica con il maschio e del tutto inconsce a se stesse, di se
stesse e dei loro comportamenti – si fanno paladine di una “politica delle
donne”, di “patti di genere” smentiti dalla realtà di una frammentazione di
gruppi senza precedenti e di altre amenità. Devo dare ragione, mio malgrado, e
controvoglia, a quanto scrive in proposito Guido Vitiello quando dice che:
{il patto di genere non è un patto di genere “per la contradizion che nol
consente”, non foss’altro perché taglia fuori le donne con idee sgradite,
preferendo tappar loro la bocca come farebbe un fallocrate qualunque. E il patto di
genere non è un patto di genere perché il corpo (elettorale) delle donne non è
stato scrutinato, e quel “tutte per una” è un’annessione abusiva, una
finzione retorica perfino più marchiana della “rete” e dei “territori”.}
Ergo, il patto è degenere, e ha a che fare semmai con fazioni, cordate
ideologico-editoriali, rendite di posizione, posticini al sole da difendere, private
ambizioni politiche….
Si tratta, invero, di formule non nuove e malamente rispolverate che se rimandavano,
un tempo, a una certa ricchezza di contenuti, di analisi, di nuove prospettive
etiche e politiche, di processi decostruttivi e ricostruttivi di un simbolico malato
in quanto monosessuato, si ripresentano oggi sulla scena per essere malamente
riutilizzate – svuotate di una loro antica dignità nel tempo di una miseria – prima
che comportamentale – culturale e ideativa.
Non appoggerò donne come queste nella loro scalata a un potere che intristisce,
deprime, svuota, impoverisce, sottrae risorse, energia, Bellezza, restituendo in
cambio, bruttezza, brutalità, arroganza, prepotenza, presunzione.
E non è
misoginia, potete contarci, è che amo troppo le mie simili – e i miei simili – per
assistere a questo scenario alienante che le fa spasimare per un potere tanto
distruttivo e autodistruttivo.
Il problema non è Zanardo – tanto per nominare, com’è giusto che sia, la persona
contro cui ci si accanisce accusando, non senza ragione, il suo video di
“primitività” culturale – ma riguarda il culto idolatrico di cui alcune figure
di uomini o di donne, al di là dei loro meriti, vengono a un certo punto – e per
delle ragioni in apparenza incomprensibili e complesse che andrebbero indagate caso
per caso – improvvisamente investite.
La storia passata e recente del nostro Paese mostra che questi fenomeni idolatrici
sono possibili e ci avverte del rischio della ripetizione – sia pure su scala
diversa e ridotta – di certi eventi e dei disastri prodotti da alcuni di essi non
senza morti sul campo di cui faremmo bene a conservare memoria.
Quel che la storia insegna è che popolarità e successo nascono spesso da una serie
di condizioni che prescindono dalla qualità e dal valore delle persone che –
sostenute da quell’ipnosi collettiva di massa descritta da Freud in Psicologia
delle folle a analisi dell’Io – finiscono per beneficiarne.
Ecco, credo che l’attenzione e l’analisi su certi fenomeni “neo femministi”
(?) cresciuti nel cuore del berlusconismo debbano tenere la tensione non alta
Altissima.
{{Le stanze degli uomini}}
A proposito delle donne che vogliono entrare nelle Stanze degli uomini convinte di
portarvi una “nuova” politica, riporto il dialogo-intervista, assai interessante,
fra Iaia Caputo e Miriam Mafai contenuto nel libro di Caputo {Le donne non
invecchiano mai}:
{{Caputo}}: “Tu non sei mai stata femminista, anzi, tra la tua generazione e le più
giovani donne del movimento ci sono state a lungo distanze, incomprensioni, persino
inimicizia, Secondo te dove sbagliavano?
{{Mafai}}: Personalmente sono ancora d’accordo con quello che scrisse Simone de
Beauvoir, e cioè che donna non si nasce ma si diventa mentre il femminismo esalta la
differenza. E anche se riconosco che ha portato alla luce temi che forse noi non
avremmo fatto emergere con la stessa forza, purtroppo il femminismo nella vita
politica ha inciso pochissimo, almeno nel senso che non ha portato a una maggiore
presenza delle donne sulla scena pubblica. Dove sbagliava? Lo dirò con una battuta:
{Se ti siedi a un tavolo dove stanno giocando a poker e dici che vuoi fare un gioco diverso, ti rispondono:” fatti un altro tavolo”}.
_ La politica è, se vuoi, questo Orrore: un insieme di passione autentica, di
intelligenza vera, e poi anche di intrigo, di ambizione.
Non vedo come le donne possano introdurvi elementi diversi: se vogliono far politica
quelle sono le regole. se non piacciono bisogna fare un’altra cosa: volontariato,
associazionismo.
L’onestà morale e intellettuale mostrata da Mafai in questa intervista è una rarità
che dovrebbe essere presa come esempio: non si fanno giochi diversi in un tavolo in
cui il gioco è già deciso in partenza, è pura illusione.
_ Bisogna farsi un altro
tavolo. Capisco molto bene che cosa questo significhi per aver personalmente
attraversato una certa esperienza in un campo diverso ma obbediente alle stesse
regole di quella politica di cui Oikos-bios è{ L’altro tavolo}.
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