Se il vento del pregiudizio gonfia le vele dell’informazione
Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta che l’onorevole Donatella Linguiti, Sottosegretaria di Stato ai Diritti e Pari opportunità, ha scritto a Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera, su come vengono trattate alcune notizie, in questo caso relative ad una donna Rom morta per incidente stradale sulla via Pontina (Roma) Caro Direttore,
Le scrivo in merito all’articolo apparso sul suo giornale lo scorso 11 dicembre, a firma Rinaldo Frignani, nel quale si riporta la notizia della morte, in seguito ad un incidente stradale avvenuto sulla via Pontina, di una donna Rom che viveva nel campo di Castel Romano a Roma.
La lettura di quell’articolo mi ha fortemente colpita e vorrei fare delle considerazioni su come vengono “trattate” alcune notizie.
In primo luogo, il cronista accenna al fatto che la donna si trovava in un punto dove sarebbe “vietato attraversare”. Mi chiedo se esista davvero un segnale relativo a tale divieto e, nel contempo, se in corrispondenza del campo, dove vivono più di mille persone, vi sia un limite di velocità adeguatamente segnalato. Da come viene scritto nell’articolo ho motivo di ritenere che si voglia dare {{l’ennesima rappresentazione del luogo comune}} secondo il quale i Rom tendono sempre ad essere trasgressivi, a non seguire le norme, le regole e le prassi consolidate.
Peraltro, l’attraversamento della Pontina in un tratto pericoloso, è una circostanza che riduce forse la drammaticità di quanto avvenuto?
Senza contare che, vietato o meno che sia attraversare in quel tratto, non vi è alternativa per giungere a quel campo, situato a 30 chilometri da Roma e rigorosamente fuori dal raccordo anulare. C’è un autobus che non sempre si ferma, soprattutto se ad attenderlo ci sono solo Rom.
L’unica certezza dunque è che per spostarsi dal campo o per farvi ritorno non si può fare affidamento sull’autobus e non c’è altra alternativa per attraversare la Pontina, che sappiamo bene essere una strada a scorrimento veloce. Ma è l’unica comunicazione tra il campo e il resto del mondo. In qualche modo bisogna attraversarla, perché lì il campo è stato costruito. In un non luogo desolato dell’agro pontino dove c’è solo questo modernissimo campo Rom, dove sono tenuti, lontani dallo sguardo della città, circa un migliaio di esseri umani, evidentemente {{minacciosi per il decoro urbano}}.
In secondo luogo, nell’occhiello al titolo c’è scritto “{{Portava un carrello}}”, quasi fosse indicativo di chissà quale indizio. Nella seconda parte dell’articolo, infatti, il cronista si sofferma lungamente sugli abiti nuovi che, contenuti nel carrello, l’impatto avrebbe sparpagliato sull’asfalto. La tesi di fondo è che nulla prova che la merce che la signora investita portava con sé fosse di sua proprietà. Anche fosse stata rubata, concetto che è sottointeso a tutto il ragionamento, {{c’è forse la pena di morte per il furto con destrezza?}} O non è vero piuttosto che stiamo ancora plaudendo alla recente messa in mora della pena di morte? Questo non vale per le donne Rom?
Cosa bisogna pensare a leggere questo articolo, che ho una informazione incongrua, una “non informazione”? E perché ci si dovrebbe soffermare su questo aspetto, qual è il nesso di pertinenza o rilevanza rispetto alla morte della donna?
È evidente che si ammicca all’idea che {{se una Rom ha delle merce nuova è molto probabile che l’abbia rubata}}. Viene facile, anche di fronte ad una morte, lasciare che sia il vento del pregiudizio, del luogo comune, a gonfiare le vele del testo. A evocare stereotipi e pregiudizi c’è da guadagnare perché il lettore ci si riconosce subito, parla alla sua pancia.
Nell’articolo non c’è alcuna parola spesa per ricordare che, nonostante le denunce di autorevoli, numerosi e reiterati rapporti internazionali, i popoli Rom, Sinti e Camminanti sono ancora i gruppi sociali più emarginati e più discriminati in tutta Europa. {{Come Sottosegretaria di Stato, mi sento interrogata da fatti come questo}}, che non c’è dubbio riguardano le istituzioni tutte e le loro responsabilità, sia locali che nazionali.
Episodi come questi avvengono in condizioni di degrado, marginalità e discriminazione a cui si aggiunge {{il peso dell’immagine sociale del Rom come disvalore}}. I media hanno o no qualche responsabilità in questo? Possibile che anche nel dare notizia di una morte si debbano fare allusioni a stereotipi e pregiudizi? Si vuole o no ipotizzare un lavoro comune, anche con i mezzi d’informazione, per invertire la tendenza ad alimentare sentimenti xenofobi nel nostro Paese?
{{I media non possono sottrarsi alle loro responsabilità}} nei confronti dell’opinione pubblica a cui si rivolgono e hanno l’obbligo del rispetto dei fondamentali diritti umani, anche e soprattutto nel formulare le notizie.
Il 12 dicembre, a Strasburgo, in una seduta speciale al Parlamento europeo. è stata proclamata solennemente la {{Carta europea dei diritti fondamentali}} dai leader delle tre istituzioni europee. Il documento è stato firmato in aula dal presidente di turno dell’Ue, il premier portoghese Josè Socrates, dal presidente della Commissione Ue Josè Manuel Durao Barroso e da quello dell’Europarlamento Hans Gert Poettering.
L’Articolo 21, “Non discriminazione”, di quella Carta recita: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.
Vale anche per i Rom?
Per Ljolji Konovalov, 39 anni, incinta al quarto mese, ormai è irreversibilmente tardi.
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