ELENA FERRANTE al Festival di Mantova
Il 9 settembre nella Basilica Palatina di Santa Barbara a Mantova si è parlato dei libri di Elena Ferrante che, mantenendo rigorosamente segreta la propria identità, sostiene: “I libri non hanno alcun bisogno degli autori, una volta che sono stati scritti”, e il successo raggiunto dai suoi romanzi le sta dando ampiamente ragione. Un’altra afferamzione di questa scrittrice è stata: «Io penso che la buona novella sia sempre: è uscito un libro che vale la pena leggere. Penso anche che, di chi l’ha scritto, alle lettrici e ai lettori veri non importi niente. Persino Tolstoj è un’ombra insignificante se va a passeggio con Anna Karenina».
E mentre il suo volto resta coperto dall’impenetrabile coltre dell’anonimato – scrive Rita Lafelli sulla Gazzetta di Mantova– i suoi libri viaggiano in tutto il mondo e conquistano milioni di persone. Negli Stati Uniti la chiamano la ‘febbre della Ferrante’. E’ un morbo letterario che si trasmette attraverso il passaparola e viaggia veloce su Twitter con l’hashtag #FerranteFever. Anche Hillary Clinton è stata contagiata da questa passione. L’ha confessato un paio di giorni fa nel podcast con cui si rivolge ai sostenitori: «Sapete cosa ho cominciato a leggere? Le ‘neapolitan novels’ di Elena Ferrante».
Qual è il segreto di questo successo planetario? Se n’è parlato ieri nella basilica palatina di Santa Barbara nel corso di un evento che ha visto protagoniste la scrittrice statunitense Jami Attenberg, la filosofa Luisa Muraro e Sandra Ozzola, responsabile della casa editrice che pubblica le opere della Ferrante. L’unica a conoscere la vera identità della misteriosa autrice. «Ci sentiamo quasi tutti i giorni – ha svelato – il nostro è un rapporto di collaborazione ed amicizia che dura da 25 anni ed è accompagnato da un patto di ferro: il rispetto dell’anonimato. Quando ho ricevuto il suo primo manoscritto (l’Amore molesto), ho intravisto subito la grandezza: nelle sue opere si ritrova l’intensità della lettura tipica dell’infanzia».
La Attenberg conosce bene questa sensazione, perché è una delle portatrici sane della ‘Ferrante fever’. «La ammiro e allo stesso tempo le invidio l’anonimato – ha rivelato – Il suo lavoro, così coraggioso ed ambizioso, mi spinge a migliorare come scrittrice. Il segreto del suo successo in America? La cottura a fuoco lento dei sentimenti. Negli Usa non siamo abituati a questo: andiamo sempre troppo veloci».
Secondo la Muraro, i punti di forza della Ferrante sono parecchi: «E’ stata una delle prime a rivendicare il valore della scrittura femminile – ha sottolineato – La fedeltà al proprio essere profondo è la vera lezione di questa autrice, che attinge dalla materia autobiografica per estrarre lavori di narrativa». Ospite d’eccezione, l’attrice Anna Bonaiuto (interprete, tra l’altro, della trasposizione cinematografica dell’Amore Molesto), che ha strappato lunghi e calorosi applausi, recitando con intensità brani tratti dalle opere della Ferrante. Ieri, dunque, a Mantova mancava solo lei: la misteriosa scrittrice. O forse c’era? Chissà…
Che cosa rende le tormentate vicende di Lila e Lenù, protagoniste di questa saga napoletana dal sapore di romanzo di appendice, una storia universale? Hanno risposta a questa domanda l’editrice Sandra Ozzola, la filosofa Luisa Muraro e la giovane narratrice americana Jami Attenberg, che ha dato il nome della scrittrice italiana a un personaggio del suo romanzo Santa Mazie.
Elena Ferrante è stata inserita dal Time tra le cento persone più influenti del 2016, l’autrice della tetralogia di L’amica geniale sta suscitando un interesse tra il pubblico americano abbastanza raro per uno scrittore italiano: recensioni entusiastiche sono uscite sul New York Times, sul New Yorker, addirittura sull’Economist. (10 settembre 2016)
E…questo quanto scritto Luisa Muraro
Elena Ferrante è il nome che si è data l’autrice di due romanzi pubblicati dalla casa editrice e/o di Roma, L’amore molesto (1992) e I giorni dell’abbandono (2002), romanzi che hanno avuto un notevole successo di pubblico e di critica, come si usa dire. I suoi editori, Sandra Ozzola e Sandro Ferri, hanno protetto l’anonimato della scrittrice facendosi intermediari tra lei e chi voleva contattarla, per interviste o altro. In questo modo hanno raccolto un certo numero di lettere e scritti di lei che, alla fine dell’anno scorso, con il suo consenso, sono stati raccolti e pubblicati in un volume intitolato La frantumaglia. Tutte le citazioni che seguono provengono da questa raccolta.
La frantumaglia è un vero libro, nonostante la maniera in cui è stato composto, lo è perché lo anima un pensiero di notevole energia. E quella che ha scritto i diversi testi che lo compongono, ha la capacità (forza, libertà, dono?) di dire quello che pensa così come lo sente. Io qui non farò niente che somigli ad una degna recensione, ne cavo solo elementi per qualcosa che ho dentro da mesi, anni, che è di riuscire a pensare quello che ci sta capitando, specialmente fra donne e uomini, e perciò di farmi l’orecchio alla lingua corrente, perdendo un certo linguaggio che ci rende preziose e scontate.
Non tutte sono d’accordo con questa critica, lo so. Lo sarebbe però la Ferrante, almeno per quel che mi riguarda personalmente. C’è infatti un passo in cui mi cita in maniera tutt’altro che lusinghiera. L’antefatto: per contentare i suoi editori che sono diventati anche suoi amici, lei ha scritto un testo per il loro catalogo, mettendosi così sulla “china della scrittura a comando”. Scopre che è facile, che le piace, si sente pronta a scrivere di qualsiasi cosa, dice. E per dimostrarlo fa un elenco ironico di temi con relativo svolgimento. Comincia con un tema ridicolo (festeggiare l’auto nuova dei suoi editori) ma arriva presto ad un tema serio, così almeno lo considereremmo noi e forse lei stessa, “l’urgenza femminile di imparare ad amare la madre”. E si mette a svolgerlo, come si fa con un tema di scuola. Comincia con un episodio autobiografico, molto vivo, dopo di che, scrive, “troverò una strada per svolgere il mio compitino fino a citare ad arte Luce Irigaray e Luisa Muraro” (p.20).
Non faccio commenti, perché il commento lo fa lei e io lo condivido, non importa qui stabilire se la cosa risalga al libro stesso (intendo L’ordine simbolico della madre) o all’uso che ne abbiamo fatto.
Più avanti, in risposta a Goffredo Fofi, che le ha chiesto se abbia una cultura psicoanalitica e femminista, scrive: sì, da lettrice e da ascoltatrice muta mi sono interessata un poco alla psicoanalisi e, di più, al femminismo. Aggiunge che si sente vicina al pensiero della differenza, ma… E così arrivo al punto che m’interessa sottolineare: “Ma mi sono lasciata prendere anche da molte altre cose che hanno poco a che fare sia con la psicoanalisi che col femminismo, che con la riflessione odierna delle donne” (p. 60). Lasciarsi prendere da altre cose, questo ci capita a tutte, di solito, a meno di patologiche fissazioni. Il difficile, almeno nella mia esperienza, è di tenere presenti queste altre cose nella loro autonomia, perché dicano quello che hanno da dire, senza subordinarle al già pensato né ricacciarle nell’insignificante: tenerle lì, davanti a me, altre e vicine, come parte di un mondo che m’insegna la parzialità del mio pensiero. Senza per questo invalidarlo.