Sibilla Aleramo, “una donna” con due grandi passioni: la vita e l’arte
Figura di spicco nel panorama socioculturale del primo Novecento, Aleramo è un personaggio controverso: osannata da alcuni, criticata, in modo anche pesante, da altri.
La sua esistenza fu difficile, anche se intensa. Ne abbiamo chiara traccia nel romanzo autobiografico “Una donna”, dove vengono messe a nudo le vessazioni e i pregiudizi che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento gravavano sulle donne, obbligate a ruoli dai quali non potevano liberarsi se non col rischio di gravi conseguenze.
La stessa Sibilla, dopo essere stata insidiata da un uomo meschino, dovette subire il “matrimonio riparatore”.
Il marito, incolto e rozzo, continua a usarle violenza fisica e psicologica anche dopo il matrimonio, così da portarla a tentare il suicidio. “Ma come può diventare una donna, se i parenti la danno, ignara, debole, incompleta, a un uomo che non la riceve come sua eguale, e ne usa come d’un oggetto di proprietà?”. L’uomo usa e abusa il corpo della donna, ma non riesce ad intaccarne l’energia intellettuale. “L’umanità che avevo mortificato in me, tutto quel tempo di dedizione, era più ricca della sua. Tanto ricca, che aveva assistito al proprio strazio senza interiormente impoverirsi. … Egli scorgeva di me soltanto i gesti, il pianto, le mani che supplicavano, il corpo che si offriva pronto ad esser spezzato, e non quello che in me egli non poteva distruggere … sentivo solo giganteggiare la mia solitudine, il mio isolamento morale: mentre ponevo un certo impegno nel partecipare a mio marito le impressioni che ricevevo, ad essere per lui come un libro aperto, comprendevo bene che il substrato della mia vita restava inviolabile, e che, anche volendo, non avrei potuto farmi aiutare nell’opera di scandaglio che continuava in me”.
Sibilla trova conforto nell’amore per il figlio nato da questa infelice unione, nella scrittura, e nelle varie amicizie da lei intrecciate con poeti e artisti. E una donna anticonformista, lontana dalla mentalità corrente, dal perbenismo, dai compromessi, dall’ipocrisia. «Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti si accontentavano … Ognuno portava la sua menzogna, rassegnatamente”. Decide di lasciare il marito. “Ero più che mai persuasa che spetta alla donna di rivendicare sé stessa, ella sola può rivelar l’essenza vera della propria psiche, composta, sì, d’amore e di maternità e di pietà, ma anche, anche, di dignità umana!”. E si impegna per la conquista del diritto di voto e per la lotta contro la prostituzione, dando inizio alla “rivolta emancipatrice della prima femminista italiana” (Maria Antonietta Macciocchi): “Bisogna riformare la coscienza dell’uomo, e creare quella della donna … e spetta alla donna di rivendicare sé stessa, ch’ella sola può rivelar l’essenza vera della propria psiche, composta anche di dignità umana!”.
Le nuove scelte di Sibilla hanno un costo elevatissimo: le procurano gli strali velenosi della volgarità misogina, e anche quelli, forse frutto dell’invidia femminile, di scrittrici che, pur riconoscendo la sua “coscienza evoluta”, ne prendono le distanze. Aleramo è una donna di rottura, e dunque, per molti versi, è scomoda. “La società non mi perdona proprio questo – scrive – non mi perdona ch’io vada sola, io donna, … Non mi perdona, e si vendica … Cioè, crede di vendicarsi, forte …. della sua infinita viltà. …”. Ha una vita di relazione molto intensa, coltiva numerose amicizie in ambiente letterario, artistico e politico, da Rodin, a Valéry, Joyce, Apollinaire, Deledda, Pirandello, Montessori, Balla, Bontempelli, Gorkij, Gide, Duse, Gobetti, D’Annunzio, Raphael Alberti, Togliatti, Jotti, Morante, Guttuso Anna Kuliscioff, Filippo Turati. E ha molti amori, tutti cercati tra poeti, letterati e artisti, come Cardarelli, Cena, Papini, Rebora, Boccioni, Evola, e poi Dino Campana, a cui dedica versi di grande intensità.
Di fronte ai suoi tanti amori, la società borghese grida allo scandalo. Eppure, le passioni della donna, spesso tormentate – così traspaiono dai suoi epistolari – sono tali da spingere Eugenio Montale a scrivere: “Sopravvissuta a tante tempeste portava ancora in sé, e imponeva agli altri, quella fermezza e quel segno di dignità che erano stati la vera sua forza e il suo segreto”.
L’amore diventa il tema centrale dell’opera di Aleramo. “Amo dunque sono“, è il titolo di un altro suo romanzo. Così lei scrive: Nome non ha / amore non voglio chiamarlo / questo che provo per te / non voglio tu irrida al cuor mio / com’altri a’ miei canti / ma, guarda /se amore non è / pur vero è/ che di tutto quanto al mondo vive / nulla m’importa come di te / de’ tuoi occhi donde sì rado mi sorridi/ della tua sorte che non m’affidi / del bene che mi vuoi e non dici / oh , poco e povero, sia / ma nulla al mondo più caro mi è / e anch’esso quel tuo bene / nome non ha…
Sibilla intende l’amore alla maniera della Lucinde di Schlegel, e cioè, come tramite per “rivelar … i misteri onde siam permeati … per trans-umanarci.” Scrive: “Cercavo l’amore, con la persuasione, assoluta, che soltanto per suo mezzo mi sarebbe dato d’accostarmi al principio divino, all’essenza invisibile dell’universo. Dove altri perviene con l’ascesi solitaria, io non arrivo se non ho l’ausilio d’un’immagine viva, nella quale sia il mio stesso segno d’immortalità. Mi riconosco incompleta, come Adamo prima che Eva gli sorgesse al fianco, come l’innamorato del mito platonico…Quanto più sono andata crescendo, e salendo, … sola e di me stessa signora.., ..quanto più mi sono sentita diversa da ogni altra, tanto più ho anelato a trovare chi duplicasse la mia ricchezza, chi ne facesse un miracolo immane, chi si smarrisse con me nell’immensità del cosmo, in preghiera, in estasi. Perché io sono nata poeta, non santa.”
Aleramo rivendica una dimensione autonoma anche come donna-letterata: cerca il “suo” spazio nella cultura contemporanea utilizzando tecniche espressive originali, per mostrare “l’anima femminile moderna” tramutando l’essenza di una vita in arte. Come Schlegel, annuncia una donna nuova, emancipata dal quel “paradigma matrimoniale” che Wilhelm Heinse sosteneva dovesse essere lasciato soltanto “a un’umanità inferiore”. E, come la Diotima del Convito platonico, simboleggia un modello di donna che ama con la pienezza del proprio essere, senza altro limite che quello della sua “fedeltà interiore”, con la convinzione nietzschiana che “tutto ciò che è fatto per amore, è al di là del bene e del male”.
Fonde vita e arte. Utilizza la sensualità e la fisicità come linguaggio poetico. Ma vuole evitare di fare del suo stile una scrittura di derivazione (da quella maschile). E in “Apologia dello spirito femminista”, del 1911, va alla ricerca delle “segrete leggi del ritmo” per scoprire le “movenze nuove”, i “brividi”,“gli scatti”, “le pause”, insomma, tutto ciò che fa la diversità dello stile espressivo. Per Aleramo (come per Kristeva) la lingua è inscritta nelle pulsioni del corpo, e il linguaggio, è linguaggio musicale.
Su ciò, Massimo Bontempelli: “vi sento una vastità d’orizzonte […] che non ho saputo ancora comprendere bene. Né forse saprò, date le mie scarse conoscenze in materia di idealità e di lotte femministe; ma ne sento molto bene l’efficacia artistica…”.
Sibilla Aleramo è stata una delle figure più anticonformiste della letteratura del Novecento europeo.
Della seconda parte della sua vita così ha scritto: “Ho fatto della mia vita, il capolavoro che non ho avuto modo di creare in poesia “.