SIMONE DE BEAUVOIR E LA VIOLENZA SULLE DONNE
La violenza sulle donne è un tema che purtroppo viene ormai evidenziato quotidianamente o dalla cronaca o da chi affronta questo drammatico fenomeno per una riflessione più ampia e possibilmente proficua. Riflettendo anch’io sull’argomento ho ricordato che la prima volta che fu fatto un lavoro di grande approfondimento sull’ argomento fu alla fine degli anni ’70, non ricordo esattamente la data, grazie al primo Convegno Internazionale delle Donne che si tenne a Parigi, organizzato da Simone De Beauvoir e i movimenti femministi operanti in Francia.
Devo dire che per me riparlarne suscita ancora una certa emozione perché fu allora -tantissimi anni fa – che scoprii la portata e la gravità del fenomeno della violenza sulle donne e contemporaneamente ebbi il piacere di incontrare Simone ( ero con Alma Sabatini mia compagna di tante esperienze nel mondo del femminismo che in quegli anni stava fiorendo anche nel nostro paese) Ricordo ancora quella vasta sala congressi dentro il Palais des Invalìdes gremito di donne giovani, una gran parte delle quali saliva per la prima volta su un palco e prendeva coraggio per raccontare un pezzo del suo privato in pubblico, le violenze che aveva subito, prevalentemente in famiglia. Per me fu un’esperienza inaspettata e scioccante e ancora oggi rivedo la figura di Simone di Beauvoir che presiedeva il convegno rigida, apparentemente algida ma intensamente partecipe. In realtà lei stava realizzando ciò che aveva teorizzato con le parole “narrare è già politica, quando è messa in parola la propria esperienza…”
E non a caso queste sue parole sono state scelte come titolo per accompagnare una serie di incontri di riflessione sulla figura e sulle opere di questa protagonista del ‘900 , tenutisi qualche anno fa, a Roma, con lo scopo di rivedere la complessità del suo pensiero e di ricercare la misura in cui quel pensiero oggi può ancora essere utile ad una riflessione che ci riguardi. Dobbiamo dire con sincerità che al tempo molte donne femministe disprezzavano la filosofa – scrittrice perché, dal loro punto di vista, ambigua, non sincera in quanto compagna di un personaggio come Sartre e quindi non “libera”. Ma quelli erano tempi di estremizzazioni, come accade in tempi di rivoluzioni. E noi stavamo vivendo la nostra.
Forse è davvero il momento di ricontestualizzare la sua produzione letteraria e filosofica partendo dal periodo in cui ha visto la luce, dai luoghi in cui tutto ciò avveniva, i momenti storici e politici che hanno attraversato la vita di Simone e di ripensarla alla luce del nostro percorso intellettuale e delle esperienze reali che abbiamo fatto in tutti questi anni .
Una distanza di quasi cinquant’anni può essere uno spazio importante che ci costringe a porci nuove domande anche sul suo pensiero, su di lei Simone, e su di noi che come donne ci battiamo ancora con tanta fatica,
Certamente, per non disperderci tra i meandri di un pensiero tanto ricco e variegato dobbiamo compiere un lavoro di estrapolazione di alcuni aspetti essenziali e soprattutto andare a cogliere i punti chiave che hanno nel tempo attraversato tutta la sua opera e la sua vita. Se scegliessimo di soffermarci sul tipo di rapporto con il compagno della sua vita e il loro concetto di libero amore, su come ha costruito il suo pensiero esistenzialista prendendo le distanze a volte da quello del suo compagno, se volessimo addentrarci nelle motivazioni che l’hanno spinta più verso la narrativa che verso la saggistica filosofica ci perderemmo in disquisizioni infinite e forse anche un pò arbitrarie, comunque tutto e di più è stato già scritto in proposito e continua ad essere oggetto di numerose tesi di lauree.
Forse lo spunto fondamentale che ci offre, come già detto, è nella sua affermazione che narrare, esprimersi, condividere le proprie esperienze è indispensabile, in qualsiasi forma letteraria ci si racconti i significati che si sprigionano sono ricadute sul modo di essere, di vivere di ciascuno e ciascuna di noi, un contributo al pensiero dell’altro e dell’altra.
A questo principio se ne accompagna un altro che stava a cuore alla pensatrice Simone: la conquista della libertà, ma della libertà interiore innanzi tutto, dalla prigionia mentale entro cui tutti e soprattutto le donne vivono inconsapevolmente ingabbiate (possiamo leggervi un anticipo del pensiero decostruzionista di cui altri poi saranno i portavoce illustri, come il filosofo Jacques Derrida).
Oggi quindi, in un momento per lo meno apparentemente, di stanca e di silenzio dovrebbe riemergere un desiderio di rivisitazione della donna scrittrice, della donna filosofa, della donna politicamente impegnata e femminista, anche della donna “amante” senza spingersi verso l’apologia o viceversa verso una ingiusta riduzione ad uno solo di quei suoi molteplici ruoli ( ad una giovane studiosa di Simone capitò, la prima volta che la sentì nominare, che la sua insegnante la definisse come l’amante di Sartre).
E nel momento che la filosofa concentra la sua attenzione sulle donne e su di loro si interroga con maggiore determinazione traduce il suo progetto intellettuale in un compendioso saggio che già nel titolo anticipa il pensiero di fondo “ Il secondo sesso”: in esso trapela la sua tensione di studiosa delle donne nell’affermazione “donna non si nasce, si diventa” espressione che indubbiamente suscitò perplessità e necessità di puntualizzazioni ma che in definitiva ancora una volta attesta il suo convincimento che la donna si trova alla nascita in una posizione “seconda” da cui deve uscire, ciascuna donna deve rifiutare ogni sorta di predestinazione dal punto di vista sociale e porsi come soggetto sessuato che responsabilmente assume il modo in cui viversi in quanto donna. Non dimentica certo che c’è da fare i conti con il potere, con la radice maschile del potere ma lei, anticonformista alla ricerca di un modello di rinnovamento della società, che mette in discussione ogni potere politico e religioso, intravvede sin da allora i due strumenti fondamentali per il raggiungimento di una libertà reale l’istruzione e l’autonomia economica: non basta un’astratta eguaglianza – precisa – è importante un’in-eguaglianza motivata e consapevole.
Questa distinzione mi ha fatto tornare alla mente uno dei testi di Luce Irigaraj dal bislacco titolo “Io amo a te” dove quel piccolo “a”, l’autrice spiega, sta a significare la distanza ineludibile tra la donna e l’uomo, soggetti che lei definisce “inconciliabili” ma “compatibili” nel senso che mai i due potranno fondersi, così come l’olio e l’aceto che restano inesorabilmente separati, ma tuttavia hanno i requisiti per avvicinarsi e stare bene insieme – con quell’a immanente.
Tanto ancora ci sarebbe da dire per sollecitare un interessante lavoro di recupero di un pensiero profondo e intrigante di una personalità discussa e discutibile ma nello stesso tempo importante e tutto sommato ancora attuale. Si potrebbe suggerire alle giovani che ancora non l’avessero fatto, di leggere i suoi scritti.