Srebrenica e noi
Una risoluzione del Parlamento Europeo del 15.10.2009 ha chiesto al Consiglio d’Europa di dichiarare l’11 luglio giorno della memoria del massacro di Srebrenica, invitando tutti i paesi a commemorare e onorare le vittime e i loro familiari superstiti.Invece l’11 luglio 2010, quindicesimo anniversario dello sterminio di 8346 musulmani bosniaci inermi, è passato {{nel chiassosissimo silenzio della finale del campionato mondiale di calcio}}. Pochissimi quotidiani (la Repubblica, tra questi, con i bellissimi contributi di Guido Rampoldi e Adriano Sofri) hanno ricordato quel crimine contro l’umanità compiuto dai serbo bosniaci sotto lo sguardo muto e connivente del contingente olandese dell’Onu che avrebbe dovuto proteggere l’enclave di Srebrenica.
Fu {{il punto più basso della guerra}} che, tra il 1991 e il 1995, ha condotto alla distruzione della Federazione jugoslava in nome degli interessi particolari delle repubbliche che la componevano; anzi dei loro gruppi dirigenti. Stupri, massacri di civili inermi, crudeltà inenarrabili si sono incrociati provocando decine di migliaia di morti, milioni di profughi, la distruzione dell’economia e delle infrastrutture, la devastazione di città e opere d’arte. E la lacerazione, che pare incurabile, del tessuto civile. Tutto fu {{programmato e pilotato }}da leadership fortemente contaminate da interessi economici privati e internazionali e da connivenze mafiose, da mass media lucidamente e ferocemente azionati per innescare {{la miccia dell’odio verso l’altro}}. Un altro che fino a poco prima non era altro, ma vicino di casa, compagno di scuola, collega di lavoro.
La parola d’ordine era{{ “pulizia etnica”. }}Che significava cancellare dai territori dei nuovi stati-nazione la presenza delle minoranze che da sempre vi abitavano. Accadde negli anni Novanta a poche centinaia di chilometri da noi. Il mondo guardava e non capiva; le diplomazie internazionali sembravano operare per rinfocolare le violenze. Senza cercare di conoscere i fatti e comprendere le responsabilità, ci commovemmo sui bambini feriti, ma {{preferimmo chiudere gli occhi }}sugli anziani torturati e uccisi, sulle madri e sui padri che videro massacrare i figli e violentare le figlie, sui bambini che videro violentare le madri e torturare i padri. Chi fuggì da quell’orrore spesso lo fece per non dover usare le armi, ma la maggioranza voleva solo vivere.
In questi anni quei rifugiati hanno vissuto tra noi, il più delle volte muti. {{Non abbiamo imparato niente dalla loro storia}}. Perché è difficile da capire e perché nel nostro Paese profughi e migranti molto raramente hanno voce e ascolto. Se siamo ‘politicamente corretti’, magari parliamo noi al posto loro, ma raramente ci viene in mente di dar loro la parola. Se avessimo ascoltato avremmo forse capito {{il mostruoso significato dell’espressione “pulizia etnica” }}e oggi solo pochi pazzi avrebbero l’ardire di usarla.
Forse non era pazzo, invece, il signore mantovano che un’amica ha incontrato in panetteria l’altro giorno. Un mendicante era entrato chiedendo un po’ di pane, che il fornaio silenziosamente gli ha dato. Un cliente, molestato e irritato dalla scena, ha esclamato: – Ma questa amministrazione non aveva promesso di fare un po’ di pulizia etnica!? –
Come evitare che questa follia ‘per bene’ ci contagi?
{Immagine da www.nation.com.pk}
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