Archivio Nazionale Udi

Quando una storia è inesistente nella memoria collettiva, cancellata dalla vulgata storiografica dei manuali scolastici, ridotta a tema di indagine occasionale negli studi accademici, finisce per non esistere e ciò che non esiste non agisce nell’immaginario del presente. Se questa è stata, e per molti versi continua ad essere, la condizione della popolazione femminile nella storia in generale, la rimozione risulta particolarmente grave per quanto riguarda l’attivismo politico delle donne.

La storia delle relazioni tra i generi viene omessa attraverso la rimozione del genere femminile, cioè della metà o più della popolazione di un territorio, con la conseguente deformazione dei fatti e l’impossibilità di comprendere davvero i mutamenti e le permanenze, gli eventi e le strutture. Nella storia politica le donne sono talvolta aggiunte nella forma delle biografie eccezionali, filone che trova oggi qualche consenso di pubblico e talvolta perfino l’impegno divulgativo delle istituzioni, mentre manca lo studio della relazione tra espressioni politiche collettive delle donne e le strutture tradizionalmente maschili. Una mancanza che rende monca soprattutto la storia del Novecento, il secolo che ha visto il protagonismo femminile nell’affermazione della propria libertà anche attraverso la partecipazione alla costruzione delle forme statuali democratiche.

Nella non casuale smemoratezza del presente fioriscono stereotipi, eppure non si può capire la storia della nostra repubblica, ancora giovane con i suoi settant’anni, senza studiare le associazioni femminili nate e cresciute parallelamente e in relazione con i partiti del dopoguerra, in particolare i grandi partiti di massa. Nel caso delle associazioni femminili, infatti, la definizione di collateralismo con cui vengono solitamente posizionate non consente di comprenderne la centralità e l’influenza nelle vicende che hanno visto depositare nelle leggi, volute soprattutto dalle donne, i grandi cambiamenti sociali dal dopoguerra ad oggi. Tra le associazioni la più importante è certamente l’Unione Donne Italiane, conosciuta con l’acronimo Udi, che ha consentito, nel 2004, di modificare l’aggettivo con la locuzione “in Italia” per segnalare la mera indicazione territoriale senza connotazioni nazionalistiche, mai esistite del resto nella storia associativa, come testimonia da sempre il nome anche sloveno della sede triestina.

L’Udi nasce ufficialmente nel 1945 riunendo nel primo Congresso, che si tiene in ottobre a Firenze, delegate provenienti da ogni parte d’Italia in rappresentanza di 400.000 iscritte. Si riuniscono così le donne dell’associazione costituitasi nell’Italia centromeridionale nel settembre 1944, con i Gruppi di Difesa della Donna e per l’Assistenza ai Combattenti della Libertà, sorti nell’Italia settentrionale contro la Repubblica fascista di Salò alleata degli occupanti tedeschi. L’Udi non è quindi solo la prima associazione femminile della repubblica, ma rappresenta uno dei luoghi di gestazione della repubblica democratica stessa, in quel breve e intenso tratto di preistoria che vede esprimersi un inedito e inaspettato protagonismo femminile nella salvaguardia del territorio e delle vite resistendo con e senza armi al nazifascismo.

Più di settantamila donne troveranno nei Gruppi di Difesa le forme organizzative per praticare quella Resistenza civile[1] che riesce ad affrontare le emergenze del quotidiano trasformando le azioni anche in una precisa scelta politica. Le donne dei Gruppi di Difesa, e poi l’Udi, sono presenti nei Comitati di Liberazione Nazionale, protagoniste in prima persona di quell’accesso alla cittadinanza che troverà un primo riconoscimento nel diritto di voto e proseguirà poi nell’impegno per la conquista di tutte le leggi che renderanno la nostra democrazia coerente con i suoi stessi principi espressi nella Costituzione. Metà delle donne elette alla Costituente era anche dell’Udi, che fin dall’inizio si definisce una libera associazione e può essere considerata un vero e proprio laboratorio di politica delle donne perché è «il luogo organizzato in cui sono maturate esperienze, elaborazioni, rivendicazioni, lotte delle donne nel loro emergere come soggetto»[2].

«In nessun documento viene dichiarata l’intenzione di costruire un ceto politico femminile, ma sarà questo in effetti l’esito di un minuzioso lavoro di addestramento che non dimentica alcun aspetto per fornire conoscenza e padronanza dei meccanismi politici e organizzativi»[3] e ancora oggi l’Udi resta depositaria della rara esperienza di convivenza e condivisione del lavoro politico di tutte le generazioni di attiviste che si sono succedute nella storia repubblicana. L’Udi si rivolge a tutte le donne e diventa un’organizzazione di massa mettendo in campo strumenti idonei a raggiungere ogni donna nella sua realtà, come il giornale “Noi donne”, vero e proprio strumento di alfabetizzazione non solo politica che, in assenza di una scolarizzazione diffusa, favorisce l’accesso femminile alle possibilità offerte dalla giovane democrazia.

L’8 marzo in Italia[4] ha l’età dell’Udi, promosso da subito come grande appuntamento collettivo di comunicazione e di visibilità tra donne, diventato momento simbolico che, pur con alterne vicende e investimento diversificato, continua a segnare le tappe dell’attivismo femminile. È l’Udi ad organizzare la prima grande mobilitazione per la pace raccogliendo un milione di firme da inviare all’Onu nel 1947 ed è ancora l’Udi ad utilizzare per prima la possibilità di presentare leggi di iniziativa popolare raccogliendo firme per la cancellazione del coefficiente Serpieri in agricoltura, che fissava il valore del lavoro della donna al 60% rispetto a quello dell’uomo.

Saranno molte le lotte che impegnano la capillare organizzazione: la parità nel lavoro, sia dal punto di vista salariale che di libero accesso a tutte le professioni; il riconoscimento del valore sociale della maternità, sostenuto dalla lotta per gli asili nido e le scuole d’infanzia e più in generale per una concezione della maternità come affermazione della soggettività femminile, libera di scegliere se e quando mettere al mondo figli; una visione di bambini e bambine come soggetti di diritti propri, indipendenti dall’appartenenza famigliare e sociale; la pensione per le casalinghe per il riconoscimento del lavoro sommerso erogato dalle donne gratuitamente dentro e fuori dalla famiglia, fino all’impegno per la legge sul divorzio, immediatamente aggredita da un referendum abrogativo, come la legge 194, per la maternità libera e consapevole e il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza per mettere fine alla piaga dell’aborto clandestino. Tra le tante iniziative, per lo più ignorate e/o censurate dai media (sempre non casualmente), in anni più recenti ricordiamo l’ultima grande proposta di concreta parità politica: la proposta di legge di iniziativa popolare per il 50&50 ovunque si decide, mai discussa in Parlamento.

Se è vero che l’Udi, come forma associativa, nasce dentro la tradizione del movimento operaio, si caratterizza però da subito per l’apertura del dialogo con tutte le donne, privilegiando luoghi e associazioni in cui esprimono la propria soggettività politica, quelle del mondo cattolico negli anni Cinquanta e Sessanta, le femministe dagli anni Settanta, e poi via via attraverso la presenza in ogni grande manifestazione e in ogni luogo di lotta delle donne. Nell’Udi entreranno cattoliche e femministe e via via donne che cercano un’appartenenza politica femminile autonoma e non estemporanea. Un’associazione in cui sono presenti tra le fondatrici donne di tutti i ceti sociali, caso rarissimo in Italia, in cui la forza della base associativa sta nelle cosiddette donne comuni, che nell’Udi troviamo sempre anche nelle più alte cariche della dirigenza. Anche per questo le donne dell’Udi hanno saputo misurarsi con la società intera promuovendone i cambiamenti ma anche ascoltandoli, intercettandoli, con la capacità di mettere e mettersi in discussione attraverso un processo anche interno mai lineare, dentro un dibattito spesso difficile e aspro, sempre calato nella concretezza della vita, a cominciare da quella dell’associazione stessa, dentro la quale misurano e sperimentano limiti e innovazioni.

La svolta politica dell’XI Congresso nel 1982 – che azzera l’organizzazione gerarchica nelle singole sedi e nella dimensione territoriale generando, come unico organismo dirigente, l’assemblea nazionale autoconvocata aperta a tutte – ha rappresentato un mutamento radicale ormai diventato nella storia dell’associazione un evento periodizzante. Una sperimentazione a tutto campo in cui ogni singola donna e ogni sede dell’Udi ha misurato autonomamente la propria responsabilità, con un altissimo rischio di dispersione di cui solo oggi possiamo misurare guadagni e perdite con la consapevolezza di aver costantemente rimesso in gioco, ognuna e tutte, l’autentica passione politica che resta il tenace filo conduttore di questa storia. Ancora oggi l’Udi è tra le poche associazioni diffuse, seppur inegualmente, su tutto il territorio nazionale. Diffusione che, anche nelle difficoltà politiche del presente, le consente di esprimere un insieme di luoghi eterogenei nel progetto politico locale, ma molto omogenei nella volontà di resistenza di una presenza politica femminile non assoggettata e non omologata ai modelli delle mode periodicamente vincenti.

La storia delle donne è raramente depositata nei documenti ufficiali, che spesso contribuiscono alla deformazione, se non proprio alla cancellazione, di quella realtà che vive nelle relazioni interpersonali, nei percorsi individuali, nelle mediazioni del quotidiano in cui le donne si sono specializzate per trovare forme di esistenza, anche politica, adeguata ai propri sentimenti. La nostra democrazia, nata nelle scelte difficili della guerra di liberazione, è cresciuta poi anche grazie al tenace passaggio di staffetta tra donne che hanno saputo reinventare la propria vita e trovare via via, nella lingua che le tradiva marginalizzandole, le parole per narrare il proprio sguardo sul mondo.

L’Associazione nazionale Archivi Udi

L’XI Congresso, nel 1982, ricordato come momento di svolta politica fondamentale dell’Udi, può essere considerato anche come il momento in cui matura in molte la consapevolezza del patrimonio di storia depositato negli archivi, da quello centrale a quello di ogni sede locale. Occuparsi dell’archivio significò per molte anche trovare, in quei tempi incerti, una collocazione politica e un ruolo in un lavoro fondamentale per l’associazione; per tutte fu necessario trovare le risorse e la collocazione adeguata per un patrimonio che per sua natura, come sappiamo, richiede spazi e personale competente a garantirne cura e fruizione. Ogni archivio così ha una sua storia: spesso nel riordino si sono impegnate in prima persona le donne dell’Udi, capaci di supplire con la memoria ai vuoti delle carte: mancanza di date, di nomi, maternità di documenti, di interventi, perfino delle immagini utilizzate per volantini e manifesti.

Avvertendo la necessità di assumere più compiutamente e visibilmente la responsabilità di un patrimonio archivistico che rappresenta un’eredità preziosa per la possibilità della ricostruzione di una parte significativa della storia politica delle donne italiane e del paese in generale, nel 2001 viene costituita l’Associazione nazionale degli Archivi Udi con lo scopo di mettere in rete il patrimonio archivistico diffuso e talvolta disperso su tutto il territorio italiano, da Palermo a Trieste, da Torino a Napoli. Tra le varie iniziative realizzate il progetto più importante portato a termine dall’Associazione è stato il censimento degli archivi Udi, realizzato nel 2002 con la pubblicazione di una guida[5], aggiornata nel 2012 e consultabile sul sito www.assarchiviudi.com.

La complessità di questo patrimonio archivistico, per la pluralità di intrecci tra nazionale e locale, politica delle donne e istituzioni, tra pubblico e privato, tra “cronologie” interne e “temporalità” esterne, tra biografia individuale e storia collettiva, tra rappresentanza, rappresentazione e autorappresentazione, e l’elenco potrebbe continuare a lungo, richiede di fatto una riflessione sulla questione dell’eredità tra donne come trasmissione non lineare, non codificata nella cultura vigente, ma come complesso passaggio di competenze ed esperienze che vivono nelle carte una “materialità simbolica” che non può essere lasciata al silenzio. Il lavoro sugli archivi dice della passione per la concretezza di una storia in cui scritture, immagini, nomi, volti, portano il segno di tutte le differenze individuali vissute e sperimentate. Un tassello importante per approssimare qualche risposta a quell’interrogativo sull’origine che fa parte del percorso di crescita di ognuna e ognuno.

Negli archivi dell’Udi possiamo trovare preziosi carteggi di intellettuali accanto alle testimonianze del lavoro politico capillare delle mondine, delle mezzadre, delle operaie, delle sartine e di tutto quel mondo femminile che ancora oggi è oggetto negli studi ma di cui raramente viene indagata la dimensione soggettiva e il ruolo svolto nei grandi cambiamenti che segnano l’Italia dal dopoguerra ad oggi. Nel complesso crescere di una cittadinanza, alla cui definizione stiamo ancora lavorando, il deposito degli archivi Udi testimonia la misura dei passi compiuti, del difficile ma tenace andirivieni delle donne tra territori definiti da altri, valicando un confine, quello cosiddetto tra pubblico e privato, tanto più solido quanto più artificioso, con l’accortezza di non smarrire, nel trasloco, bagagli importanti per la propria sopravvivenza. Un tassello importante, questo degli archivi dell’Udi, per ricostruire quella storia politica che del passato delle donne appare ancora l’aspetto più sconosciuto e censurato.

Gli archivi dell’Udi custodiscono una parte importante di quella storia politica delle donne italiane che ancora non è stata scritta, se non per qualche prezioso frammento e alcune intuizioni, e potremmo considerarla una storia d’origine in fondo, che ci potrebbe essere utile in questo momento in cui sembra mancarci una bussola che ci guidi nei territori della politica e nei mutamenti sociali. L’entità del patrimonio archivistico Udi, più di quaranta archivi sparsi sul territorio nazionale, non ci consente di dimenticare la precarietà che ha segnato la costruzione degli archivi delle donne, salvati proprio grazie all’investimento di lavoro e tenacia che ci ha portate ai risultati di oggi e, anzi, proprio l’entità dei nostri archivi ci assicura che nei vuoti di memoria costantemente diffusi c’è superficialità insieme al dolo.

Per l’Udi si può affermare che c’è una storia dell’associazione e c’è una storia degli archivi, l’una e l’altra intrecciate in alcuni passaggi di consapevolezza politica che hanno segnato il modo di essere dell’associazione stessa e la costruzione e cura degli archivi come patrimonio storico collettivo e pubblico. Alle storie degli archivi sono intrecciate vite di donne che se ne prendono cura fra mutamenti politici, traslochi di sedi e di case e perfino terremoti e allagamenti, prima dell’approdo ad una qualche istituzione che ne garantisce la cura e consultazione.

In queste storie d’archivio s’aggiunge, sempre più spesso negli ultimi vent’anni, il lavoro di giovani studiose che giungono all’Udi per la tesi di laurea o di dottorato, ricercatrici e ricercatori che sanno porre alle carte nuove domande. Non solo storie di precarietà quindi, ma anche di grande acquisizione di competenza nel lavoro e tenacia nella ricerca di quel giusto riconoscimento pubblico che consente all’archivio stesso di superare la soglia della pura sopravvivenza.

Data la diffusione dell’associazione sul territorio, e la lunga storia, sappiamo che ci sono ancora molti archivi da recuperare, riportare alla luce, riordinare e rendere accessibili ed è questo uno dei compiti assunti dall’Associazione Nazionale Archivi dell’Udi. Proprio la quantità degli archivi, ai quali si aggiungeranno molti fondi privati, ci ha convinte infatti della necessità di assumerci una nuova responsabilità che ci consentisse di continuare a far vivere la passione politica, che è ancora oggi la ragion d’essere dell’Udi, senza confonderla con la passione per la nostra storia che, depositata negli archivi, è a disposizione di tutta la comunità di studiosi e studiose che vorranno accedervi.

Il progetto “Storie d’archivio, storie in Archivio”

Mettere mano, sguardo e pensiero negli archivi dell’Udi è compito delle storiche e degli storici ma dobbiamo rilevare che nel panorama degli studi accademici l’attenzione alla storia dell’Udi è ancora insufficiente e colpisce il fatto che spesso le iniziative sugli archivi delle donne circoscrivano l’interesse all’area del neofemminismo come se fosse un momento politico emerso dal nulla precedente e soprattutto senza rapporti con l’Udi, mentre proprio gli archivi dimostrano ben altro.

Gli archivi dell’Udi sono stati poco frequentati per ricostruire la storia della cittadinanza democratica che ha visto le donne protagoniste, anche in una relazione inedita con le istituzioni a forte matrice maschile, i partiti usciti dalla Resistenza e i soggetti individuali e sociali intorno ai quali si è mossa la storiografia tradizionale. Gli archivi dell’Udi non sono stati quasi frequentati per la ricostruzione della storia del femminismo che invece è fortemente intrecciata con la presenza dell’Udi, soprattutto nei momenti di mobilitazione e diffusione. Non a caso per il senso comune delle giovani donne, che accedono a frammenti di storia dentro percorsi scolastici ancora fortemente lacunosi, il termine femminismo si applica genericamente al tempo lungo della lotta femminile per diritti e libertà, inglobando in questo modo anche gli anni Cinquanta e Sessanta duranti i quali questo termine pativa ancora censura e deformazione dovute alla sconfitta delle lotte del primo ventennio del Novecento.

Relazioni politiche e personali, con uomini e tra donne, fanno della storia dell’Udi uno degli elementi determinanti per comprendere il presente e gli archivi rappresentano un ingente patrimonio al quale rivolgere domande nuove. Gli archivi inoltre hanno anche una storia propria da svelare perché possono essere raccontati dalle donne che per prime hanno organizzato e depositato i documenti, le donne che hanno avuto cura della memoria corrente dell’associazione, e poi si sono occupate di salvaguardare la possibilità di farne storia. Conservare la memoria di queste azioni significa entrare nel vivo di un protagonismo diffuso e spesso sconosciuto di donne che hanno operato contro la dispersione di un passato che può sostenerci nella visione del futuro.

Queste riflessioni, insieme al successo delle iniziative realizzate da molti archivi per il Settantesimo dell’Udi e del voto alle donne, ci hanno convinte a varare un progetto collettivo che raccolga singole iniziative e un confronto finale sulla storia dell’Udi dentro la storia d’Italia. Un progetto diffuso sul territorio, promosso dall’Associazione nazionale Archivi insieme all’Archivio Centrale, conservato dall’Udi nazionale, alla Rete Archivi dell’Emilia-Romagna e agli archivi locali conservati dalle varie Udi o da altre associazioni e istituzioni, con l’ambizione di costruire un dialogo tra studiose italiane e straniere che si stanno appassionando a questa storia, tra istituzioni e associazioni che ne curano il deposito, ma anche in relazione con la giovane ricerca universitaria, le scuole che hanno a cuore una didattica della storia aperta alle domande autentiche del presente, donne e uomini che hanno voglia di interrogare il passato perché sanno interrogare la propria vita.

Un progetto per il quale auspichiamo, oltre all’interesse di studiose/i, il sostegno delle istituzioni pubbliche e private, dalle Sovrintendenze archivistiche agli Enti locali, dalle sedi universitarie agli enti promotori di cultura, di tutte le cittadine e i cittadini che si impegnano contro la dispersione della nostra memoria.

Note

1 Cfr. Jacques Sémelin, Senz’armi di fronte a Hitler. La Resistenza civile in Europa. 1939-1943, Torino, Sonda, 1993.

2 Maria Michetti, Margherita Repetto, Luciana Viviani, Udi:Laboratorio di politica delle donne, Roma, Cooperativa Libera Stampa, 1985, p. 1.

3 Introduzione di Marisa Ombra, in Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, Roma, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per gli Archivi, 2002, p. 13.

4 Cfr. Donne Manifeste, a cura di Marisa Ombra, Milano, Il Saggiatore, 2005; Patrizia Gabrielli, La pace e la mimosa, Roma, Donzelli, 2005.

5 Guida agli Archivi dell’Unione Donne Italiane, cit.