Accanto e oltre alle tante identità che
Susanna Camusso ha scelto per dare corpo alla sua passione politica c’è
anche quella del femminismo. Una bussola fortissima, della quale abbiamo un
disperato bisogno.Ho un debole per le donne forti, e mi rendo conto che questa è una strana
espressione per esprimere un’opinione e descrivere una convinzione che
appare come contraddittoria, mentre non lo è affatto.
_ Ma in un’epoca
contrassegnata, in Italia, dal simbolico berlusconiano straripante di
sessismo e avvilente mercificazione del corpo femminile si stenta a trovare
nella forza femminile, quella dell’intelligenza, della tenacia, del rigore e
della competenza un valore riconosciuto e condiviso.

Persino nel movimento delle donne non è automatica e scontata l’attribuzione
di valore verso una donna che raggiunga un vertice, sia esso nel campo della
politica istituzionale, del mondo del lavoro, dell’economia, della cultura.

Rosangela Pesenti, storica femminista attenta anche alle pieghe meno
luminose del percorso movimentista, ricorda spesso come le prime a
cancellare il valore delle altre siano proprio le donne, femministe
comprese.
_ Abituate alla costante svalorizzazione, da parte di ogni
patriarcato, (compreso e soprattutto quello della sinistra), piegate da un
clima di sessismo feroce che nell’ultimo periodo ha i tratti del grottesco,
l’impressione è che si faccia persino fatica a vedere nell’elezione di
Susanna Camusso un segno importante da cogliere, un’ancora di speranza alla
quale agganciarsi per risalire il buio.

Di certo non è facile, per nessuna, arrivare ad assumere una incombenza così
decisiva come quella di leader.

In Italia, sin dai tempi dell’acquisizione
del diritto di voto, il rapporto tra le donne e il potere è un terreno
minato.
_ Si fa fatica persino a nominare l’incarico di Susanna Camusso: quasi nessun
media la definisce ‘segretaria generale’, e si arriva ad effetti comici
quali giri di parole del tipo ‘oggi si elegge la prima segretario donna
della Cgil’.

In una realtà dove persino semplicemente sessuare nel modo giusto
l’appellativo è complicato come potrebbe essere facile vivere e agire
quell’incarico?
_ Se la semantica non trova pace, perché è il corpo stesso a
creare problemi, a essere d’ingombro, come potrà la realtà essere
accogliente?

Sembra che quando c’è di mezzo una donna non ci siano curricula che tengano:
ci sarà qualcosa che non va se sei arrivata fin lì. Magari non sarà stata
una questione di letto, ma qualche compromesso lo avrei ben fatto per avere
rotto quel tetto. Compromessi che mettono a rischio la radicalità, che
limitano la trasparenza, che minano la fiducia.

E siccome siamo ancora ben
lontane dal cambiare il mondo senza prendere il potere, come auspica John
Holloway, il fantasma che aleggia su ogni donna che arrivi ad una qualche
forma di potere riconosciuto è pesante, e si è meno inclini a perdonare una
donna potente che un uomo potente.

Ancora troppo svalorizzate, diminuite,
umiliate nel complesso come genere dalla cultura arcaica che ammorba questo
paese non riusciamo a trovare ragioni forti per dare credito alle poche di
noi (specie a quelle che ci sono vicine come provenienza e percorsi) che
riescono a emergere, proprio perché la maggioranza di noi è indietro.

L’antico morso dell’invidia, il profondo disagio generato dall’avere
introiettato il demone dell’inferiorità ci parla ancora troppo forte, e
soffoca l’empatia e la capacità di convenire, o di confliggere, in modo non
distruttivo con un’altra donna, specialmente se questa è autorevole e
potente.

Avevo poco più di 20 anni, quando vidi per la prima volta Susanna Camusso:
fu a Torino, un 8 marzo celebrato dal Coordinamento Donne Flm in un teatro.
_ Ricordo il freddo pungente e grandi cesti di mele rosse posti a corredo del
tavolo dove le sindacaliste relatrici accoglievano le convenute.
_ Niente
giallo della mimosa rituale, solo il rosso squillante di quei pomi. Seppi
che quella bella donna bionda, che mi appariva molto più grande di me senza
in realtà esserlo, era la sola donna dentro il sindacato più maschile di
tutti, quello metalmeccanico, e mi parve una aliena irraggiungibile, a me
ancora studentessa e giornalista ai primi passi.

Dopo molti anni l’ho
ritrovata animatrice di Usciamo dal silenzio, una proposta feconda per il
movimento delle donne proprio perché, a mio parere, lanciata come offerta di
ripresa di mobilitazione e confronto politico al fuori da schemi di partito
o di schieramento.

L’ho vista ascoltare le ragioni e le voci di donne
migranti e native in occasione dei 10 anni di vita di Trama di terre, e
ammettere di dover studiare e ascoltare molto sui temi del rischio del
multiculturalismo e del relativismo. Non è frequente, in Italia, che chi si
trova in una situazione apicale riconosca di avere degli spazi di sapere e
di competenza ancora da colmare, e si metta in ascolto.

In questi mesi che
hanno preceduto la sua elezione ho letto e ascoltato giudizi offensivi e
denigratori nei suoi confronti con argomenti che non sarebbero stati mai
usati se si fosse trattato di un uomo. Come nel caso del duello, purtroppo
perduto, tra Emma Bonino e Renata Polverini anche questa volta ci saranno
due donne sedute da spalti opposti, e questo spalto, trattandosi di una
partita ben più lunga rispetto ad una elezione regionale, ci darà la
possibilità di misurare le capacità e i limiti di entrambe le protagoniste.

Con una differenza importante: accanto e oltre alle tante identità che
Susanna Camusso ha scelto per dare corpo alla sua passione politica c’è
anche quella del femminismo.

Una bussola fortissima, della quale abbiamo un
disperato bisogno, che può mettere in moto cambiamenti enormi partendo anche
da piccole cose, come ad esempio il modo di nominare una leader.
Rosa Luxemburg scrisse che il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose
con il loro vero nome. Benvenuta, segretaria.