Te la ricordi Lella … e tutte le altre
In questi ultimi tre mesi mi è capitato di ascoltare a Roma dal vivo in piazza S. Giovanni (praticamente sotto casa) una canzone romana che non conoscevo: la prima volta cantata da Lando Fiorini, la seconda da Edoardo Vianello (spettacoli entrambi organizzati per i Centri anziani dal Comune) e la terza volta eseguita dall’Orchestraccia in occasione dello spettacolo bellissimo e complesso tenuto dalla Federazione dei Lavoratori della Conoscenza (FLC) della CGIL.Ne faccio una traduzione anche se {{il passaggio all’italiano}} penalizza in parte l’intensità espressiva e l’immediatezza comunicativa del dialetto.
“Te la ricordi Lella, quella ricca, la moglie di Proietti, quello che ha il negozio in via del Tritone? Te la ricordi? Te l’ho fatta vedere quattro anni fa e non ci volevi credere che insieme a lei c’ero proprio io! Te la ricordi poi che era sparita e che la gente e la polizia avevano creduto che se ne fosse andata via con uno con più soldi del marito?”
E qui comincia il ritornello:
_ “E te lo voglio dire che sono stato io. E sono quattro anni che mi tengo questo segreto. E te lo voglio dire, ma non lo far sapere, non lo dire a nessuno, tientelo per te.”
La canzone continua:
_ “Le piaceva andare al mare quando è inverno, fare l’amore col freddo che faceva, però le calze non se le toglieva alla fiumara dove sta il baretto, tra le reti e le barche abbandonate, col cielo grigio a farci da tetto. Una mattina che era l’ultimo dell’anno mi dice con la faccia indifferente: mi sono stufata, non ne facciamo più niente e tirami su la lampo del vestito”.
_ Riprende il ritornello e continua così:
“Tu non ci crederai, non ci ho più visto, l’ho presa al collo e non mi son fermato se non quando è andata a terra senza fiato. Nel cielo da uno squarcio è uscito il sole mentre io la sotterravo con queste mani, attento a non sporcarmi il vestito. Me ne sono andato senza guardare indietro. Non ho rimorsi ed ora ci torno pure, ma non ci penso a chi c’è là sotto…io ci ritorno solo a guardare il mare”.
_ Conclude il ritornello con la raccomandazione finale di non dire niente a nessuno: {{“tientelo per te”. }}
La musica è bella (nella pagina internet dove una amica mi ha trovato le parole, mi invitano a metterla al cellulare come suoneria !!!). {{Il testo è forte, crudo, vero}}: sembra di ascoltare qualcuno che ti parla all’orecchio e mentre parla hai l’impressione di stare a guardare un film in bianco e nero del migliore neorealismo italiano. Tutte e tre le volte sono rimasta inchiodata a terra, immobile, ad ascoltare in silenzio, in preda all’orrore che cresceva e poi all’indignazione.
Succede un giorno sì e uno no: si chiama {{femminicidio}}, raccontato in questa canzone come semplice segreto presumibilmente ad un altro uomo, come {{qualcosa di normale, giusto, di cui non avere rimorsi,}} da non dire a nessuno non perché se ne ha vergogna, ma solo per evitare la galera.
Si tratta di femminicidio come{{ reazione alla libera scelta di una donna}}. Si tratta, ieri come oggi, di incapacità di molti, troppi uomini ad accettare il diritto alla libertà di compagne, mogli, figlie, amanti, sorelle. Si tratta di una incultura che non vuole diventare civiltà umana.
Ripeto,{{ sono rimasta immobile}}, quasi senza respirare. Intanto intorno a me donne e uomini, moltissime/i ragazze/i tutte e tre le volte si sono messi a cantare con la “normale” entusiastica partecipazione che si sprigiona in queste occasioni, sorridenti e contente/i. Sono rimasta a guardarle/i allibita. Allora quale è il problema? E’ {{la banalità del male di cui non si capisce fino in fondo il senso}}, è la forza di una intensa canzone che ti fa dimenticare la drammatica verità che contiene o è il fatto che la mia/nostra sensibilità politica non è diventata senso comune? Perché in quel momento non sono venute in mente a nessuno le tante donne già uccise quest’anno, che io invece sentivo tutte drammaticamente presenti lì accanto a me? Inevitabile, impegnata come ero in quei mesi nella “Convenzione contro la violenza maschile sulle donne-femminicidio”; impegnata come tante dai lontani anni settanta; costretta a presidiare ancora oggi i tribunali dove i processi, quando si riescono a fare, seguono un percorso lento, tortuoso, offensivo per chi ha subito violenza e chiede giustizia, una giustizia incapace spesso di punire i colpevoli.
Le canzoni rappresentano indubbiamente {{uno strumento di comunicazione e formazione}} molto efficace, soprattutto quando parlano d’amore, un amore confuso troppo spesso col possesso o idealizzato, irreale, inventato. Un solo esempio: la bella canzone napoletana “{Era de maggio}”, parole di Di Giacomo, finisce con queste parole: “fai di me quello che vuoi!” E sembra ancora oggi {{il massimo dell’amore}}!!! Allora che fare? E’ tanto che ci penso. Negli anni novanta come Udi Romana “La Goccia” organizzammo un convegno nazionale sui legami d’amore nel tempo della libertà femminile di cui abbiamo pubblicato gli atti. {{Cosa è cambiato?}}
Certo, qualcosa è cambiato, {{troppo ancora deve cambiare}}. Penso ai tanti equivoci sull’amore, compreso l’amore materno, disseminati in ogni piega della nostra quotidiana contemporaneità. E ai tanti danni che continuano a fare.{{ Parliamone.}}
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