Teatro, comunità e resistenza a Roma – La partecipazione e l’imopegno politico passano anche per il teatro
Articolo di Dalila D’Amico su AlfaBeta2
Che il “sistema teatrale” romano non navighi in buone acque è cosa già detta, tuttavia esistono delle isole resistenti, squadre di coraggiosi guerrieri che sfidano le logiche del take-away, sforzandosi di garantire alla città progetti culturali di ampio respiro grazie alla capacità di immaginare un futuro che trasborda i limiti dei lesti tempi bando-diretti.
Il focus intreccia le interviste ai rappresentanti di tre di queste isole: Veronica Cruciani per il Teatro Biblioteca Quarticciolo, Fabrizio Arcuri e Francesca Corona per il Festival Short Theatre e Pasquale Grosso e Rosario Mastrota per il neonato spazio teatrale dell’Accademia Popolare Antimafia. Tre realtà molto diverse tra loro, accomunate dalla volontà di sgomitare per offrire alla città una progettualità di eccellenza in un costante stato di emergenza. Il Teatro Biblioteca Quarticciolo è nato nel 2007 dal recupero di un ex mercato di quartiere nel Municipio Roma V (ex VII). É uno degli ex Teatri di Cintura, accanto al Teatro del Lido di Ostia, Teatro Tor Bella Monaca, Teatro di Villa Torlonia e il Teatro Villa Pamphilj. Quella che oggi è denominata la rete dei Teatri in Comune e ieri Sistema Casa dei Teatri e della Drammaturgia Contemporanea. Questi teatri di proprietà comunale sono affidati alla gestione di raggruppamenti di esperienze, mediante bandi pubblici che ne rinnovano l’assegnazione periodicamente. Nel caso del TBQ, la gestione è stata riaffidata il 6 Novembre scorso al Raggruppamento Temporaneo di Imprese costituito da Associazione Compagnia Veronica Cruciani, Fabbrica srl, Associazione Compagnia Teatro Viola. La direzione artistica di Veronica Cruciani garantisce dal 2013, nonostante i funambolici riassetti, le proroghe, le riconferme, una forte identità militante al Teatro, costantemente in dialogo con il complesso territorio periferico del Quarticciolo.
Short Theatre è un festival multidisciplinare nato nel 2006, inizialmente per promuovere formati spettacolari eccezionali (soprattutto brevi, da qui il nome), con la missione dichiarata di sostenere il percorso di compagnie e artisti emergenti, o il cui lavoro fosse già conosciuto altrove. Nel corso di dodici anni ha cambiato forma, sedi, durata, allargando la propria missione e investendo su progetti impegnativi. Il Festival si contraddistingue, oltre che per la qualità artistica della programmazione, per la capacità di inventare ogni anno il proprio sostentamento economico tessendo una fitta rete di relazioni con partner e sponsor, pubblici e privati. Nonostante la caparbietà con cui Short Theatre si reinventa e resiste, barcolla in un paradosso insieme ad altre realtà di pari qualità, come Teatri di Vetro, Romaeuropa Festival e le Vie dei Festival. Il ritardo infatti con il quale le amministrazioni locali, Regione Lazio e Comune di Roma, pubblicano i bandi, fa slittare all’autunno molte delle manifestazioni romane. Sicché le tempistiche dettate dai finanziamenti pubblici coagulano nell’arco di due mesi (fine Settembre-inizio Dicembre), la gran parte della proposte che danno linfa alla vita teatrale capitolina, costringendo gli spettatori ad una schizofrenica e spasmodica scelta tra spettacoli egualmente validi e gli operatori a contendersi un esiguo spazio-tempo, sebbene mossi da intenti condivisi.
Infine ÀP, Accademia Popolare Antimafia, è un progetto dell’associazione daSud che da oltre un decennio è impegnata in tutta Italia nella lotta alle mafie attraverso progetti di educazione non formale e sperimentazione di linguaggi creativi. L’Accademia, con sede presso l’Istituto Ferrari nel quadrante est di Roma, è il risultato di uno sforzo collettivo che coinvolge artisti, associazioni, gruppi, comitati, cittadine e cittadini. Ciascuno di loro partecipa, contribuisce, insegna, impara e si mette in discussione per costruire un originale punto di vista sulla società. Lo spazio teatrale che ospita, da una parte si pone al servizio degli studenti dell’Istituto e dei ragazzi del quartiere, allo scopo mirato di promuovere e diffondere tra loro la conoscenza del fatto teatrale per combattere la dispersione scolastica e il disagio sociale. Dall’altra ÀP garantisce al quartiere periferico di Roma Est e al resto della città, una programmazione teatrale ad un costo accessibile a tutti, ma soprattutto una sala prove a titolo gratuito alle compagnie. L’accademia dunque supplisce ad un grosso vuoto lasciato aperto dalle istituzioni, quello di affiancare la ricerca delle compagnie garantendo degli spazi per le prove, l’affitto dei quali, in una città come Roma, non ha un prezzo di favore. Allo stato attuale infatti i finanziamenti pubblici si basano su dati quantitativi, facendo la conta sul numero di repliche e spettatori paganti, considerando così il lavoro delle compagnie soltanto nel suo esito finale, lo spettacolo, senza tener conto della durata e dei costi che lo precedono. ÀP risponde a questa esigenza chiedendo in cambio alle compagnie solo la restituzione degli spettacoli nelle scuole, generando un circuito virtuoso per cui, le prime abbattono dei costi di produzione e i ragazzi beneficiano continuamente di proposte artistiche di qualità.
Questo focus dunque si propone di portare in luce progetti meritevoli di attenzione, che non si arrestano alla denuncia, ma si sforzano di cambiare lo stato attuale delle cose, creando comunità laddove si semina individualismo e competizione.
Intervista a Veronica Cruciani- Teatro Biblioteca Quarticciolo
Partiamo dal bello: Il titolo, Costellazioni invisibili, rimanda “all’immagine di una mappa del cielo che unisce milioni di stelle”. Puoi parlarci di queste “stelle” della nuova stagione del TBQ?
Sono “invisibili”, appunto, perché non si danno immediatamente alla vista e questo loro mistero ci obbliga a esplorare, a intraprendere una ricerca attiva per poterle vedere. Desiderare significa, letteralmente, avvertire la mancanza delle stelle, di buoni presagi, di auspici. Così, per estensione, il verbo desiderare ha assunto anche l’accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata. Se uniamo queste invisibilità si formano delle costellazioni. Rappresentano delle comunità, delle minoranze etiche o artistiche, piccoli gruppi che si danno da fare e sentono il dovere di farlo. Sono minoranze che con molta modestia costruiscono un percorso in un determinato quartiere con i bambini, i malati, gli immigrati o i carcerati. Lavorano anche in asili, scuole, fabbriche e nelle chiese o in mare. Sono persone che cercano di salvare dei frammenti di società, dei pezzi di cultura, degli spazi di sopravvivenza: zone libere, ancora attive. Queste stelle invisibili e pulsanti sono minoranze fondamentali perché hanno un ruolo di proposta e di formazione per le nuove generazioni.
Come si fa a coniugare l’attenzione a un quartiere come quello del Quarticciolo, con la sua storia, la sua collocazione periferica, e l’eterogeneità della sua popolazione, alla vocazione contemporanea che contraddistingue la nuova stagione?
La drammaturgia contemporanea è anche narrazione sui popoli migranti, è storia delle donne, di lavoratori, raccontata in un modo che ci riguarda e ci coinvolge. È narrazione del tempo presente con i suoi punti di collasso e di crisi, delle sue zone di pericolo e minaccia. Solo per fare degli esempi, il dittico sulle resistenze femminili in Italia di Marta Cuscunà: “È bello vivere liberi!” (rivolto anche alle scuole) e “La semplicità ingannata”. “Ma perché non dici mai niente?” di Lucia Calamaro, per la regia di Maurizio Lupinelli. “Reality”, di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, lo spettacolo “Bimba” scritto, diretto e interpretato da Elena Bucci, il “Nullafacente” di Michele Santeramo, “Potente e Fragile” concepito appositamente per il TBQ da Ascanio Celestini e Giuliana Musso. Sono tutti spettacoli che toccano tematiche sociali in cui l’intero pubblico può riconoscersi, da quello più semplice a quello più raffinato, senza insistere sulle miserie che già quotidianamente molte delle persone sono costrette a vivere, bensì rilanciando sempre verso la bellezza, che regala un’alternativa e accende un desiderio. Per la rassegna under 35 poi, andranno in scena a maggio molti giovani artisti di talento tra cui lo spettacolo New Horizon di Francesco Marilungo, una danza minimale che crea un dialogo di grande suggestione tra luce, spazio e i corpi dei due performer. Liv Ferracchiati, che al TBQ nella stagione 2016/17 avevamo già ospitato con “Peter Pan guarda sotto le gonne” presenterà “Stabat Mater”, avremo “Fa’Afafine” e “Alan e il mare” di Giuliano Scarpinato. Importante progetto internazionale sarà “INNO (o l’amore nazionale)” della compagnia Wunderbaum in collaborazione con Romaeuropa festival e un’associazione del territorio, “Centro Culturale Lepetit”. Nella stagione danza curata da Valentina Marini la Compagnia Abbondanza Bertoni presenta in marzo lo storico spettacolo “Romanzo d’infanzia”. All’interno della stagione di teatro ragazzi curata da Federica Migliotti, la Factory Compagnia Transadriatica presenterà “Diario di un brutto anatroccolo” per il pubblico dei più piccoli. Penso che la drammaturgia è uno strumento di conoscenza e di diagnosi del nostro benessere e malessere, affinato con mezzi artistici.
Come dialoga il TBQ con il resto della città?
Il teatro deve essere un luogo di riunione e un vettore di comunicazione che permetta a una comunità di rimanere unita. Deve essere, a mio parere, un crocevia di persone che insieme studiano, ricercano, scambiano competenze e contribuiscono a una resistenza culturale. Per questo vorrei continuare a dare vita a un centro culturale che sia capace di programmare e fare attività artisticamente eccellenti e che sia contemporaneamente in grado di coinvolgere in maniera attiva e partecipata i quartieri del Municipio V e la città. L’intenzione è quella di costruire una vera e propria rete che metta in connessione diversi spazi, associazioni, compagnie teatrali, artisti, intellettuali e chiunque possa contribuirvi. Vorrei promuovere delle relazioni stabili, nell’ambito della filiera culturale, tra università, mondo della ricerca, organizzazioni di terzo settore, istituzioni e imprese culturali. Tutto ciò che possa accrescere e arricchire il valore immateriale del luogo. Creare un ponte tra il concetto di Resistenza, tanto caro agli anziani del quartiere e ancora sconosciuto ai più giovani, e una vera e propria Resistenza Culturale.
Oggi il futuro in cui il TBQ si proietta ha la scadenza di due anni. Come si riesce a garantire identità e qualità ad una programmazione culturale strozzata da tempi cosi brevi?
Il finanziamento che ci viene dato dal Comune di Roma purtroppo è inadeguato rispetto all’attività che svolgiamo e al numero di persone che siamo obbligati a coinvolgere per garantire un lavoro professionale in tutti i settori. La nostra capacità di coinvolgimento di certe figure di spicco del teatro italiano e non, sia per gli spettacoli che per i laboratori, si basa molto su amicizie personali e militanza, poiché non abbiamo i fondi adeguati. Potete immaginare che questa non è una base solida per poter continuare un lavoro in maniera seria in questo luogo! Spero che il finanziamento non abbia ulteriori ribassi in futuro, ma che venga incrementato.
Cosa cambia rispetto al passato nel nuovo sistema teatrale Teatri in Comune, voluto dal Vicesindaco e dall’assessore Luca Bergamo?
Il cambiamento è legato all’entrata del Teatro di Roma nella gestione di questi teatri. Nei prossimi mesi andremo a capire come si costruirà questo dialogo tra di noi. Io sono fermamente convinta che questi teatri in comune debbano avere una loro autonomia, un loro direttore artistico e una squadra di persone che deve essere presente sul territorio e lavorare stando a contatto quotidianamente con le persone del quartiere. Il tentativo di Luca Bergamo credo sia quello di cercare di mantenere un’autonomia artistica e gestionale di questi spazi ma spingere a un dialogo e a delle collaborazioni tra il teatro più importante della capitale e quelli “di cintura”. Vediamo cosa succederà, ma sono positiva.
In questi anni l’attività del TBQ si è distinta anche per il suo sostegno ad alcune produzioni, le attività di formazione e l’attenzione per lo spettatore. Se non fosse un progetto su base biennale ma triennale (come previsto dal Ministero), e se avesse altri numeri, potrebbe dirsi un piccolo centro di produzione. Certo non si può ragionare in termini così ipotetici, però si può “desiderare”. Quali allora sono i tuoi/vostri sogni per trasformare il ruolo di questo teatro?
Siamo contenti dei risultati. La partecipazione del pubblico della città e l’adesione di artisti importanti, che fanno un lavoro di qualità a livello nazionale e internazionale, alla programmazione ci fa sperare bene. Ma vorrei cercare di riconoscere il lavoro in maniera adeguata agli artisti che ospitiamo, questo è il mio cruccio più grande. Stiamo cercando altri finanziamenti attraverso bandi pubblici per riuscire a pagare in maniera adeguata gli artisti e le persone che lavorano in teatro. Sarebbe importante che il mandato fosse di almeno di tre anni così da permettere a chi vince il bando di lavorare con continuità, dando il tempo di cercare ulteriori investimenti e relazioni.
Intervista a Fabrizio Arcuri e Francesca Corona-Short Theatre
Come nasce Short Theatre?
Short Theatre nasce dall’esigenza di inventare uno spazio di condivisione di idee e di visioni. Nasce dalla volontà di costruire un luogo capace di raccogliere istanze e peculiarità della scena contemporanea. Nasce dal desiderio di attivare degli spazi non solo di programmazione ma di pensiero, di riflessione, di ricreazione e di incontro. Questi erano fin dall’inizio gli intenti e questo è quello che ogni edizione da dodici anni cerchiamo di fare, di affinare e di mettere a punto.
Il festival nasce nel 2006, ideato da Fabrizio Arcuri con la complicità di Roberta Scaglione (PAV): un festival di teatro, danza e arti performative, dedicato inizialmente a formati spettacolari eccezionali (soprattutto brevi, da qui il nome), con la missione dichiarata di accogliere, sostenere e rilanciare, il percorso di compagnie e artisti emergenti, o il cui lavoro già riconosciuto altrove, non trovava facilmente spazio e attenzione a Roma. Sin da subito un tenace tentativo di comporre un paesaggio artistico internazionale, facendo emergere connessioni tra percorsi artistici lontani per provenienza geografica, anche portando per la prima volta in Italia alcuni artisti, come i Forced Entertainment, El Conde de Torrefiel, Agrupacion Senor Serrano, Joris Lacoste, Ivana Muller, Tiago Rodrigues.
Uno punto di osservazione, ricognizione, accompagnamento, sostegno, e cura prospettica: questa l’inclinazione progettuale di Short Theatre fin dai suoi inizi. E accanto a questo l’idea, politica ma anche appassionata, di costruire e riconnettere, anche se temporaneamente, una comunità fatta di artisti, operatori, pubblico: una comunità variegata, trasversale, che si riconosce nello slancio di far parte di una scommessa relazionale, in cui lo spettacolo dal vivo, in un continuo e persistente dialogo tra chi lo fa e chi lo vede, ricerchi e ritrovi continuamente il suo senso, di narrazione del presente, di indagine di una condizione, di voce e gesto contemporaneo. In questi dodici anni il festival ha cambiato forma, sedi, durata, temperatura; ha allargato e affinato la rete di collaborazioni; si è fatta carico di investire su progetti parecchio impegnativi per la fisionomia del festival; è diventato un festival multidisciplinare (inserendo la musica tra i suoi percorsi principali, oltre al teatro e alla danza). Tutto questo però cercando di non perdere la sua radicalità territoriale (come polo attrattivo e di sperimentazione di Roma); tutto questo senza dimenticarsi di essere, ovunque e in ogni diversa condizione, il luogo che sappia accogliere quella comunità che ha costruito, e da cui è costruito.
Come vive Short Theatre? (produttivamente ed economicamente)
Short Theatre, come molte realtà italiane, inventa la sua vita produttiva ed economica ogni anno, tessendo con grande e precisa inventiva il budget che lo rende possibile. A livello economico l’asse principale è il MIBACT, dal quale riceviamo un finanziamento come Festival Multidisciplinare. Questo finanziamento è il più importante sia per quantità che per tipologia: è l’unico finanziamento su base triennale che ci permette e ci induce a immaginare il festival a medio termine e ci dà la possibilità di progettare collaborazioni più stabili. Poi ci sono le amministrazioni locali, Regione Lazio e Comune di Roma con i quali il rapporto è stato di grande incertezza nei tempi e nella sostanza. Sono dei sostenitori fondamentali del festival, ma non sempre gli strumenti a disposizione sono adeguati alle dinamiche di un festival multidisciplinare, internazionale e dell’impatto di Short Theatre.
Ci sono poi i progetti cofinanziati dalla Comunità Europea, fondamentali per economie, per lo sforzo progettuale che richiedono e per le relazioni di complicità che permettono di strutturare a livello internazionale. Seguendo il disegno della programmazione, in ogni edizione si vanno ad aggiungere le relazioni con singoli Istituti di Cultura, Ambasciate e Istituzioni internazionali con i quali negli anni abbiamo costruito degli ottimi rapporti di fiducia, sostegno e slancio progettuale. Short Theatre ha una dinamica produttiva frastagliata: a parte l’amministrazione che garantisce la continuità tutto l’anno, e la direzione che costruisce e compone la programmazione mese dopo mese, tutto lo staff si ritrova a Roma a giugno – molti di noi abitano altrove – prendendo le fila di tutto il lavoro fatto e iniziando a trasformare in realtà il progetto.
Come si misura con la compresenza di altri festival teatrali nello stesso periodo?
Il ritardo con il quale le amministrazioni locali pubblicano i bandi ha fatto slittare all’autunno molte delle manifestazioni romane. Di per sé questo autunno così pieno di iniziative non sarebbe problematico e preoccupante se poi non ci ritrovassimo con poco e nulla il resto dell’anno. E’ sempre più urgente, per questo e per altri altrettanto importanti motivi di progettazione, di esistenza e diversità culturale, che gli strumenti di finanziamento pubblico possano aiutare alla creazione di una proposta organizzata nei modi e nei tempi, per permettere al pubblico di seguire certo, ma anche agli operatori di crescere, consolidarsi ed esistere.
Tornando alla compresenza, pensiamo che se organizzata, ragionata e non imposta dallo scadenzario dei bandi, in alcuni punti potrebbe diventare una coabitazione favorevole, favorendo collaborazioni e pensieri condivisi sulla programmazione, pur rimanendo ognuno nella propria specificità artistica.
E’ proprio grazie alla vicinanza temporale con Romaeuropa Festival – oltre che ad una certa sensibilità comune – che quest’anno siamo riusciti a realizzare insieme un progetto importante e esigente: Nachlass di Rimini Protokoll non sarebbe arrivato a Roma se i nostri due festival non avessero deciso di portarlo avanti insieme.
Quali strategie adottate per far fronte all’incertezza del finanziamento per l’anno successivo?
L’immaginare futuri incerti è una pratica che ci accompagna da tempo, e forse più che una strategia, è una tattica di sopravvivenza che ci permette di continuare a lavorare e costruire il presente e il futuro del festival nonostante la faticosissima incertezza finanziaria.
Sicuramente moltiplicare gli interlocutori, le modalità di collaborazione e di progettazione, la partecipazione a progetti europei ci ha dato una maggiore forza, così come il finanziamento su base triennale, reso possibile dal nuovo decreto ministeriale.
La sopravvivenza di Short theatre deve molto alla solidarietà e la vicinanza tra operatori e realtà attive nella nostra città, al prezioso lavoro di rete attiva e informale con alcuni colleghi della scena nazionale, al continuo scambio e confronto con molte realtà internazionali, al lavoro sorprendentemente generoso e pieno di innovazione che chi lavora a Short theatre mette a disposizione. Una rete di alleanze preziosissima e che rende possibile tutto questo in tempi così scuri.
Qual è il sogno o l’ambizione di Short Theatre per il futuro?
L’ambizione di Short Theatre è quella di saper rinnovare continuamente la sua necessità, di continuare ad immaginare il futuro, in un costante dialogo con l’esistente. Il sogno è quello di poterlo fare a partire da condizioni sempre più adeguate, creando una struttura che, pur rimanendo fluida e agile, possa radicarsi e lavorare in modo più continuativo. Restare in ascolto della realtà in cui ci muoviamo, accompagnare i percorsi degli artisti, creare con loro formati e dispositivi di dialogo con il pubblico, ideando strumenti adeguati e accessibili, significa costruire condizioni di possibilità sempre più solide nelle quali realizzare quello che la nostra città non è ancora.
Intervista a Pasquale Grosso e Rosario Mastrota- ÀP, Accademia Popolare Antimafia
Cos’è Ap?
ÀP è un progetto collettivo a cui aderiscono artisti, associazioni, gruppi, comitati, cittadine e cittadini. Ciascuno di loro partecipa, contribuisce, insegna, impara e si mette in discussione per costruire un nuovo e originale punto di vista sul mondo. È un progetto dell’associazione daSud e nasce dal desiderio di mettere a sistema tutte le nostre attività. daSud è un centro di elaborazione e sperimentazione di pratiche e percorsi mediante i quali sensibilizzare alle tematiche antimafia e agire contro le mafie. Nell’arco di 14 anni la nostra associazione ha sempre lavorato utilizzando i linguaggi creativi come mezzo e come fine per riflettere e insieme ostare le mafie, producendo dischi, fumetti, documentari, spettacoli teatrali, percorsi di educazione non formale con i ragazzi nelle scuole di tutta Italia. In questi anni abbiamo prodotto una serie di dossier che raccontano l’Italia. Nel 2008 ad esempio abbiamo prodotto Arance Insanguinate, un dossier su Rosarno, palco delle tragedie degli ultimi tempi. L’ultimo lavoro si chiama Under e racconta la relazione tra giovani-mafia e periferia nel Centro e nel Sud Italia. Abbiamo sostenuto la compagnia Ragli, di cui Rosario Mastrota che cura la stagione teatrale fa parte, producendo insieme una trilogia sulla ‘ndrangheta.
Ap è la casa che riunisce tutte queste attività, ma soprattutto un luogo di incontro immediato con i ragazzi, destinatari principali delle nostre azioni. La sede dell’accademia si ritaglia negli spazi dell’Istituto Ferrari, nel quadrante est di Roma. La preside Ida Crea, ha abbracciato il nostro progetto e messo a disposizione una biblioteca chiusa da 10 anni, un’aula magna che è diventata la sala teatrale e alcune aule per i diversi laboratori. Qui conduciamo un lavoro di prevenzione sulla dispersione scolastica, nella speranza che i ragazzi riescano a riconoscere le dinamiche sottese al disagio sociale, che nei quartieri periferici come quello che ci ospita è molto forte.
Quali sono le attività dell’Accademia?
Le nostre attività rientrano in un processo di educazione non formale, un piano formativo che ha sposato anche il Ministero dell’Istruzione con un protocollo che dura da sei anni. Tutti i corsi sono legati ai linguaggi creativi allo scopo di articolare tematiche sui diritti e l’antimafia. Abbiamo ad esempio una radio, radio daSud, la cui redazione è gestita dai ragazzi della scuola. Il pomeriggio l’Accademia diventa un laboratorio aperto a tutta la città. Lo spazio teatrale ad esempio è pensato da una parte per sostenere le compagnie della città che necessitano di un luogo dove provare, dall’altra per consentire ai ragazzi di fruire gli spettacoli. La sera l’Accademia si trasforma in un luogo che produce cultura, oltre alla stagione teatrale, proponiamo concerti, rassegne di letteratura e Festival, sempre nell’ottica di cambiare l’immaginario sulle mafie e l’antimafia. Inoltre da poco, abbiamo siglato un accordo con il Centro Sperimentale di Cinecittà che trasformerà la sala teatro anche in un Cinema aperto al pubblico due volte a settimana.
Come si legano queste attività alla Stagione teatrale da voi proposta?
La stagione è un esperimento, chiamarla così è un po’ ambizioso. L’idea è quella di aprire il luogo alla città, lasciare che venga permeato dal teatro una volta al mese. Partiamo dal presupposto che l’offerta teatrale è indirizzata principalmente ai ragazzi e non ha la pretesa di misurarsi con i validi cartelloni che gli spazi teatrali di Roma già offrono. Il nostro obbiettivo è prettamente quello di educare e sensibilizzare alla bellezza del teatro, di farlo conoscere alle più giovani generazioni che crescono in contesti periferici difficili dove non arriva neanche l’eco di quei cartelloni. La famigerata “formazione del pubblico” di cui sempre più spesso si parla, per noi assume connotati fortemente politici, perché crediamo che lavorando a stretto contatto con i ragazzi, in periferia, si possa davvero ovviare le logiche del disagio attraverso la bellezza. Per noi portare il teatro qui dentro vuol dire innanzitutto portarlo nella testa e nel cuore dei ragazzi di questa scuola e di questo quartiere. Per questo il criterio con il quale è stata pensata la stagione è quello di dare un’offerta variegata, non nell’ottica di accaparrarci un pubblico indifferenziato, ma nell’ottica di far appassionare i ragazzi al teatro, ai teatri, in tutte le loro forme. Abbiamo incontrato la disponibilità di artisti affermati, come Roberto Latini, che hanno recepito il messaggio sociale dietro al progetto e vi hanno aderito. La stagione è cominciata il 5 ottobre, con Il trasloco della Compagnia Ragli. Il 6 ottobre è andato in scena lo spettacolo Blu, dell’autrice Laura Forti, diretto da Giampiero Judica. Il 9 novembre è andata in scena una versione Radio Edit de I giganti della montagna di Roberto Latini, Fortebraccio Teatro. Il 14 dicembre la Compagnia CARNEVALE, con lo spettacolo Arlecchino trasformato dall’amore, diretto da Antonio Carnevale. L’11 gennaio la compagnia Leviedelfool ha portato in scena Requiem for Pinocchio, diretto da Simone Perinelli. L8 febbraio è stata la volta di 00:55:20 della compagnia romana Malalingua/Effetto Joule diretto da Emiliano Valente e Valeriano Solfiti. Chiude la rassegna, il 15 marzo, l’autore/attore Andrea Di Palma con il suo Madeinterraneo, un racconto nostalgico sul fenomeno della migrazione.
Pur aprendo lo spazio a tutta la città, resta per noi forte l’esigenza di rivolgerci ad un pubblico con un volto specifico, e non a pubblici generici. Dunque la stagione è pensata per i ragazzi di questo quartiere che non conoscono affatto il teatro e pensano sia noioso. Di conseguenza presentiamo loro diverse pratiche e poetiche in modo da lasciarli liberi di scegliere cos’è che gli piace. Un aneddoto simpatico è che dopo lo spettacolo di Roberto Latini un ragazzo è venuto da noi dicendo: “Stupendo! Non ho capito nulla ma mi sono emozionato tantissimo!”
Come sostenete queste attività?
daSud non vende servizi né prodotti di alcun tipo, di conseguenza l’unico sostegno possibile è quello del finanziamento ad opera di enti pubblici e fondazioni private, accanto alle donazioni e i tesseramenti. Indispensabile è la rete di relazioni che abbiamo intessuto negli anni, con altre associazioni come Libera, Arci, o A buon diritto, con le istituzioni e con gli artisti. La formula che usiamo ad esempio con tutte le compagnie che hanno bisogno di uno spazio per le prove non è quella dell’affitto, ma chiediamo loro di presentare gli spettacoli nelle scuole. Questo scambio permette ad entrambi di abbattere dei costi. Per quanto riguarda le serali, concordiamo con gli artisti un cachet, e chiediamo agli spettatori una sottoscrizione, dal momento che non possiamo emettere biglietti. Gli introiti che abbiamo al momento non ci consentono di programmare di più, ma stiamo crescendo e a stagione avviata sentiamo già vicini molti operatori, addetti ai lavori e spettatori.