Tener conto del pluralismo esistente, esercitare l’autonomia della politica
Pubblichiamo di seguito l’intervento di Vittoria Franco (Pd) nel corso del dibattito al Senato sui disegni di legge in materia di consenso informato unificati nel “testo Calabrò”[…] credo che dobbiamo inserire in maniera più esplicita questa nostra discussione {{nel quadro attuale della medicina, della ricerca e delle nuove tecnologie.}} Molte delle questioni sulle quali il Parlamento è chiamato a legiferare, infatti, sono legate ai progressi della scienza e della tecnica, che hanno sconvolto la naturalità della vita, hanno cambiato le frontiere della nascita e della morte, hanno introdotto elementi di artificialità inimmaginabili fino a non moltissimi anni fa, hanno creato una condizione che sta sospesa tra la vita e la morte.
La sopravvivenza molto spesso è legata all’intervento delle macchine anche per la nutrizione; si è stabilito cioè un legame del tutto inedito tra la vita e la tecnica e tra la vita, la tecnica e la politica, chiamata a stabilire regole e leggi: {{è nata la biopolitica}}. È il potere politico, cioè, che si fa potere di vita, potere sulla vita dei singoli, un fatto quanto mai illiberale. Quello che non dovrebbe accadere è che lo Stato, grazie a questo legame, imponga una sorta di costrizione a vivere a tutti costi, quali che siano la volontà della persona e le condizioni reali della sua vita, quindi anche uno stato vegetativo persistente per moltissimi anni. Si sancirebbe in questo modo una sorta di obbligo ad essere prigionieri della tecnica. {{Ad un certo punto, sarebbero le macchine a possedere i nostri corpi e le nostra volontà}}: le macchine si appropriano della nostra vita, diventiamo proprietà delle macchine. Ma in questo modo si arriva alla negazione della persona umana e della sua dignità, in quanto capace di libera scelta. Non possiamo, come legislatori, sancire questo ed escludere, anche in presenza di un’espressa volontà, la possibilità di sottrarsi alla tecnica e ritornare alla naturalità della morte.
Non voglio fare l’antimoderna, ma è evidente che dobbiamo introdurre {{un limite alla pervasività della tecnica rispetto alla volontà umana}}, soprattutto quando si tratta del fine vita. Voglio ricordare a questo proposito una riflessione di Paolo VI, tanto più importante in quanto le attuali gerarchie ecclesiastiche sostengono posizioni molto diverse. Diceva {{Paolo VI nel 1970}}: «Il carattere sacro della vita è ciò che obbliga il medico a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa, tuttavia, obbligarlo ad utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo».
Ho trovato, […] profondamente sbagliata, perché prevaricante nella sua banale semplificazione e persino offensiva, la {{contrapposizione estrema a cui si è fatto e si continua ancora a fare ricorso fra cultura della vita e cultura della morte.}} Si tratta invece, dobbiamo accettarlo tutti, di differenti concezioni della vita e della dignità della morte e nella morte. Anche in questo caso, io, non credente, voglio citare le parole sagge, vorrei dire misericordiose, di un prelato, {{monsignor Casale}}, vescovo emerito di Foggia, che, durante le polemiche sulla morte di Eluana Englaro, ha rifiutato quell’accusa terribile di assassinio risuonata anche in quest’Aula e ha parlato di {{un atto di misericordia}}. Ha detto monsignor Casale: «Non si è voluto dare la morte a questa giovane. L’alimentazione e idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti medici; e se una cura non porta a nessun beneficio, può essere legittimamente interrotta: questo non è omicidio».
Personalmente, ritengo inaccettabile una concezione sacrale della vita che prescinda dalle condizioni concrete dei soggetti e dalla volontà individuale, come se potesse darsi {{una vita astratta e metafisica}}. Vorrei porre, invece, al centro della nostra attenzione il valore della dignità della persona umana in tutte le fasi della vita, fino al momento della morte. {{C’è una dignità umana nel vivere e una dignità umana nella morte.}} La dignità, per essere e manifestarsi, deve contenere ed esigere forme di rispetto: il rispetto della vita e il rispetto della libertà di ciascuno di decidere come vivere il fine vita. Non vi è dignità senza questa libertà, una libertà costituzionale certamente chiarissima nell’articolo 32 della Costituzione, molte volte citato. Anch’io voglio richiamare quel passaggio che pone limiti alla legge: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Quel rispetto della persona umana implica, contiene, il rispetto della sua volontà, fosse anche quella di rifiutare le cure, una volontà che porta alla morte, per quanto ciò sia doloroso da accettare.
La {{Costituzione}} ci conferma che l’indisponibilità della vita umana riguarda in primo luogo lo Stato. Una legge sul testamento biologico che non prevedesse la possibilità di rinunciare alla cura e anche alla vita, non sarebbe conforme all’articolo 32 della Costituzione, perché non sarebbe rispettosa della volontà individuale e perché sancirebbe un affidamento della vita individuale allo Stato. È il caso di richiamare un passaggio importante della sentenza della Suprema Corte, che recita: «Il diritto costituzionale di rifiutare le cure è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes». Dunque, è compito del legislatore arrivare ad approvare un testo sulle dichiarazioni anticipate di trattamento che preveda tutte le garanzie di rispetto, sia per la vita della persona, che per le sue libere decisioni: due valori costituzionali che vanno tenuti insieme. È qui la sfida del legislatore e mi auguro – anche se i richiami all’ordine che sono arrivati da luoghi apicali del Governo lo lascerebbero escludere – che in quest’Aula si creino le condizioni di ascolto anche delle nostre ragioni, le ragioni cioè di chi non ritiene che si possa affermare la dignità della persona umana se le si nega la possibilità di decidere del suo fine vita.
Considero l’ascolto delle ragioni che ciascuno porta nella discussione tanto più necessario, in quanto sono sempre più convinta che leggi su materie così sensibili, che chiamano in causa coscienza individuale e convincimenti etici e religiosi, debbano essere in grado di rispecchiare i diversi punti di vista e la molteplicità delle posizioni etiche che esistono nella società. Posizioni etiche molteplici che vanno rispettate, lo voglio dire al senatore Nania, e non irrise come lui ha fatto con molta supponenza e arroganza. È questo {{il compito dello Stato laico,}} che agisce in autonomia, con l’unico scopo di costruire il bene comune. La storia parlamentare della nostra Repubblica, con le riforme degli anni ’70 e ’90, rivelatesi sagge e lungimiranti, dimostra che questo è possibile e lo è tanto più se si tiene ferma la centralità del Parlamento. Vorremmo che ciò accadesse anche in questo caso.
Nei giorni scorsi è stato ripetuto molte volte che ci stiamo occupando di {{questioni sulle quali nessuno possiede la verità}}. È giusto. Tanto più, allora, la politica non ha il compito di cercare o affermare la verità, ma è chiamata a fare pratica di ragionevolezza, a cercare punti di convergenza e di mediazione. Solo la ragionevolezza ci consente infatti di {{tenere conto del pluralismo e delle molteplici posizioni etiche}} che si confrontano. Certo, nella democrazia alla fine è una maggioranza che decide, ma il risultato sarà tanto più convincente e condiviso quanto più il processo che porta alla decisione ha visto un confronto aperto e libero e non una volontà di prevaricazione e di chiusura. Mi piacerebbe poter fare riferimento a una sorta di etica del legislatore, ispirata alla responsabilità. Non che i princìpi non siano importanti, anzi. È però la responsabilità che ci costringe a farci carico delle ragioni dell’altro, a tenere conto del pluralismo esistente, a esercitare l’autonomia della politica e a rispondere non solo alla propria coscienza, ma anche ai destinatari della legge.
Ognuno porta nella discussione i suoi valori e i suoi princìpi, ma alla fine il risultato, il prodotto, dovrebbe essere una proposta che riesca a tenere insieme almeno le posizioni maggiormente condivise. In Commissione qualcosa à accaduto. Rispetto a un testo che stravolgeva completamente la Costituzione, qualche correzione è stata fatta, ma per noi sono cambiamenti insufficienti. Restano ancora diversi punti che ci fanno dare un parere negativo e dei quali hanno parlato altri colleghi, tra cui i senatori Veronesi e Marino.
Voglio richiamare il tema per me centrale, ossia l’impossibilità di inserire nella dichiarazione anticipata di trattamento {{l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione.}} È un ragionamento di buon senso sostenere che come il paziente cosciente ha il diritto di rifiutare di essere alimentato con il sondino, così questo deve poter essere staccato anche a quello incosciente, quando ciò corrisponda alla sua volontà. Ciò viene invece negato nel testo in discussione. Noi vogliamo offrire – questa è una riflessione politica che ritengo importante – all’attenzione dell’Aula la proposta che il Gruppo del Partito Democratico ha elaborato in una lunga e profonda riflessione, in una discussione che si è svolta alla luce del sole, su un punto controverso come quello che ho citato.
Come risulta anche dagli emendamenti che abbiamo presentato […] si prevede che {{alimentazione e idratazione siano sempre garantite, salvo che non vi sia una diversa volontà espressamente dichiarata dalla persona}}. Vengono in questo modo salvaguardate garanzie di sopravvivenza e possibilità di espressione di una volontà liberamente dichiarata e rispettata, che per la nostra Costituzione è incomprimibile. Mi sembra un punto di mediazione alta fra posizioni diverse che si possono incontrare. Non era questa la mia posizione di partenza, ma in essa mi posso ritrovare. Noi vogliamo e cerchiamo questo incontro, in esso crediamo e per la sua realizzazione siamo impegnati. […]
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