Terremoto Lazio e Marche. Task force di architett* e ingegner* per valutare l’agibilità degli edifici sopravvissuti al sisma
Articolo di Maria Laura Leo — archietturaecosostenibile.it
Ogni anno in Italia si verificano circa un centinaio di terremoti di intensità superiore ai 3 Richter, eventi cioè percepibili dai cittadini, l’ultimo dei quali ha devastato nella notte tra il 23 e il 24 agosto 2016 una zona appenninica fra le Marche e il Lazio.
All’indomani di un sisma del genere ci si domanda il perché di tante vittime. Passata l’emergenza, il dibattito si sposta sui tempi, modi e costi degli interventi volti a scongiurare questi eventi che, con cadenza purtroppo frequente, colpiscono e colpiranno l’Italia.
Il caso di Norcia, la “buona ricostruzione” che ha salvato i cittadini
La città di Norcia è diventata, nel giro di poche ore, l’esempio di come si può cambiare la sorte dei suoi abitanti semplicemente progettando, costruendo e ristrutturando secondo i criteri stabiliti dalla normativa antisismica.
Situata ad appena 17 km dall’epicentro del terremoto, infatti, Norcia non conta neppure un edificio crollato, e nessuno ha perso la vita sotto le macerie. Gli edifici presentano qualche lesione, la gente è scesa in strada in preda al panico, ma a parte qualche crepa e un grande spavento, a Norcia si è tirato subito un sospiro di sollievo.
In seguito al terremoto del 1997 e a quello più grave del 1979, infatti, nella città umbra è stato avviato un processo di ricostruzione e consolidamento antisismico che, la notte del 24 agosto, ha permesso di registrare danni limitati sia a cose che a persone.
Il centro dell’Umbria ha dato un importante esempio di “buona ricostruzione“, di interventi che non sono dettati dalla speculazione e dallo spreco di denaro, ma dalla voglia di preservare la vita umana prima ancora che il patrimonio edilizio.
“Purtroppo in Italia si costruisce bene, con criteri antisismici, solo dopo un terremoto grave”, ha affermato il sismologo Enzo Boschi intervistato sul caso di Norcia. La speranza è che, dopo gli ultimi eventi, le coscienze di tutti vengano scosse e che non siano più necessarie vite stroncate dalle macerie per progettare in maniera corretta e consapevole.
Le solite domande del dopo sisma…
Perché gli edifici crollano? Come mai, nonostante il Paese sia interamente a rischio sismico, esistono ancora case poco sicure? Cosa possono fare architetti e ingegneri per limitare eventuali danni legati ai terremoti?
La collaborazione tra i saperi, l’attenzione rispetto alle scelte progettuali, la consapevolezza della condizione di instabilità in cui versano ancora troppi edifici e l’orientamento verso l’innovazione tecnologica che caratterizza il settore sono soltanto alcuni degli interventi che i professionisti sono chiamati a compiere per evitare di commettere gli stessi errori del passato per colpa dei quali, oggi, ci troviamo di fronte a scenari desolanti di intere cittadine coperte da polvere e macerie.
Rischio sismico e sicurezza degli edifici
Negli ultimi 150 anni, in Italia, i terremoti che, per la loro violenza, hanno causato gravi danni a cose e persone, hanno avuto una cadenza pressoché quinquennale.
La classificazione territoriale del rischio sismico dimostra come oltre 21,5 milioni di persone abitino attualmente in aree a rischio sismico molto o abbastanza elevato (classi 1 e 2). 3 milioni risiedono soltanto nella zona 1 di massima esposizione. 19 milioni di italiani vivono nei comuni appartenenti alla zona 3, nella quale rientrano anche alcuni centri emiliani colpiti dal terremoto del 2012 e che, pertanto, appare chiaramente come poco sicura.
Armando Zambrano, presidente CNI, in un comunicato stampa del 24 agosto ha provato a dare una risposta a chi si chiede come sia possibile che interi Comuni siano stati sbriciolati dal sisma: “Gli eventi distruttivi di questa notte purtroppo non sono una novità, specialmente nella dorsale appenninica. In queste zone esistono ancora edifici costruiti in pietra, in anni in cui non esistevano normative antisismiche”. Buona parte dei crolli, infatti, ha interessato i centri storici, le cui abitazioni hanno mostrato le mura lapidee sventrate dalla violenza del sisma.
Dopo il terremoto che, nel 2002, si è abbattuto su Puglia e Molise, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con Ordinanza n. 3274 del 2003, ha rivisto la classificazione del territorio nazionale per quanto riguarda il rischio sismico elaborata nel 1981, dopo il sisma dell’Irpinia, e aggiornata fino al 1984, stabilendo che nessuna area del nostro Paese può ritenersi disinteressata dal rischio di terremoti. Alla legge sono state abbinate una serie di norme tecniche da applicare sia in caso di nuova costruzione in territorio sismico, sia per interventi di adeguamento strutturale degli edifici esistenti.
Quanto auspicato dalla normativa, tuttavia, non si è verificato, almeno non del tutto. Ad oggi, infatti, soltanto il 25% dei manufatti distribuiti sul territorio italiano può definirsi veramente sicuro. “Occorrerebbe una forte azione di adeguamento, come noi ingegneri chiediamo da anni, sin dai tempi del terremoto in Irpinia. Occorrono norme semplici che consentano di intervenire nei centri storici.”, prosegue Zambrano, esprimendo il suo disappunto rispetto alla condizione in cui versa l’edilizia italiana a dispetto del rischio sismico che caratterizza il Paese.
Quando e come devono intervenire i professionisti?
La maggior parte del patrimonio edilizio italiano si presenta ormai vetusto e, perciò, particolarmente bisognoso di interventi atti al consolidamento delle strutture.
Circa 15 milioni di abitazioni, ovvero quasi il 50%, sono state realizzate prima del 1974, 4 milioni prima del 1920 e 2,7 milioni prima del 1945. Sono soltanto il 5% delle abitazioni italiane ad essere state costruite dopo il 2001 e, in teoria, bisognose di interventi di adeguamento meno invasivi, nonostante circa un quarto di questi si trovi in condizioni di conservazione mediocre o pessima.
Le abitazioni costruite dopo il 2008, invece, dovrebbero già rispettare la normativa antisismica.
Il primo passo da compiere è, perciò, quello di mettere in sicurezza gli edifici in cui vivono gli italiani e di farlo prima possibile. Il sisma, infatti, è un evento naturale che non si può prevedere, ma intervenire per tempo sulle strutture anche piuttosto datate o comunque minacciate dal rischio sismico è immediatamente necessario.
Il Consiglio Nazionale degli Architetti suggerisce, a questo proposito, l’avvio di un censimento, ormai inevitabile, dello stato delle abitazioni e dei luoghi di lavoro sul territorio nazionale. È impensabile, infatti, che la legge stabilisca l’obbligo della certificazione di classe energetica per un edificio e non un documento che attesti l’adeguamento dello stesso alle norme antisismiche.
Dopo aver individuato gli immobili che necessitano di un opportuno intervento atto a prevenire il rischio di crolli in caso di terremoto, i professionisti dovranno intervenire congiuntamente per mettere in pratica quegli studi, quegli esperimenti, quelle nuove tecnologie che le Università e i centri di ricerca hanno elaborato per anni, facendo del nostro Paese uno dei poli più all’avanguardia nel settore. Ogni fabbricato, infatti, può essere reso sicuro dal punto di vista sismico.
L’importanza dell’intervento è dimostrata dal fatto che, immediatamente dopo il terremoto, equipe di architetti, ingegneri, geometri, geologi verranno messi a disposizione per ripartire immediatamente con la ricostruzione.
Team di esperti si impegneranno, infatti, a verificare l’agibilità degli edifici sopravvissuti al sisma, così da consentire prima possibile, a chi ha ancora un tetto sopra la testa, di tornare nella propria casa e di riconquistare, seppur a fatica, una parvenza di normalità.
Il lavoro maggiore dovrà svolgersi su quelle case che, oggi, non sono che un cumulo di macerie. Occorrerà procedere quanto prima alla ricostruzione, cercando di mantenere il tessuto edilizio esistente, utilizzando tecnologie figlie del tempo che viviamo e ponendo particolare attenzione a non commettere gli stessi errori del passato.
Fondamentale, per una rapida ed efficiente ricostruzione, è la collaborazione tra i professionisti. Ogni specialista, che si tratti di architetto, ingegnere, archeologo, geologo, storico o restauratore, è chiamato ad intervenire nel processo di ripristino di interi centri abitati sgretolatosi di fronte alla violenza sprigionata dalla terra. Ognuno di loro dovrà dare una risposta frutto di esperienza e competenza diversa da quella degli altri, per avviare uno strumento d’azione frutto dell’interazione tra i diversi profili disciplinari.
I professionisti dovranno elaborare un percorso condiviso, confrontarsi continuamente prima di agire e puntare sulla cooperazione.
Quanto costa mettere in sicurezza gli edifici in Italia?
Ma quanto incide, in termini economici, la messa in sicurezza o la ricostruzione degli edifici secondo la normativa antisismica vigente? La spesa relativa agli interventi di consolidamento è variabile in base alla zona in cui si trova l’immobile in questione, all’età del manufatto e allo stato di conservazione in cui si trova.
Il terremoto che, nel 2009, si è abbattuto su L’Aquila rappresenta, nella scala delle sismicità storicamente registrate in Italia, un evento distruttivo medio. Prendendo questo dato come parametro di intensità sismica e considerando l’intero patrimonio abitativo italiano, il Centro Studi del CNI ha ipotizzato un piano di recupero degli edifici che tiene conto dell’età e delle condizioni strutturali che li caratterizzano. Gli immobili da recuperare sarebbero pari a circa il 40% delle abitazioni del Paese, a prescindere dal livello di rischio sismico che identifica le zone in cui sorgono.
Ne deriva che circa 12 milioni di immobili italiani dovrebbero subire opere di messa in sicurezza statica, coinvolgendo circa 23 milioni di cittadini.
Sulla base di questi dati il CNI ha elaborato una stima dei costi per la messa in sicurezza delle abitazioni degli italiani da eventi sismici di media intensità. La spesa oscillerebbe intorno ai 93 miliardi di euro.