Tilde Capomazza, portò il femminismo in tv
Ricordo di Tilde Capomazza, femminista ‘anomala’, scomparsa il 1° febbraio
— Era il 1977, poco più di quarant’anni fa quando iniziò il programma “Si dice donna” in onda sul secondo canale della RAI. Per la prima volta nella storia della televisione si parlava di sessualità, di maternità, di lavoro, di politica con un punto di vista che non aveva mai trovato spazio da quando la tv era nata e che non ne ha trovato neanche negli anni a venire: il punto di vista delle donne. Erano le donne in prima persona che raccontavano la loro storia, i loro problemi, le loro ansie, le lotte, i rapporti con gli uomini, con il lavoro, con la politica, con la società.
Artefice di quella trasmissione fu Tilde Capomazza, che l’aveva ideata, organizzata e realizzata con professionalità, serietà e soprattutto con enorme passione. Aveva voluto intorno a sé un gruppo di giovani donne che avevano creato per quattro edizioni una picccola grande rivoluzione nello stanco palinsesto della RAI, in uno dei pochi momenti storici in cui il servizio pubblico aveva subito un grande cambiamento dovuto alla riforma del 1975. Quattro anni di lavoro intenso con grandi soddisfazioni unite a discussioni, scontri e incontri anche all’interno del gruppo di lavoro e del movimento femminista che guardava con interesse misto a contrasto un programma che parlava di donne con uno sguardo diverso, ma dentro un sistema da combattere. Il programma fu chiuso nel 1981 dopo una puntata sul decennale della legge 194 che, come dicono nel libro “1977. Quando il femminismo entrò in tv”, scontentò tutti i partiti dell’intero arco costituzionale, nessuno escluso. I tempi erano cambiati e Tilde subì all’interno di RAI un terribile ostracismo, quello che oggi chiameremmo mobbing. Lavorò ancora per qualche mese, con programmi di poca importanza, poi venne a lungo dimenticata fino a che non decise di andare in pensione ancora molto giovane. Quel trattamento l’aveva molto amareggiata.
Come racconta nel suo libro “Tivvù passione mia” pubblicato nel 2016 dalla casa editrice Harpo, la televisione era stata la sua più grande passione e fin da ragazza nella sua natia Pozzuoli, sognava di poter entrare un giorno a far parte di quella grande famiglia che pensava fosse la RAI. Quel sogno si era avverato e aveva raggiunto il suo apice con la realizzazione del programma “Si dice donna”.
In un’intervista per il libro “1977. Quando il femminismo entrò in tv” Tilde mi disse: “sono cresciuta umanamente e professionalmente lavorando a ‘Si dice donna’. Ho affrotato problemi mai trattati, difficili e delicati com la sessualità e l’aborto, ma anche l’arte, la scrittura, il pensiero sessuato delle pensatrici e delle scrittrici, e anche se non andavo in video è stato come mettere sempre in gioco la mia identità di genere, la mia testa e il mio corpo. E’ stata un’esperienza bellissima e indimenticabile nella quale ho investito tutte le mie risorse dando molto alla RAI. In seguito per otto anni ho avuto solo qualche raro incarico di lavoro fino alla pensione. Ma non importa. Quello che conta è vivere intensamente.”
E intensamente Tilde ha vissuto – sempre fedele al suo interesse per le questioni delle donne che è testimoniato anche dal libro ‘8 marzo Una storia lunga un secolo” (ed Iacobelli) scritto insieme a Marisa Ombra nel 2009 – continuando a scrivere e a produrre documentari fino a quando ci siamo conosciute nel 2009 ed è iniziato il nostro viaggio comune per la realizzazione del volume sul programma “Si dice donna” che ci ha visto ripercorrere insieme le tappe di quel periodo magico.
Oggi che Tilde non c’è più voglio ricordarla così, con il suo affetto, la sua disponibilità, la sua felicità quasi fanciullesca di quando le ho proposto un libro su “Si dice donna”, di quando abbiamo lavorato fianco a fianco ricostruendo le vicende di quegli anni nel volume, di quando partecipava beata e un po’ attonita alle presentazioni in pubblico con i suoi interventi pieni di aneddoti conditi dalla mai persa cadenza napoletana, di quando sono andata a trovarla a Genova, nella sua casa che guardava il mare, di quando mi ha detto abbracciandomi: “Mi hai ridato la voglia di vivere”. Ciao Tilde