TORINO – “Questo è il mio nome” sarà in scena domenica 12 marzo alle ore 16 al Teatro Cardinal Massaia
«È un miracolo pensare a come le orme di questi giovani, dopo aver attraversato il deserto, il mare e le sponde della Sicilia approdino, oggi, a calcare molti palcoscenici d’Italia»: Monica Morini del Teatro dell’Orsa introduce Questo è il mio nome, lo spettacolo esito di un denso percorso artistico e umano compiuto assieme a un gruppo di richiedenti asilo e rifugiati provenienti da Senegal, Costa d’Avorio, Mali, Nigeria e Gambia. «Il teatro ci chiede storie necessarie: ci spinge non solo a commuoverci, ma a muovere i cuori. Ci incoraggia ad accogliere il cambiamento, a farci buone domande, a camminare i sentieri dell’altro, attraversando i confini».
Lo spettacolo è da molti mesi in tour in tutta Italia. Ha ricevuto, tra l’altro, il Premio del Pubblico al Festival di Resistenza, Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria a Gattatico (RE) e l’attenzione di numerosi media nazionali e internazionali.
«Non abbiamo voluto trattare le ferite come centro drammaturgico» aggiunge Bernardino Bonzani «lasciando che la storia che li ha attraversati si srotolasse partendo dalle memorie che ci rendono uguali come uomini: i giorni felici, l’infanzia che ha tempi intatti, la relazione con i genitori e con i saperi di cui ciascuno è portatore. Questo patrimonio incandescente fa poi i conti con realtà che negano la sopravvivenza, allora la vita porta allo strappo, alla fuga. La forza della parola, la potenza dei corpi in scena e le storie autobiografiche degli attori trasformano il palcoscenico, lo riempiono con l’intento di renderlo un luogo di incontro tra culture e persone. Per riscoprire la legge più antica del mondo: quella dell’ospitalità, difficile da realizzare a causa dei pregiudizi».
Concludono Monica Morini e Bernardino Bonzani: «La forza e l’energia degli attori in scena ci ricordano quale enorme vitalità potenziale possono portare i nuovi cittadini del mondo. Solo attraverso l’incontro e la conoscenza si possono sfrondare pregiudizi e discriminazioni. La causa originaria del loro migrare è tutta nelle responsabilità dei Paesi ricchi, nello sfruttamento, nella povertà e nelle guerre che sono state generate. Lo spettacolo ci dice anche che l’integrazione è possibile, che la convivenza pacifica e la cooperazione per la pace sono l’unica strategia praticabile».