“Tu non hai perso una guerra e nemmeno una battaglia. La tua morte non segna la fine di qualcosa” da … una compagna
Cara Lidia, questa maledetta pandemia ha preso anche te. Ti ha presa dopo una vita vissuta “dalla parte del torto”, in tutti i conflitti di questi anni belli e difficili.
Non ti sarebbe piaciuta la retorica militarista che ha applicato alla pandemia, e a te, la categoria della battaglia, della guerra, combattuta, vinta o persa. Ti sarebbe piaciuta invece la parola “resistenza”.
Alla malattia hai opposto resistenza. A quella contro il nazifascismo avevi partecipato attivamente, fino a quella repubblica dell’Ossola che fu, anche se di breve durata, uno dei momenti più alti, perché in quei 40 giorni furono elaborati quei principi che poi sarebbero stati alla base della Costituzione.
Ti piaceva anche la parola “conflitto”. Il conflitto lo avevi vissuto nelle varie forme in cui si è presentato. Conflitto di classe, conflitto fra i sessi. Conflitti che ritenevi necessario gestire non con la prospettiva di eliminare l’avversario, ma nemmeno di cercare una conciliazione con la retorica della “buona volontà”. I conflitti si affrontano e si superano trovando collettivamente la forza per sconfiggere la sopraffazione, lo sfruttamento.
Tu non hai perso una guerra e nemmeno una battaglia. La tua morte non segna la fine di qualcosa. Quello che rimane non è soltanto un ricordo. Se è vero che ci mancherai, è ancora più vero che vivrai nel ricordo di tante donne, da quelle che ti hanno conosciuto a quelle che ti hanno solo sentita citare.
Il tuo essere femminista non era una definizione formale. Era la parola che indicava una scelta di campo, un posizionamento, che poteva tenere insieme tutte le donne che guardano il mondo e affrontano i conflitti con uno sguardo di genere.
Addio Lidia. Che la terra ti sia lieve
Una compagna