TURCHIA – L’enorme purga voluta da Erdogan è iniziata. Ma nelle foto che mostrano l’umiliazione di soldati e giudici non vi è traccia di figure femminili
di Dacia Maraini (dal Corriere della Sera)
Soldati che si coprono la testa con le braccia mentre un uomo, che sembra uscito dall’Inferno di Dante, li picchia con un lungo bastone, giudici che camminano a testa bassa, mentre la folla urla e sputa, ragazzi seminudi dalle mani legate dietro la schiena che aspettano il colpo, corpi accartocciati per terra che vengono frustati senza pietà. L’enorme purga è cominciata. La vendetta sacra si erge a giustiziera.
Ma la vendetta può chiamarsi giustizia? È questo che vorremmo chiedere al grande comandante Erdogan. Crede davvero che la vendetta purifichi il Paese, rimetta a posto la sua autorità calpestata, e costituisca un atto nobile di esemplare punizione? Non si rende conto che i suoi metodi assomigliano molto a quelli dell’Isis, che fanno spettacolo di una violenza che si dichiara voluta da un dio feroce e sanguinario ? Un dio che non conosce pietà, non conosce comprensione, non conosce pudore e non ha neanche un poco di rispetto per gli esseri che ha creato?
Sta tutto in quel sottile confine la differenza fra storia antica e storia moderna: nell’avere imparato a separare la giustizia dalla vendetta. La vendetta è gratificante, lo sappiamo, la vendetta è dolce, la vendetta fa bene al cuore e al sangue che scorre più rapido nelle vene. Tutti siamo affascinati dalla vendetta: il modo più rapido di rivalersi sull’altro, il modo più bruciante per ricostruire il nostro «onore» offeso.
La Bibbia e il Corano offrono la stessa arma a chi si considera tradito e oltraggiato. Ma per l’appunto, sia il Corano che la Bibbia ci raccontano, come in una bellissima epopea, i sentimenti più nobili del momento. Sentimenti che oggi risultano intollerabili, come ci risulta intollerabile la crocifissione, l’impalamento, il rogo, la lapidazione.
Non so se possiamo chiamarlo, con presunzione, progresso, ma certo evoluzione sì: le tante troppe guerre fatte in nome di vendette nazionali, l’avere riconosciuto l’insensatezza del razzismo ideologico e religioso, il rifiuto e la condanna della schiavitù, l’avere separato lo Stato dalla Chiesa, l’avere stabilito i diritti dell’uomo, ci hanno portati a un punto in cui la giustizia si è dovuta separare dalla vendetta, e prendere una strada più vicina alla legge, al codice, all’umana presunzione che un colpevole possa avere le sue ragioni, abbia il diritto di difendersi e chiedere giudici imparziali che non sono lì per vendicarsi ma per applicare la legge.
E invece sento parlare del ripristino della pena di morte. È questo il suo pensiero, comandante Erdogan? Il suo segreto, sensualissimo desiderio di vendetta? Una cosa che colpisce guardando le fotografie che mettono in evidenza l’umiliazione dei soldati e dei giudici è l’assenza totale di figure femminili. Immagino che la vendetta sia, per il comandante Erdogan, una questione squisitamente maschile, che riguarda chi combatte, chi protesta, chi congiura e chi tradisce. Ma dove sono le donne turche in tutto questo?
Io sono stata di recente in Turchia: Ankara e Istanbul sono città moderne, dove le donne studiano, si laureano, lavorano, guidano la macchina, prendono la parola. Possibile che siano state messe tutte a tacere? Non ne ho vista una nella folla che inveiva contro i soldati fedifraghi presi a bastonate, quei giovani figli e fratelli che probabilmente ubbidivano a degli ordini, oppure avevano in mente un progetto di libertà dalla tirannia.
C’è qualcosa di stantio e ferocemente arcaico in queste punizioni plateali che debbono servire da esempio. Per quanto si condanni il «diabolico mondo moderno» con la sua libertà di critica, la sua libertà sessuale, la sua libertà di religione, quando si tratta di diffondere la propria parola e raccogliere consensi, non ci si fa scrupolo di usare ciò che prima si è disapprovato. Il massimo della spregiudicatezza tecnologica si sposa con il massimo dell’arcaismo storico. Sono proprio le contraddizioni che l’Isis ci propone tutti i giorni quasi fosse una grande conquista.
Per chi crede nei diritti dell’essere umano sono forme di schizofrenia storica. Una malattia della fede e della memoria, una peste della ragione. Ma allora, che fare? Mi sembra chiaro che il solo modo di combatterla questa peste consista nel difendere e proteggere e tutelare quelle conquiste che tanto sono costate. Smettere le risse e unirsi contro chi si è innamorato della morte e vuole uccidere la vita.