Un libro e due vite: Milena e Margarete, comuniste nel lager
Milena Jensenskà fu una donna dalla personalità affascinante, che ignorò le convenzioni borghesi pur provenendo da una famiglia benestante e molto tradizionale. Studiò nel ginnasio «Minerva», tra i primi e migliori di quelli femminili aperti nell’Europa dopo la Grande Guerra.
«…è un fuoco vivo, come ancora non ne ho visti mai…Ma anche tenerissima, coraggiosa, intelligente, e tutto getta nel sacrificio o, se si vuole, tutto ha conquistato col sacrificio…» scrisse Franz Kafka, con cui ebbe una relazione intessuta di reciproco rispetto e amore.»
Passata «a prezzo di una dura lotta interiore da un estremo individualismo alla responsabilità sociale e politica», confidò a Margarete Buber-Neuman (1901-1989) di essere lei il viaggiatore di commercio Gregor Samsa mutato in insetto mostruoso, tenuto nascosto dalla famiglia e lasciato morire d’infezione nella celeberrima metamorfosi kaftiana e di ritenere lo scrittore «l’uomo più buono che ho conosciuto (…) con qualità eccellenti», come già asserito in La strada verso la semplicità (1926).
Il luogo improbabile dove Milena, giornalista e scrittrice, militante comunista, parlava a Margarete di politica, letteratura e sentimenti, era il lager femminile di Ravensbrück, a nord di Berlino; il lager modello di Himmel per le oppositrici politiche e le donne da eliminare dalla società per motivi di fede e di appartenenze.
Milena aveva difeso la libertà di pensiero, condannato il nazismo e dopo l’invasione della Cecoslovacchia era entrata nella resistenza, aveva aiutato altr* a fuggire, a nascondersi e redatto una rivista clandestina.
Giornalista e scrittrice, non uscì da quel lager in cui si compivano ogni sorta di violenze e dove l’essenza stessa del femminile veniva devastata; un luogo di non-vita, lavoro forzato, sevizie, sperimentazione chirurgica su adulte e bambin*. Non scrisse L’èra dei campi di concentramento come avrebbe inteso fare, lasciandone il testamento spirituale a Margarete che aveva avvicinato passandole di nascosto un bigliettino: era vero che i sovietici avevano consegnato a Hitler dei militanti antifascisti emigrati in Urss e dei deportati tedeschi nei gulag? Era vero. Margarete era una di loro.
Berlinese colta, giornalista e scrittrice, aveva pagato l’abbraccio al comunismo con il divorzio da Rafael Buber (che dal comunismo si era allontanato), e la perdita di potestà su due figlie, affidate dal tribunale ai suoceri, di fede ebraica, che con loro si salvarono dalle persecuzioni razziali.
Milena e il suo secondo marito, Heinz Neumann (del Politbüro del Kpd e parlamentare del Reichstag), era a sua volta emigrata per poi stabilirsi Mosca dove, per perse di posizioni in quel clima rovente, lui era stato arrestato e ucciso (1938) e lei condannata a dieci anni nel gulag di Karaganda (Kazakistan), come elemento socialmente pericoloso. Riconsegnata alla Gestapo, era stata internata a Ravensbrük; un numero tra quelle decine di migliaia d’internate nel campo di concentramento e di sterminio, dove, sul finire della guerra, avvennero stragi sistematiche nel tentativo di cancellare “le prove”, la documentazione gettata nel vicino lago Schwedt (lago di Fürstenberg/Havel).
In quell’atrocità, Margarete cercò nel possibile di alleviare le sofferenze di Milena, «essendo io fisicamente la più forte, era ovvio che mi prendessi cura di lei. A dirlo sembra semplicissimo. Ma in realtà bisognava costantemente infrangere i draconiani regolamenti del campo correndo tutte le volte il rischio che la cosa finisse malissimo. Eravamo tutte tormentate dalla fame […] mentre io solevo portare la refurtiva presa in cucina nella baracca con estrema cautela e sottili accorgimenti, Milena si comportava con grandissima audacia … »
Liberate dall’Armata Rossa (21 aprile 1945), ma non senza altre violenze, come narrano alcune opere in precedenza commentate – Ravensbrück, il lager delle donne con DVD-Le Rose di Ravensbrück, di Ambra Laurenzi, prodotti dall’Aned e dalla Fondazione Memoria della Deportazione; Il cielo sopra l’inferno, di Sara Helmm (Newton Compton) – le sopravvissute fondarono quello che oggi è il Comitato internazionale di Ravensbrück.
Margarete continuò a testimoniare e denunciare, si mantenne una voce libera, critica e scomoda.
Testimoniò anche, nel 1949, con altri ex-prigionieri del gulag, a favore di Viktor Andrijovyč Kravčenko nel processo contro Les Lettres Françaises che lo aveva calunniato per le rivelazioni sul regime sovietico.
Scrisse Prigioniera di Stalin e Hitler (Il Mulino, 1948), e Da Potsdam a Mosca. Tappe di una strada sbagliata (Il Mulino, 2000) e già nel 1977 uscì l’opera promessa: Milena, l’amica di Kafka (Adelphi, 1999).
Di questa amicizia, mai dimenticata, Margarete Buber Neumann dà testimonianza quarant’ anni dopo in un libro pubblicato dalla casa editrice Fischer: Milena. Un libro che intreccia autobiografia e biografia e cui gli anni non tolgono attualità; un aiuto a comprendere meglio, attraverso una prosa colta ed empatica, la complessità di un periodo epocale e celebrandosi, il 27 gennaio, la Giornata della memoria.