Un regista queer? A proposito di Partita a quattro di Lubitsch
Il cinema Alcazar di Roma propone il giovedì alcune ‘perle’ della storia del cinema. La settimana scorsa ha offerto a un pubblico estasiato di ultra-cinquantenni, in maggioranza donne, uno dei grandi capolavori della commedia brillante: il film di Ernst Lubitsch del 1933 Design for Living (in italiano, {{ {Partita a quattro,} }} che produce uno slittamento di significato, e nasconde le allusioni dell’inglese).
_ Sceneggiato da Ben Hecht, la versione filmica è tratta da una commedia di Noel Coward. I protagonisti hanno tutto il glamour che si possa desiderare. Sono belli, giovani, eleganti e intelligenti.
_ Da un lato, Gary Cooper e Frederic March – rispettivamente un pittore e un commediografo alle prime armi e poveri in canna; dall’altro, una Miriam Hopkins in veste di graziosissima disegnatrice pubblicitaria; scanzonata, disinibita e affettuosa che più di così non si potrebbe.
_ I tre si conoscono in uno scompartimento del treno che arriva a Parigi; i due uomini dormono con i piedi sul sedile dove la Hopkins cerca di sistemarsi con il suo blocco da disegno per ritrarre l’espressione dei dormienti.
Per stare più comoda incunea le proprie gambe tra quelle dei suoi dirimpettai… e il gioco è fatto. In questo semplice gesto è racchiuso il famoso {tocco di Lubitsch}.
_ Da quel momento in poi, i tre non smetteranno di toccarsi, abbracciarsi, amarsi, lasciarsi e tornare a cercarsi, divertendosi a inseguirsi tra le due capitali. Passano da una miserabile soffitta a un grande albergo e a un appartamento lussuoso e di nuovo alla soffitta, mantenendo immutabile l’intensità dei propri sentimenti, che non viene mai meno. Il dato fondamentale del film è infatti l’importanza di mantenere la relazione senza mai sbilanciarla troppo in un verso o nell’altro.
Tuttavia, il legame non è a tre, bensì a quattro. Fin dall’inizio entra a far parte del gruppo un quarto personaggio, forse il vero protagonista del film: il capo/marito/amico dei tre (un bravissimo Edward E. Horton), il quale è goffo, brutto, ricco e avido; ma a suo modo anche amabile e attraente.
_ La sua filosofia del denaro è indispensabile a mantenere la relazione con e tra gli altri; e questi gli sono indispensabili per accumulare ancor più denaro.
I tre uomini amano sì la donna, ma si amano anche tra di loro.
_ Non riescono mai a rimanere a lungo separati l’uno dagli altri e dall’altra. Si rincorrono per tutto il film, ricomponendosi in coppie diverse a seconda dei momenti, ma ogni volta si rendono conto che nessuno di loro può fare a meno degli altri/e tre. E’ la tensione tra i sessi differenti e uguali, che di volta in volta crea competizione, seduzione, resa o vittoria.
A tessere un’invisibile rete che si fa e si disfa ad ogni scena c’è una grande Hopkins, che prima costruisce la fortuna dei bei corteggiatori, e nel finale pensa anche al futuro del marito; mentre lo sta lasciando per andar via con gli altri due, lo rassicura dicendogli che in fondo gli sarà più utile da divorziata.
Come in una partita dove i pezzi si muovono a grande velocità, ciascuno dei quattro corre nella vita come su una scacchiera lunga quanto la Manica, e prima o poi finisce per occupare il posto dell’altro. Non ci sono veri vincitori nel film; si perde e si vince a turno.
_ L’importante è giocare senza smettere mai; circolare dall’uno all’altra, dall’altro all’una.
{
(con la collaborazione di Pia Cillario)}
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