UNA FEMMINISTA EGIZIANA: NAWAL al SA’DAWI
Nawal el Sa’dawi nasce il 27 ottobre 1931 in Egitto, nel villaggio di Kafr Tahala; figlia di un funzionario governativo del ministero dell’Educazione. Il padre era un oppositore di re Fārūq ibn Fu’ād e aveva combattuto contro l’occupazione inglese e il governo coloniale; un uomo mite che insegnava ai figli la preghiera e la storia dei profeti, incoraggiandoli ad amare la letteratura. La madre era una donna fiera che avrebbe voluto studiare musica ma le fu impedito quando, ancora bambina, suo padre le impedì di istruirsi perché “il suo destino” era farsi sposa.
Nawal sin da piccola manifestò un carattere ribelle che la condusse a posizioni critiche su tutto ciò che intuiva come ingiusto; educata al rispetto della libertà di espressione iniziò presto a scrivere le sue riflessioni sul mondo circostante che spesso le risultava ostile e incomprensibile.
«Sentivo dire […] che molto prima che io nascessi le neonate venivano sepolte vive. Fossi nata a quell’epoca sarei stata una di quelle neonate. Questo mi dicevano quando avevo quattro anni. Ma i miei erano tempi migliori. Quando veniva alla luce una bambina non le si faceva niente. Semplicemente la vita si fermava, semplicemente la gente era triste.» (Nawal al Sa’dawi, Una figlia di Iside)
Ancora bambina dovette subire la mutilazione dei genitali da parte della daya, la donna del rasoio. In Firdaus, Nawal descrive, attraverso le parole della protagonista, quella mutilazione con lucida chiarezza : «Mi tagliarono via qualcosa tra le cosce».Appena potè prese posizione contro questa pratica lesiva del corpo, facendone una battaglia che attraversò tutta la sua vita.
Completò i suoi studi, laureandosi in psichiatria e lavorò come medico nel suo villaggio di Kafr tahla, dove poté constatare i soprusi cui erano sottoposte, le donne sin da bambine, le discriminazioni e la condizione di sottomissione che le caratterizzavano.
La forza delle sue parole si manifesta sin dalla scuola elementare (quella inglese che frequentò): già le è chiaro che l’obiettivo della sua vita sarà frequentare l’università e divenire scrittrice.
Le tradizioni incombevano però sul suo destino, quello che la famiglia stava tessendo: trovarle uno sposo. Nawal si ribella fieramente a questo tentativo: «quando mi ribellavo nei loro occhi si manifestava l’odio. Negli occhi di tutti ma non in quelli di mia madre: i suoi, mentre mi osservava combattere le mie battaglie, luccicavano di orgoglio e felicità. Di tanto in tanto mi lanciava un’occhiata di complicità e mi sussurrava all’orecchio parole d’incoraggiamento»
È grazie all’appoggio della madre che inizia i suoi studi a Il Cairo e poi ad Helwan dove frequenta la scuola superiore. Fonda “Il Teatro della Libertà” ed è. impegnata nelle prime lotte politiche, che accompagnano la sua attività di scrittrice, anche mentre frequenta l’università di Medicina a Giza.
Nel 1955 Nawal si laurea in medicina col massimo dei voti per poi specializzarsi in psichiatria: il suo obiettivo è aiutare concretamente le donne, attraverso una terapia che le renda consapevoli della loro dignità. Contemporaneamente la scrittura diviene il mezzo per affrontare e denunciare argomenti considerati tabù dalla società arabo-islamica: il rapporto fra sessualità femminile e religione, aborto, prostituzione, abusi all’infanzia, le mutilazioni fisiche sociali psicologiche che le donne erano costrette a subire.
I due divorzi da uomini che non accettavano la sua carriera di medico e di scrittrice (in quanto attività imbarazzanti per le proprie carriere) finirono per renderla “una indesiderata”. Quando il secondo marito rifiuta ripetutamente il divorzio, una notte Nawal usa la parola per colpire dicendogli «sono io che ti ripudio».
Fortemente osteggiata dalle autorità egiziane per queste sue posizioni “scandalose”, fu individuata come una ribelle e per questo ripetutamente minacciata di morte: aveva osato, novella Antigone, tradire i valori tradizionali e si era spesa per dire alle donne che ci si poteva ribellare contro la legge e la religione.
Nel 1981 conobbe anche la galera: fu rinchiusa per crimini contro lo Stato. Scarcerata fondò The Arab Womenn’s Solidarity Assocation. Ne scaturirono nuove minacce da parte di gruppi fondamentalisti islamici e la condanna a morte per eresia. Costretta a lasciare il suo Paese, si rifugiò negli Usa. In North Carolina, insieme al terzo marito Sherif Hetata, medico e scrittore che tradurrà in inglese i suoi scritti, assumerà la docenza presso la Duke University’s Asian and African Languages Department.
Le sue opere, ancora oggi sono soggette a censura in Egitto.
Eppure le battaglie di tutta un’esistenza non sono state fatte invano. Il suo impegno di militante femminista, che trasuda dai suoi scritti, è stato capace di influenzare tante donne che hanno trovato la forza per battersi per il loro riscatto. E qualcosa anche in Egitto hanno conquistato: dal 7 giugno 2008 le donne egiziane hanno conquistato il diritto di registrare i figli nati fuori dal matrimonio con il proprio cognome; l’età minima per il matrimonio è stata alzata a diciotto anni; la circoncisione femminile, la clitoridectomia e l’infibulazione sono reati perseguibili e punibili (anche se per ora più in teoria che in pratica purtroppo) con il carcere o una pena pecuniaria.
Nel 2012, in occasione della Giornata Internazionale delle Donne ha affermato, leggendo le trasformazioni in atto in Egitto: «Le donne in Egitto sono sempre più escluse dai poteri controrivoluzionari, dai posti importanti, dalle attività politiche e dai Consigli superiori, formati dopo la rivoluzione. Le cosiddette elezioni democratiche in Egitto dopo la rivoluzione hanno portato in parlamento il 2% di parlamentari donne e una buona maggioranza dei Fratelli Musulmani e di gruppi salafiti che sono più arretrati di altri gruppi fanatici religiosi. Ma la lotta in Egitto continua. Dobbiamo unire le forze a livello mondiale e locale per combattere. Non dobbiamo separarci in una lotta di livello globale, locale e “glocale”.Viviamo in un mondo (non in tre mondi) dominato dallo stesso sistema oppressivo; il sistema capitalista, imperialista, religioso, razzista, militare e patriarcale. Prima o poi ci libereremo. Non perderemo mai la speranza perché la speranza è potere».