UNA GRANDE MAGISTRATA – Simonetta Sodgiu aveva 8o anni e se ne è andata lasciando un grande vuoto
Simonetta Sotgiu ci ha lasciat*. Magistrata e giudice di cassazione era sempre stata in prima linea nella difesa dei diritti delle donne. Magistrata dal 1970, dapprima Pretora a Sassari poi, per ventinove anni, Consigliera di Cassazione. Co–fondatrice dell’Associazione Donne Magistrato . Già Vicepresidente per due mandati della Commissione Nazionale di Parità presso la Presidenza del Consiglio. Presidente dell’Associazione Alma Cappiello.
Presidente Onoraria dell’Associazione Coordinamento3 – Donne di Sardegna. La sua battaglia contro la discriminazione femminile è sempre andata di pari passo con la sua attività in magistratura. Laureata in Giurisprudenza, si battè per far aprire la carriera di magistrato anche alle donne, cosa che avvenne solo a partire dal 1970.
Alla Suprema corte ha affrontato numerosi casi inerenti le donne, come la cosidetta “sentenza dei blue jeans”, che rimandava alla presunta impossibilità di violentare una donna che indossasse un paio di pantaloni.
Oltre a questo, si è battuta per inasprire le pene per i casi di violenza, è stata co-fondatrice dell’Associazione Donne Magistrato, presidente onoraria dell’associazione Coordinamento3-Donne di Sardegna, e vicepresidente della Commissione nazionale di Parità di Palazzo Chigi.
Noi tutte della redazione del Paese delle Donne ti ricordiamo con tanto affetto e lo facciamo ricordando le tue parole attraverso una intervista che hai rilasciato a Carla Puligheddu per Cordinamento 3
Carla. Simonetta, raccontaci brevemente le tappe più significative della tua storia di emancipazione femminile.
Simonetta. Avendo riportato ottimi voti alla licenza liceale, cercai di iscrivermi alla Normale di Pisa , allora leader negli studi filosofici che prediligevo, ma fui respinta col pretesto che nel Convitto annesso non era prevista una sezione femminile. Mi spostai a Firenze dove insegnava un filosofo come Eugenio Garin, il quale mi diede svariati incarichi di ricerca e studio (che in parte utilizzò personalmente ). Ma quando, dopo due anni e molti esami affrontati con successo, gli chiesi di garantirmi un assistentato, Garin mi rispose che lui prediligeva i ragazzi, perché le donne si sposavano e abbandonavano gli studi per la famiglia. Cominciai allora a capire la discriminazione, che si perpetuò quando, laureata in soli tre anni in giurisprudenza, mi vidi preclusa la carriera in magistratura, vietata alle donne perché, si diceva, col ciclo non possono giudicare. Dopo l’intervento della Corte Costituzionale che eliminò il divieto, avevo intrapreso intanto la carriera forense, superai subito il concorso , nonostante due figlie molto piccole e impegnative, ma dovetti affrontare ancora altre discriminazioni. I Superiori (Presidenti di Tribunale e Corte d’Appello) , infatti, mi vessavano, mandandomi a gestire uffici lontani dalla città dove abitavo e giungendo a negarmi permessi per la terza maternità incombente. Arrivai infine all’Ufficio Studio della Corte di Cassazione dove c’erano allora pochissime donne (5 o 6) dove trovai menti più aperte che, viste le mie Relazioni, mi trasferirono presto alle Sezioni Giudicanti. E lì affrontai a muso duro la sentenza dei “jeans” (una ragazzina stuprata di cui si negava la violenza subita che non sarebbe stata perpetrabile proprio a causa dei jeans). I magistrati più conservatori volevano deferirmi al Disciplinare, ma la Procura Generale della Corte lo impedì. Si cominciava a capire che la mentalità maschilista imperante contrastava con i diritti sanciti dalla Costituzione. Ho trascorso 29 anni alla Corte(in tutto 42 anni di servizio) ma non ho mai avuto accesso alle funzioni direttive, se non di fatto, perché avevo perso i 7 anni intercorsi fra la laurea e il concorso e i magistrati più giovani mi avevano oltrepassato nell’anzianità di ruolo. Non importa , ho combattuto le mie battaglie in difesa , prima di tutto, dei diritti delle donne , che oggi in Corte sono tantissime, tanto che la prossima Prima Presidente sarà verosimilmente una donna.
Carla. Giudice di Cassazione, madre di quattro figli, femminista. Una vita intensa. Hai rinunciato con rammarico a qualcosa?
Simonetta. Si devo ammetterlo, ho perduto un po’ di vista i figli, soprattutto nei primi anni di lavoro, molto faticosi soprattutto per gli spostamenti a cui mi si costringeva. Sono spesso rimasta sola a gestire situazioni diverse di quattro figli molto diversi fra loro.
Carla. Nel ricoprire ruoli apicali e nel gestire una forma di potere quale quello del giudizio in Cassazione, ti sei sentita equidistante dai generi o hai dato risalto alla tua sensibilità femminile nel tutelare situazioni che i tuoi omologhi avrebbero liquidato con generiche discriminazioni e abusi.
Simonetta. Sono sempre stata fedele ai miei principi. Dai primi osceni processi di primo grado relativi a violenze sessuali, in cui facevo parte del Collegio, ho sempre difeso le vittime che venivano di solito ulteriormente umiliate sia dai difensori dei criminali che dai giudici . Mi dissero che le mie urla di dissenso in Camera di Consiglio si udivano per tutto il piano del Palazzo di Giustizia. In Cassazione poi, a parte seguire e criticare le sentenze ottuse sullo stesso tema, intervenni con due colleghe sulle somme da attribuire alla moglie separata o divorziata, che magistrati altrettanto ottusi volevano contenere nel compenso di una colf. Riuscimmo a equilibrare la situazione fino ad oggi.
Carla. In tema di giustizia, quale provvedimento oggi adotteresti per risolvere il fenomeno della violenza alle donne?
Simonetta. Sappiamo che è complesso, derivando da una mentalità millenaria alimentata da religioni e tradizioni oscure. In pratica tuttavia , oltre ad informare soprattutto i giovani, sui diritti civili uguali per tutti, potenzierei la rete di protezione delle donne attraverso un miglior finanziamento dei Centri Antiviolenza e , soprattutto, applicherei come misura di prevenzione ante processo, il braccialetto elettronico agli stalkers, i quali spesso finiscono per uccidere, mentre la giustizia lentamente, troppo lentamente, acquisisce le carte.
Carla. A livello governativo le specifiche istanze femminili vengono ancora relegate indistintamente nell’area grigia delle categorie svantaggiate. Da dove cominciare per abbattere il muro di scetticismo nei confronti delle discriminazioni di genere?
Simonetta. Dai Media che continuano a celebrare la happy family, dove la donna cucina e stira; dalle studentesse, informandole che troveranno ostacoli se non si faranno valere unendo anche le loro forze; dalle Forze dell’Ordine (Carabinieri soprattutto) che continuano spesso a sottovalutare le denunce di stalking; dalla Magistratura che dovrebbe avere Collegi specializzati e giudizi rapidi per i casi di violenza , specie se domestica.
Carla. Tu che hai una visione molto chiara delle criticità della nostra società , sul tema della denatalità, cosa consiglieresti a chi ci governa ?
Simonetta. Con la crisi, è sempre più difficile crescere i figli. Il problema allora è il lavoro che non c’è, perché non si può più sostenete , con San Paolo, che la donna è solo “ vite feconda” nell’intimità della casa. Una affermazione relativa a tempi ormai inesistenti e che rendeva la donna economicamente succube del marito. Emancipazione e specializzazione devono essere gli obiettivi delle giovani donne, che dovrebbero essere messe nella condizione di provvedere a se stesse e anche ai figli, se mai l’ unione col partner si rompesse. Finora è stata proprio la dipendenza economica a costringere le donne a portare avanti convivenze indesiderabili o ad accettare umiliazioni e violenze dei partners. La reazione alle richiesta di indipendenza delle donne che lavorano è una delle cause dei molti femminicidi da parte di uomini che non si rassegnano alla perdita della loro supremazia.
Carla. Da Pechino a Roma, hai conosciuto donne molto speciali. Chi, fra tante, ti ha maggiormente colpita?
Simonetta. Tina Anselmi che come me, interpretava il femminismo come affermazione di diritti negati, e cercava in tutti i modi di tutelare maternità e lavoro delle donne. Tina Langostena Bassi, avvocata di parte civile nel processo per la strage del Circeo , che riuscì a far punire la violenza di gruppo e a cambiare dopo circa 50 anni, la legge sulla violenza sessuale, definita un reato contro la morale, e non un reato contro la persona, quale è. Anche in questo caso, battaglia in Cassazione per cambiare il titolo di questo reato, che veniva relegato fra i “processetti” per bestemmie , ingiurie o violazione delle leggi sui rifiuti e le discariche. E infine Alma Cappiello già deputata e senatrice socialista, femminista e garantista, con me nella delegazione italiana a Pechino, che presentò dieci disegni di legge in Parlamento sulla famiglia e la condizione femminile, uno dei quali , sulle unioni civili, utilizzato quasi interamente dal PD. Alma si battè fino all’ultimo (morì 56enne) per sistemi elettorali che permettessero una maggior presenza femminile nei luoghi decisionali.
Carla. Secondo te, l’unità delle donne è una bella utopia o ci sono speranze perché si realizzi?
Simonetta. Forse è la cosa più difficile, anche perché molte donne non intendono contrastare la c.d. superiorità di mariti, compagni ecc. A volte si vergognano di essere definite femministe (la stessa Rettora di Cagliari ha rifiutato il sessismo linguistico) e sono state imbottite per centinaia di anni, soprattutto dalle loro madri ( in Africa e dove vigono le usanze africane, sono le madri a costringerle alle mutilazioni genitali, per esempio) di presunzioni circa la loro inferiorità rispetto all’uomo e al loro ruolo di servizio a favore dell’uomo stesso. Poiché gestiscono i figli fino alla maturità, è evidente l’ influenza negativa di tali idee sulle giovani generazioni.
Carla. Quali priorità indicheresti loro, nell’ottica della trasversalità e del rispetto reciproco?
Simonetta. La condivisione nella gestione della famiglia regolare o di fatto, ma molti uomini, spesso influenzati da madri retrograde, non l’accettano e preferiscono il bar alla cura dei figli.
Carla. Doppia Preferenza di Genere: dobbiamo sentirci al traguardo o ai blocchi di partenza?
Simonetta. E’ il miglior metodo finora utilizzato per determinare o aumentare la presenza delle donne nei luoghi dove di si decide delle sorti dei cittadini, la metà donne. Forse un giorno non avremo più necessità di questa misura, ma per ora resta fondamentale.
Carla. Dunque, un traguardo che ci impone di continuare a correre, ogni volta dai blocchi. Grazie di cuore Simonetta