UNA INIZIATIVA PER I 70 ANNI DAL PRIMO VOTO DELLE DONNE IN ITALIA
In aprile chi è nell’indirizzario del Paese delle Donne edizione cartacea riceverà un nuovo numero del giornale con una parte delle interviste alle donne che hanno votato nel 1946. Ne seguiranno altri due, uno a fine maggio e l’altro a fine settembre. Il materiale sarà poi edito in un opuscolo di Caravan edizioni indirizzato alle scuole per i 70 anni del voto alle donne. Il giornale sarà anche venduto nelle tre tappe della mostra itinerante “1946: il voto delle donne” organizzata dalla nostra associazione, in collaborazione con gli Enti patrocinanti, che ad oggi conta tre tappe: Casa internazionale delle donne (31 maggio-4 giugno); Castello Manservisi di Castelluccio di Porretta Terme (29 luglio-16 agosto); Università di Cassino e Lazio Meridionale (ottobre).
Il progetto “1946: il voto delle donne” oltre ai tre numeri cartacei del Foglio de il Paese delle donne con anticipazioni su “paese delle donne – on line – rivista” e alla mostra itinerante, prevede incontri, tavole rotonde, musica, proiezioni, performance, esposizione di opere d’artiste.
E’ questo un percorso iniziato da Maria Paola Fiorensoli e Gabriella Anselmi che così lo raccontano:
Nell’arco di alcuni mesi, il tam tam avviato dal PAESE DELLE DONNE e dalla FILDIS, coinvolge sempre più associazioni e gruppi e famiglie e una miriade di figlie e nipoti, nei luoghi più imprevedibili, ha moltiplicato la curiosità sul progetto 1946: il voto delle donne e la collaborazione di persone anche sconosciute che riportavano telefonicamente o sul nostro questionario le testimonianze di madri, zie o lontane parenti o di donne nella loro cerchia o sull’ex posto di lavoro.
Non è facile intervistare, imparare, commuoversi e insieme rassicurare nell’ascoltare il flusso di ricordi lontani e preziosi che scorrevano impetuosamente sotto i ponti di memorie gettati fra le generazioni. Voci che nella cadenza regionale, nella descrizioni di luoghi e oggetti e persino piante e animali all’epoca consueti nella domesticità anche urbana – l’asino che tirava la carretta del carbonaio, l’uomo che portava il ghiaccio in spalla avvolto in pezze di cuoio per la ghiacciaia (antesignana del frigorifero), i fili del bucato appesi fumanti nel cortile – non solo si descrivevano nelle strategie di sopravvivenza di un Italia fino a metà Novecento essenzialmente agraria, ma nelle strategie politiche, nelle astuzie e nelle sfide e nei terrori di vite travolte direttamente o indirettamente da due Guerre quali sono quelle delle nostre testimoni, tutte nate prima del 1924. Storie di guerra e storie d’amore.
Chi ha sposato il soldato paracadutato oltre le linee nemiche, caduto nella stalla; chi si è tinta con le bacche rosse uno scialle ed è andata a raccogliere legna davanti ai nazisti; chi si è cucita sotto le suole un panno a forma d’edera per lasciare impronte “repubblicane” sull’erba. Storie infinite accompagnate da fotografie ingiallite e in Ipg, con visi giovanissimi o famiglie plurigenerazionali sorridenti in occasione di festività e compleanni.
La ricerca ha evidenziato e talvolta suggerito il bisogno di allacciare, riallacciare o vivificare legami affettivi. Di cogliere per noi e per se stesse/i ricordi scaturiti dall’attenzione al proprio vissuto. Il riconoscimento per esserci state ed aver partecipato. La presa di coscienza di essere ancora un soggetto attivo della società.
Forse quando si parla di relazioni umane, come l’esperienza vissuta in questa vicenda, sarebbe opportuno parlare di nastri di Möbius: superfici a due facce in cui il passaggio dall’una all’altra, dal dentro al fuori, avviene con continuità, senza fratture.
Tenere a mente l’immagine ci può aiutare a stabilire relazioni interpersonali fluide, positive e costruttive sia dentro di noi che all’esterno fra passato e presente.
Raccogliere le testimonianze di donne anziane che sono biblioteche viventi procura serenità, quasi una forma di riconciliazione profondamente affettiva con la figura materna: uno dei pilastri per la costruzione del proprio sé profondo.
Ci piace citare ciò che ha detto lo scrittore e poeta malese Amadu Hampaté Ba: “Quando, in Africa, muore un anziano, è una biblioteca che brucia”.
La conoscenza maturata attraverso le interviste ci ha confermato nel nostro percorso, singolo e associativo, d’attenzione alle tematiche del femminile, al conseguimento di una parità sostanziale, alla diffusione del linguaggio di genere come superamento degli stereotipi e dei luoghi comuni.
Abbiamo voluto conservare, far circolare e condividere quei vissuti, sconosciuti ai più, colmi di saperi oltre che di ricordi.
Come rottamare, verbo violento e volgare quando lo si rivolge alle persone, un tale patrimonio transgenerazionale senza perdere una parte di sè?
È lo stupore il primo sentimento che ci trasmette la voce per telefono o lo sguardo dell’interlocutrice in incontri che iniziano per essere brevi e non finiscono neppure dopo che ci si lascia.
Il potere della realtà che ti consegnano è tale che sia nei silenzi che nell’irruenza nel parlare, coinvolge e seduce. Sono voci e corpi di chi molta della storia che, nel maggior rispetto possibile, qui si racconta, l’ha vissuta tutta. É impressionante come la spontanea consegna dell’analisi degli eventi narrati sia l’elemento più trasformativo per chi ascolta. S’affinano i saperi, s’apprend la schiettezza con cui una generazione che sa cosa sia una guerra chiama l’oggi, senza metafore, “la terza”.
La parola affascina, impegna razionalmente ed emotivamente relator* ed ascoltator*, crea legami, permette la condivisione, stabilisce il dialogo e le sue regole.
Ma la parola può essere anche curativa e lenitiva dei nostri malesseri più o meno profondi che potrebbero avere radici lontane nel tempo. Forse, in questa esperienza, per noi lo è stata.
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