Una intervista a Pia Locatelli sulla sua partecipazione alla marcia per i diritti che da Ankare è arrivata a Istambul il domenica 9 luglio
Pia Locatelli, capogruppo del PSI e presidente del comitato Diritti umani della Camera, è tornata da Istanbul dove ha partecipato all’ultima tappa della marcia di 450 chilometri che domenica è arrivata nel distretto Malpete dove si trova la prigione nella quale è detenuto uno dei deputati del CHP Partito Repubblicano del Popolo, Enis Berberoglu, condannato a metà giugno a 25 anni di prigione per aver diffuso un video sui servizi.
La marcia, partita il 15 giugno da Ankara per iniziativa del leader del CHP, Kemal Kilicdaroglu, ha visto la partecipazione centinaia di migliaia di persone che con il passare dei giorni si sono unite alla manifestazione. “Che nessuno pensi che questa sarà l’ultima marcia: il 9 luglio segna il giorno della rinascita”, ha detto Kilicdaroglu a conclusione della manifestazione davanti al carcere di Malpete. “Abbiamo marciato – ha aggiunto – per la giustizia, per i diritti degli oppressi, per i deputati e per i giornalisti in carcere, per i professori universitari licenziati, abbiamo marciato per denunciare che il potere giudiziario e sotto il monopolio dell’esecutivo, abbiamo marciato perché ci opponiamo al regime di un solo uomo. Romperemo i muri della paura”.
Intervista di Cecilia Sanmarco
I giornali italiani, che hanno dedicato pochissimo spazio alla marcia, parlano di manifestazione contro Erdogan. Secondo te il presidente turco ne esce indebolito?
Gli inviati dei media italiani a Istanbul erano pochissimi e quindi tanti hanno commentato l’evento da lontano. È chiaro che dalle redazioni era impossibile capire il coinvolgimento della manifestazione: bisognava esserci. Non era affatto una marcia “contro” ma una marcia “per”, così come non era la marcia di un partito dell’opposizione ma una marcia di tutti e aperta a tutti, anche a chi non ne condivideva lo spirito. Erdogan, dopo i risultati del referendum, vinto grazie ai brogli, sta perdendo progressivamente il consenso popolare che lo ha sostenuto negli ultimi anni, questa manifestazione è stato un forte segnale da parte di una fetta della popolazione che non vuole rinunciare alla giustizia, ai diritti e alla democrazia. Io sono convinta, e credo di aver ragione, che si sia trattato di un importante passo verso il cambiamento.
Chi erano le persone che partecipavano alla marcia e quale era il clima?
C’era veramente gente di tutti i tipi, dai militanti del Partito Repubblicano del Popolo, alle persone comuni che si sono aggregate alla marcia spontaneamente. Tanti giovani, ma anche anziani, donne con bambini. Non c’era nessuna tensione o paura, ma un clima gioioso, come a una grande festa. Kilicdaroglu si era raccomandato di essere accoglienti, di non rispondere alle provocazioni e nonostante l’imponente dispiegamento delle forze di polizia non c’è stato nessun incidente.
In molti erano convinti che Erdogan avrebbe bloccato la marcia, procedendo ad arresti di esponenti delle opposizioni, così come ha fatto dopo il fallito colpo di Stato dello scorso anno. Questo però non è avvenuto.
Erdogan non è uno stupido, ha preferito tollerare la manifestazione contando sul fatto che tutti i media nazionali che sostengono il governo (gli altri sono stati messi a tacere) l’avrebbero ignorata. Non poteva invece rischiare un’azione di forza che avrebbe scatenato l’indignazione della comunità sia nazionale sia internazionale.
A questo proposito qual è stata la partecipazione da parte dei partiti socialisti europei alla manifestazione?
Non era una manifestazione rivolta ai partiti, ma una manifestazione della gente. Io stessa ho partecipato da cittadina europea alla marcia, certo l’ho fatto anche come socialista e come presidente del comitato Diritti umani, ma lo spirito era proprio quello di non avere sigle di partito. Non è vero, invece, che non c’è stata attenzione internazionale. Penso all’adesione di Luis Ayala, Segretario Generale dell’Internazionale Socialista, alle manifestazioni di solidarietà che si sono svolte a Parigi, a Lione e a New York, all’appello che ha mandato il PSE a tutti i partiti aderenti per partecipare alla manifestazione.
La marcia si è conclusa proprio all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento europeo di una risoluzione e che chiede la sospensione dei negoziati per l’adesione della Turchia alla Ue. È la strada giusta per fare pressioni su Erdogan?
No, io credo sia un grandissimo errore. Già quando ero stata in Turchia nel novembre scorso con una missione del PSE ci avevano chiesto con forza di non sospendere i negoziati. Questa posizione isola la Turchia e lascia mani libere a Erdogan peggiorando la situazione dello Stato di diritto dei diritti umani. La nostra posizione di netta condanna nei confronti del governo, non deve comunque mettere fine al dialogo e i negoziati. Dobbiamo o essere allo stesso tempo fermi e dialoganti, non smettere di denunciare le violazioni dello Stato di diritto, ma la nostra reazione deve scongiurare ogni ulteriore peggioramento.
Che sensazioni hai per il futuro della Turchia dopo il successo di questa manifestazione?
Sento che si è imboccata una strada nuova. Il tentativo di mettere l’opposizione a tacere non è riuscito, sento che c’è la possibilità e la speranza di cambiare le cose.