Una piazza di provincia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo – come anticipazione alla pubblicazione su “gli Altri” del 18 febbraio – il seguente contributo al dibattito sul dopo mobilitazione del 13 febbraioUna piazza é sempre più avanti e più indietro di quanto si pensi….più avanti , perchè esprime una presa dello spazio pubblico da parte di qualcosa che si è accumulato e non ha ancora avuto né voce né espressione; più indietro, perché nella piazza si amalgamano e occultano tutte le differenze, le polemiche, le difficoltà di accordo che poi molto pesano nel lavoro che precede e in quello che segue.
Non ero convinta di questa iniziativa. Eppure. {{Domenica, Treviso:}} una piazza di provincia, una manifestazione almeno apparentemente quasi totalmente in mano a giovani donne, una serie di interventi in cui non si sentiva grande preordinazione. Calma e poca retorica, in discorsi non troppo accusatori e non troppo difensivi, in un ambiente non proprio favorevole alle donne come la piazza di un comune -emblema leghista; Berlusconi, i suoi scandali sullo sfondo, la piazza occupata dalla evidenza di una ingiustizia madornale.
Difficile non pensare alla piazza più drammatica in questi giorni come quella del Cairo, entrambe richiamanti e invase dalla realtà innegabile e pesante di cose troppo vere, latenti e soffocate per troppo tempo che è ora occupino lo spazio pubblico, che è ora che siano viste e affrontate pubblicamente. L’ esserci delle donne al mondo. Forse ci voleva un paese cosi drammaticamente negante le donne, la loro intelligenza, il loro lavoro, tutto ciò che non entra negli stereotipi del peggior machismo per accumulare tanta rabbia, tanta determinazione.
Una piazza inondata in modo totalmente non vittimistico dalla questione della violenza, quella chiara, di esseri troppo vicini: amanti mariti, fidanzati; resa pensosa dal silenzio troppo compresso su questo. E poi la rabbia di una negazione ingiusta di saperi, competenze, capacità di lavoro, saggezze cresciute sull’esperienza, e la consapevolezza ormai stabilizzata del saper gestire al meglio, con integrità, creatività, le istituzioni locali almeno, di sicuro.
Hanno parlato le ragazze, le studentesse che non riescono ad avere una scuola decente, le lavoratrici che non riescono a lavorare, molte, le sindache di piccoli comuni, con tutto il senso della fatica di essere presenti in luoghi sempre ostili dove ogni gesto “differente” viene pagato 100 volte tanto, consapevoli, e anche raffinate dall’esperienza, come quella che ha detto molto lucidamente: “gli uomini ci mettono in lista quando stanno per perdere, ok, mi hanno messo dentro per non perdere, come al solito, pronti a spazzarmi via alla prima occasione, la prima volta mi sono subito tirata indietro ma, questa volta, invece di obbedire, sono rimasta”. Un desiderio di emancipazione ancora da compiere, certo, per le condizioni culturali di questo paese, che non si è però proposto senza la consapevolezza della sua potenziale complessità.
Tutto il “privato”, strappato tanti anni fa al silenzio da un’altra generazione, poi rubato dai media che ce lo ha ributtato addosso come spazzatura, ed è stato rimesso “sui piedi” e nella sua giusta dimensione : ragazze molto giovani molto o che mi sembravano tali, hanno portato in piazza la misoginia che nutre la violenza, con una soggettività non subalterna, arrabbiata, consapevole di diritti e discriminazioni, di valori e complicità. Berlusconi? L’ indicatore di un modo inaccettabile di gestire le istituzioni, gli scandali sessuali sullo sfondo, i temi veri in piazza.
{{ Un filo col passato:}} presenti le nonne , le mamme, gli anni ‘70 e…donne come Carla Lonzi…. Per la mia generazione un sapere di tempi intensi, il senso di ….un lavoro non sprecato, rimandi a un tempo, gli anni settanta, in cui sono stati gettati i semi di quello che oggi si vede e rende intollerabile ciò che per troppo tempo è stato non solo tollerato ma che è rimasto pane quotidiano.
Sentir parlare in un certo modo della violenza e del disprezzo contro le donne che abita le case in una piazza veneta come Treviso ha{{ un significato simbolico davvero sensibile in un paese come questo}}, forse in particolare per chi come me ci è dolorosamente cresciuta nei tempi di perbenismo e ipocrisia del film di Germi: “Signore e Signori”. Discorsi alla luce del sole, che possono essere proclamati anche in un paese come questo, politicamente legittimi e significativi.
E’ così, simbolicamente importante che in una piazza dominata dal perbenismo cattolico, {{si parli poco della dignità offesa delle donne, }} ma, quasi aridamente, si nominino fatti che questa dignità negano alla base, senza chiedere pena, compassione, ma ragioni, pensiero, parola, diritti. Un abisso mi è sembrato separare gli interventi piuttosto maldestri anche se di buona volontà degli scarsissimi uomini, dalla consapevolezza lucida di queste giovani donne. (Molto citate ma assenti come parola soggettiva le donne migranti.)
E’ chiaro che tutto ciò dovrà trovare le sue parole, i suoi linguaggi per esprimersi, oggi, in altri tempi e altre generazioni. Ma è chiaro che alcuni temi trasversali, unificanti potenzialmente pur nella diversità delle posizioni, sono molto chiari. {{Due, anzi tre i temi dominanti, utili a un pensiero del futuro: la violenza, il primo}}: insopportabile che venga ormai riportato a exploit di cronaca; la necessità di affrontare direttamente la misoginia che la nutre dunque, molto prima della sua espressione, misoginia profondissima, di uomini di destra e di sinistra, di amici e compagni. {{Il lavoro,}} ma non inteso solo come il “posto di lavoro”, o il diritto al posto direttivo. Un approccio più complesso, con il diritto ad esprimere un valore, una capacità, a essere riconosciute per quello che si vale e si desidera esprimere. Infine {{il potere:}} la possibilità di esprimere una leadership, caratterizzata dalla specificità di un’ etica, le cui caratteristiche sono messe in evidenza dal suo contrario, dalla leadership attuale, che ne riassume tutte le caratteristiche in negativo.
Sono i temi su cui potrà ripartire forse un movimento. C’è , di nuovo bisogno di un pensiero che possa fare i collegamenti non visibili, tra campi diversissimi, tra terreni apparentemente distantissimi. C’è forse la necessità di saper ri-agire una conflittualità, temutissima. Il timore di perdere l’interlocuzione con “l’altra metà” serpeggiava costante, meno nelle giovani generazioni, molto nei pochi uomini intervenuti. Va forse ricordato che per realizzare quel sempre nominato “ desiderio di unione”, bisogna affrontare prima o dopo quello che divide. A una generazione fortunata come la mia resta l’ammirazione per una giovinezza che in assenza di un orizzonte collettivo, riesce a mantenere ostinazione e speranza.
{immagine} da venetouno.it
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