Una preziosa fonte per una storia politica degli ultimi 30 anni
Bisogna ringraziare Alessandra Mecozzi per la selezione di articoli di Carla Casalini apparsi su il quotidiano il Manifesto dal 1975 fino alla sua scomparsa nel 2008 (Carla Casalini “Il lavoro di una donna”, Manifestolibri 2010): costituisce un’importante fonte per la storia dei movimenti sindacali sociali, del movimento femminista e dei movimenti delle donne durante i tre decenni. La peculiarità della scrittura di Casalini è nel fornire un quadro politico generale, a volte anche analitico, della situazione socio-politica e dei conflitti che la attraversano e, insieme, restituire vivezza e concretezza delle persone che ne sono protagoniste, vivezza e concretezza di particolari che formano piccoli quadri del clima culturale del periodo.
Gli articoli selezionati spaziano dalle grandi lotte degli anni ‘70 al dibattito critico sulle politiche dell’UE negli anni 2000 e sulle controverse vicende del suo tentativo costituzionale affossato dai referendum francese e olandese.
_ Forniscono, dunque, molteplici chiavi di lettura trattando di una grande varietà di argomenti: dalle lotte giovanili a quella sull’aborto, dallo sfruttamento delle donne nelle campagne pugliesi alla difesa della legge 180, dal ruolo dirigente delle donne nelle lotte per la casa a Secondigliano alla denuncia della violenza sulla 14enne morta a Mazara del Vallo nel 1986 in seguito alle botte del fratello che l’aveva punita per essere rincasata tardi.
Gli anni ’70-‘80 occupano la maggior parte del libro rispecchiando anche il periodo più vivace e creativo dei sindacati e del movimento femminista nel nostro paese.
_ Sono questi gli annii della piu’ alta e ampia conflittualità del movimento operaio e sindacale, della sua maggiore apertura all’insieme delle tematiche sociali e della sua maggiore capacità “egemonica” rispetto all’insieme dei movimenti sociali.
_ Sono questi anche gli anni dei Coordinamenti donne nei sindacati e del “femminismo sindacale” delle donne che si riconoscevano nella doppia appartenenza e militanza nel movimento femminista e nel sindacato.
Particolare attenzione è giustamente riservata nel libro agli articoli sulle lotte delle metalmeccaniche e alla loro conquista di spazi autonomi nell’organizzazione sindacale unitaria FLM come nell’organizzazione di forme di lotta e di “pezzi separati” nei cortei e nelle manifestazioni.
_ Il Coordinamento nazionale donne del FLM, a cavallo tra la seconda metà degli anni ’70 e la prima degli ‘80, emerge nei suoi tratti dirompenti: richiesta di autonomia delle donne rispetto ai tempi e alle politiche del sindacato; rivendicazione di radicali trasformazioni dell’organizzazione del lavoro e del rapporto tra mondo della produzione e lavoro riproduttivo; richiesta di servizi pubblici e di permessi retribuiti per madri e padri; apertura a tematiche quali la salute in fabbrica e fuori, la sessualità, la legge contro la violenza sessuale e la partecipazione alla battaglia per la legge 194; organizzazione di corsi separatisti di 150 ore dedicati alla condizione femminile e alla presa di parola diretta da parte delle donne.
All’interno della rivendicazione di “lavorare tutti un po’ meno in fabbrica per lavorare tutti un po’ di più nella società”, ossia della riduzione e di una diversa articolazione dell’orario di lavoro per uomini e donne, s’inserisce il rifiuto del Coordinamento del tempo parziale, considerato una forma di penalizzazione delle lavoratrici che comportava minori opportunità di qualificazione e rafforzamento del loro ruolo familiare.
Il rischio, temuto dalle donne del Coordinamento FLM, di una flessibilità del lavoro che spalancasse le porte a forme di discriminazione e “secondarietà” del lavoro delle donne senza peraltro garantire contropartite occupazionali, si rivelerà piu’ che fondato negli anni ’90, oltre il crinale segnato dalla fine dell’esperienza sindacale unitaria, da una politica sindacale meno conflittuale e più istituzionale, dalle trasformazioni del movimento femminista verso forme di “femminismo diffuso”.
Negli anni ’90 s’è diffusa, infatti, la precarietà del lavoro; s’e’ diffusa in uno con quella flessibilità del lavoro promossa e incentivata dall’UE che, nelle parole della Commissione europea, era destinata ed essere a favore delle imprese e, contemporaneamente, delle opportunità occupazionali e della conciliazione delle responsabilità familiari delle donne, quasi che interessi dell’impresa e del lavoro, per lo più conflittuali, potessero essere pacificamente coincidenti.
Com’è noto sulla questione della flessibilità ci si è divisi nella sinistra e nel movimento femminista tra chi ne temeva i rischi di precarizzazione e chi vi vedeva un portato e un avanzamento della libertà femminile.
_ Su quest’ultima posizione illuminanti, anche a distanza di più di un decennio, le parole critiche di Carla: “{La parola, il concetto e l’esperienza [della flessibilità] nel mondo del lavoro è stata elaborata e imposta ormai da anni, e da ultimo anche codificata in leggi, in Italia non certo da donne. La ricerca di senso, scansione e qualità del tempo quotidiano e di vita “differente”, richiede parole e riflessioni sull’esperienza ben diverse, per me, che non credo che ciò che è stato pensato altrove da altri io possa assumerlo e solo per questo mutarlo di senso e segno}” (p. 171, Via Dogana . Il lavoro delle donne 1 Novembre 1998).
Qui il senso di quella divisione, non certo rispetto al desiderio di libertà nel lavoro o al desiderio di tempi di lavoro modulati sui tempi di vita, bensì sul fatto che questo desiderio potesse esprimersi e realizzarsi nella stessa parola politica promossa dall’OCSE e dalla Commissione europea e fatta propria dalle donne.
_ E da qui anche le notazioni critiche di Carla rispetto alle pretese di incasellare e neutralizzare le singolarità delle donne in un “discorso generale” sulle loro preferenze e sui loro desideri di libertà, “discorso generale” che lei intravede nella Libreria delle donne di Via Dogana e che considera caratteristico del pensiero “maschile”.
Alla fine degli anni ’90 Carla iniziò ad occuparsi soprattutto di UE ed è con le sue lucide critiche al Trattato Costituzionale e soprattutto alle politiche migratorie europee che il libro si chiude
Il libro consegna alle giovani generazioni e restituisce alla memoria dei non più giovani parte del patrimonio politico e culturale dei movimenti degli anni ’70 e ’80 e della radicalità delle loro aspirazioni.
_ Rileggere questi testi induce a pensare bilanci complessi, sfaccettati, plurali di quella stagione politica, bilanci che, in particolare rispetto ai movimenti femministi e ai loro esiti attuali, superino semplicistiche contrapposizioni odierne tra il trionfalismo di chi già vede la fine della secolare agonia del patriarcato e chi non s’accorge del nuovo protagonismo delle donne, lontanissime dall’essere le “comparse marginali di un copione per soli uomini” cui fa riferimento Manuela Marzano su La Repubblica (8 marzo 2011).
Lascia un commento