Una ragazza del 1946: Liliana Gragnoli.
All’inizio del viale costeggiato da case popolari, ad accogliermi sul pianerottolo adiacente il portone della sua abitazione c’è un’ex ragazza del 1946, che ha compiuto velocemente, per seguire la definizione dello storico Eric Hobsbawm, la sua novantaduesima rivoluzione intorno al sole. Si chiama Liliana Gragnoli. E’ nata a Laterina, in provincia di Arezzo, il 23 febbraio del 1924. Ha un sorriso malinconico e dagli occhi traspare uno sguardo arguto e fervido; è pronta a raccontarmi tutto di quel 2 giugno 1946. Ha preparato un tavolo imbandito di tante foto. “Che vuole sapere? La mia è una vita semplice… non ho nemmeno mai avuto un fidanzato, per mia scelta ovviamente!”, esordisce velocemente e con un tono di voce deciso e sicuro. “Vorrei sapere chi era la ragazza del 1946…”. Liliana ha tanti ricordi, a volte sembrano troppi, fa fatica a rimetterli in ordine e allora bisogna iniziare dal principio. Figlia di Torquato e di Teresa Magi, sorella più grande di Primo. Una famiglia di origini modeste, il padre svolgeva l’attività di droghiere fino a poco dopo che nacque Liliana, poi fece il contadino poiché la sua attività fu incendiata da un gruppo di fascisti della zona; la madre si occupava di accudire i figli. Liliana, invece fin dalla prima adolescenza ha sempre lavorato nelle tabaccaie e per arrotondare e aiutare in famiglia, lavorava come segretaria e bambinaia presso un avvocato di Arezzo. Quando parla del suo babbo i suoi occhi si riempiono di lacrime e diventano più luminosi dei suoi orecchini, si ritrae in un abbraccio nel suo maglione di lana rossa; un sospiro e poi un altro ancora e poi esclama: “Quanta sofferenza per il mio povero babbo”. A causa della perdita di un braccio a soli 14 anni in una fabbrica di mattoni riuscì ad evitare l’arruolamento in guerra. Ma il mondo familiare di Liliana visse con partecipazione gli anni dello scontro e sviluppò un atteggiamento di ripudio e di ribellione emotivo dinanzi a un mondo divenuto teatro di ferocia. E allora cambiò anche l’opinione che avevano avuto fino a pochi anni prima verso colui nel quale avevano riposto fiducia… “A me Mussolini piaceva perché era stato il primo che all’inizio aveva dato importanza alle donne… all’inzio… poi però, mi resi conto che era un’importanza apparente… e poi… e poi fece l’accordo con quello lì, il tedesco… e io mi sentii tradita”. Il duce divenne così un antagonista rispetto a quell’idea di sicurezza che aveva infuso e indossò per la moltitudine, la veste di un traditore. Alla fine della guerra non ci fu alcun tipo di indecisione per Liliana e la sua famiglia: estranea alla guerra e ai sentimenti che porta con sè, durante l’esperienza resistenziale decise di rifugiarsi nella religione. Questo rifiuto netto portò la famiglia Gragnoli ad essere considerata da alcuni del piccolo paese toscano, sostenitori del fascismo. A causa di maldicenze e chiacchiere sul presunto appoggio ai repubblichini, il padre di Liliana, dopo essere stato prigioniero di alcuni partigiani a Napoli, fu fatto vittima. “Mio padre non è stato ucciso dai partigiani. E’ stato ucciso da alcuni uomini che non agivano in nome della libertà nazionale. E’ stato ucciso da alcuni uomini che per sentirsi degli eroi hanno commesso uno dei tanti crimini”. Questo l’antefatto che portò Liliana al voto del 2 giugno 1946. Un voto distaccato da ragioni politiche. “Mi sentivo emozionata, avevo indossato l’abito migliore che avevo; mi svegliai presto quella mattina per prepararmi e andai in paese con mia madre e mia nonna. Ero combattuta perché da una parte mi rendevo conto che io, assieme a tantissime altre donne, stavo facendo una cosa che fino a quel momento non era stata mai fatta; dall’altra non avevo molto interesse per la politica. La politica per me era qualcosa che non riuscivo a definire; ma che ne sapevo io che dovevo votare! …Votai per la monarchia, per il re su consiglio di mia nonna che ripeteva in continuazione che era nata nello stesso anno del re… inoltre mi disse che dovevo votare per il re perché questa nazione aveva bisogno di una sola giuda. Allora io non mi preoccupai troppo, nemmeno del parere delle mie amiche e nemmeno della maggioranza delle persone di Laterina che avevano votato la Repubblica. Soltanto a distanza di anni ho capito l’importanza di quel cambiamento. Mi fu comunque chiaro che la storia stava cambiando, la donna poteva cominciare a dire la sua. Quell’estate, per la prima volta, quando andai al mare in colonia, indossai il costume da bagno senza vergogna, mi sentivo una che contava e che poteva fare come le pareva”. Liliana a causa delle sue vicende familiari ha vissuto con distacco la vita politica del suo Paese, ma ha cercato di interpretare i suoi principi cattolici a servizio degli altri come volontaria e a disposizione della comunità senza entrare a far parte di nessuna associazione e attraverso la chiesa della sua parrocchia. Ha manifestato la propria fede nelle attività più disparate di tutti i giorni a disposizione dei più bisognosi. Oggi guarda quella ragazza del 1946 attraverso una foto e pensa che sarebbe stato bello vivere quel 2 giugno con maggiore consapevolezza, sarebbe stato bello nel 2016 avere 22 anni per vivere in un mondo conquistato dalle donne, almeno per certe cose…