Una riflessione sul dopo voto mentre le forze politiche si stanno preparando alle consultazioni del presidente Mattarella per la formazione del governo
L’articolo è stato pubblicato anche su AlfaBeta2
Nella discussione sul 4 marzo, post-voto, governo tecnico o politico, vale la pena di interrogarsi su un soggetto, quello femminile, per il quale si sprecano frasi del tipo: “È arrivata l’onda rosa”, “Ecco lo tsunami delle donne”.
Lega e Movimento 5 Stelle sono i (mezzi) vincitori delle elezioni nonché i possibili attori di una nuova formula di governo o di una prossima alternanza competitiva (l’Italia per le formule possiede una fantasia illimitata): quella del bipolarismo populista.
Quanto alle donne, nella coalizione di centro-destra, Giorgia Meloni ha conquistato la leadership di Fratelli d’Italia mentre le parlamentari della Lega (annotazione di Flavia Perina) sono passate da 5 a 65. Forza Italia, anzi, Berlusconi, che rischiava di venire detronizzato in una coalizione che pure ha raccolto il 37 %, si è rasserenato grazie all’elezione della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati e di seguito, delle due capigruppo: Annamaria Bernini e Maria Stella Gelmini.
Secondo voi, si tratta del riconoscimento (maschile) di un discorso pubblico-politico che attribuisce alle donne particolare valore?
Giacché siamo in tema, bisogna accennare alla questione delle pluricandidature. È un “trucco” che tutti i partiti, tranne i 5 Stelle, hanno usato non solo per aprire un paracadute ai loro dirigenti nei collegi uninominali ma per aggirare le quote di genere (che stabiliscono l’alternanza uomo/donna nei listini e un rapporto 60-40% tra capilista dei due sessi). Scansato (tra le altre) da Boschi, Madia (Pd), Guerra (Leu), Bongiorno (Lega) il discutibilissimo marchingegno, le parlamentari, in questo modo, hanno salvato molti colleghi di partito che erano al secondo posto nei listini.
Come dire che il patriarcato sarà pure sulla via del tramonto, ma la corsa in più collegi a vantaggio degli uomini (unico innocente il Movimento 5 Stelle che può esibire il gruppo parlamentare con più donne elette: 42 su un totale di 112 al Senato e 82 su 122 alla Camera, superando la soglia del 40%) ricorda il solito soccorso ancillare a sostegno del potere maschile. Il quale potere pare abbia perso attrattiva a Hollywood, ma nel Parlamento italiano ancora domina su grande parte dell’emiciclo.
Naturalmente, il numero dei voti ottenuti va sempre accostato alla condizione di salute della democrazia che da questo voto è uscita, sostiene Luciana Castellina (in un’intervista su«L’Espresso»), “con le ossa rotte”.
Eppure, ad ascoltare i discorsi d’insediamento dei due presidenti delle Camere, aggrappati alla ciambella di salvataggio della Carta costituzionale, alle istituzioni, alle regole comuni, sembra che la democrazia sia di forte fibra, in grado di superare le malattie gravi. O di stagione.
Il nuovo presidente dell’assemblea di Montecitorio, Roberto Fico, viene da una scuola dove si insegnava che il Parlamento andava aperto “come una scatola di tonno”. Adesso, di quello stesso luogo – del Parlamento – ha sottolineato la centralità, ricordando la battaglia contro il nazifascismo e l’anniversario delle Fosse Ardeatine.
Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente di Palazzo Madama, si è riallacciata a una genealogia femminile delle “mai abbastanza ricordate eroine del Risorgimento” e delle “tante ragazze, di ogni estrazione sociale, e di ogni credo religioso, che hanno rappresentato l’anima della lotta di Liberazione e che, mi sia consentito, sono qui oggi magistralmente rappresentate dalla senatrice Liliana Segre”.
A proposito di Casellati, alcune mie amiche hanno salutato festosamente il suo arrivo, in quanto “prima donna alla seconda carica dello Stato”. Dalle sue posizioni risulta che vorrebbe la revisione della 194, la riapertura delle case chiuse. Non amichevole nei confronti delle unioni civili, si è distinta in quanto avvocato matrimonialista ma anche per aver difeso entusiasticamente “l’utilizzatore finale” Berlusconi, nelle vicende giudiziarie del caso Ruby. Alias “la nipote di Mubarak”.
Queste posizioni sicuramente non peseranno sul ruolo della neopresidente del Senato, tuttavia esaltare il dato inoppugnabile che “è una donna”, mettendo una pietra sopra al resto, rischia di essere poco rispettoso proprio per le idee (che a me non piacciono) di Casellati. Gli uomini conoscono, per averla frequentata, la tendenza a misurare l’attività di una persona – e a discriminarla – in base alle sue caratteristiche fisico-biologiche. Si chiama sessismo. Non esisterà, per caso, anche un (capovolto) sessismo femminile?
Quindi, dopo il discorso d’insediamento, staremo a vedere se la presidente sceglierà una versione più neutra e meno legata fideisticamente al capo. Per ora è stato di conforto alle donne la sua rassicurazione che “nessun traguardo è più precluso, la mia elezione è un incoraggiamento per tutte”. La politica, in fondo, è l’arte del possibile.
Sempre nelle prime giornate febbrili dell’inedita (ma già pencolante) alleanza giallo-verde, qualche incongruenza l’abbiamo notata quando Salvini ha assicurato di essersi comportato in modo “lineare” nella mediazione sul nome del presidente del Senato mentre Di Maio ha garantito che “la partita della presidenza della Camera l’abbiamo vinta senza nessun compromesso” con gli “impresentabili”.
No inciuci, mediazioni o compromessi. Noi del Movimento 5 Stelle non sigliamo intese. Ma in Parlamento, per combinare qualcosa, bisogna tessere mediazioni, firmare patti (magari subito stracciati da piccoli e grandi tradimenti). Non si capisce cosa mai ci sia di dannoso a discutere da sponde diverse un provvedimento, una legge, e persino delle nomine (dei segretari d’aula, dei questori dei quali non c’è stato nessun eletto per il Pd). Comunque, Salvini non si staccherà facilmente da Forza Italia e dal “pregiudicato” Berlusconi, pena la subalternità ai 5 Stelle che hanno il doppio dei suoi voti.
Certo, uno dei problemi in sospeso (molti altri incalzano i due partiti che hanno raccolto più voti) riguarda la legittimazione di Berlusconi. Con il Movimento 5 Stelle nel ruolo di “partito della fermezza” che poco sopporta il nome di Casellati. Paola Taverna aveva promesso: “Con lui mai” per aggiungere subito dopo “ma lui in Parlamento non c’è più”.
E le deputate, le senatrici sono consapevoli della differenza, infedeli ai loro capi e autonome dal “mercanteggiamento maschile” (Mariangela Mianiti sul«Manifesto » del 7 marzo)? Difficile rispondere laddove pesano – hanno sempre pesato – le dinamiche interne ai partiti e la situazione attuale vieppiù ingarbugliata: Salvini che deve restare attaccato al 37 % del partito unico del centrodestra; Di Maio convinto che spetti a lui diventare premier.
Si vedrà il seguito il 4 aprile quando inizieranno le consultazioni per il governo. Soprattutto, spetterà al presidente della Repubblica cercare di districare le contraddizioni. Verificare gli elementi in comune dei vincitori: una domanda d’ordine che si mescola alle pulsioni antistranieri; la spinta anticasta, l’avversione nei confronti dell’Europa, la simpatia nei confronti della Russia di Putin.
Intanto, bisogna andare avanti. Lo pretende lo spirito di cambiamento che soffia sull’Italia. È accaduto da altre parti e sta accadendo da noi: centro-destra e centro-sinistra vacillano. Incespicano le aree moderate e riformiste e i modelli di partito tradizionali.
Il contratto sociale non tiene più. Media, web, social, televisione offrono modelli completamente diversi dal passato. I progressisti sono fuori per propria scelta o relegati in un angolo (non solo in Italia). Il Pd d’altronde, sembra avere il destino segnato da chi suppone che verrà dissanguato (come Forza Italia) rispettivamente dai grillini e dalla Lega alle prossime elezioni. Qualcuno auspica un raggruppamento liberale macroniano (con il centrodestra). Nel frattempo, il partito del reggente Martina si dibatte al proprio interno tra chi vuol trattare con i 5 Stelle e chi (il segretario uscente) respinge ogni discorso di apertura. E però, muoversi dall’opposizione significa innanzitutto ascoltare la realtà, i problemi della gente.
Questo voto ci consegna una bottiglia mezza piena e mezza vuota. Mezza vuota perché il 4 marzo è stato segnato dalla solitudine, insicurezza, paura dei dimenticati: operai, Sud, giovani. Mica semplice per la politica della Lega e del Movimento 5 Stelle porvi rimedio con il sovranismo, con il neo-assistenzialismo, il superamento della Fornero, la costruzione di una supposta comunità etnica che garantisca dal pericolo “percepito” delle migrazioni (però i clandestini esistono e sono un decimo dei regolari: 500 mila).
D’altronde, se nel nostro Paese le buone pratiche non mancano, non riescono a realizzare una rete contro la povertà. Per la convivenza, contro il degrado giacché, assieme agli immigrati (innocenti), è arrivato l’abbandono (colpevole) di intere zone del Paese.
Se invece proviamo a leggere nella bottiglia mezza piena, compare allora una spinta alla partecipazione dal basso, forse una fiammella di speranza che arrivi un mutamento. In meglio. Magari a rispondere – sempre che non distruggano l’Italia – sarà – sempre che nasca – questo governo di mezzi vincitori. Donne comprese.