Premessa: le righe che seguono non sono note informative sull’omelia di padre Raniero Cantalamessa, datata venerdì santo, 6 aprile 2007, nella Basilica di San Pietro; assomigliano molto ad uno sfogo rabbioso di fronte all’ipocrisia dell’oligarchia ecclesiastica.La mia prima reazione alle notizie dei telegiornali sulla Pasqua nel nome delle donne (il richiamo del Papa alla {via crucis} delle donne violentate umiliate, l’omelia sopraddetta) è stata molto fredda: {{tutto sembrava – e in effetti lo è – un déjà vu}}; ormai sono più di dieci anni che va avanti il discorso del “nuovo femminismo” di fonte cattolica: la scoperta del “genio femminile”, la valorizzazione della risorsa donna, la contrapposizione al femminismo cattivo. Avete mai sentito un’autocritica sulla violenza e l’umiliazione subite dalle donne nella Chiesa?
Perché non lanciare un appello a giornaliste/i a mettere un silenziatore su parole e immagini di papi, cardinali, predicatori…? Parlandone si perpetua il loro potere.

Poi, su “Liberazione” e “il manifesto”, ho letto gli articoli con le letture “politiche” di Lea Melandri, Elettra Deiana, Ida Dominijanni e mi è venuta la curiosità, questa sì tutta giornalistica, di andare alla fonte, al testo integrale pubblicato su un sito affidabile [www.vatican.va->http://www.vatican.va/liturgical_year/holy-week/2007]

A questo punto mi sono sentita immediatamente montare dentro la stessa rabbia che avevo da giovane quando mi presentavano modelli di ragazze per bene, di donne “pie, zelanti e dotte” (secondo il lessico familiare), e automaticamente tendevo ad “assumere atteggiamenti maschili” (secondo il linguaggio del predicatore). Anche dopo, ho avuto sempre paura di avere un “quoziente intelligenza” basso ma ho sempre rifiutato di essere misurata con il “quoziente cuore”. {{Che l’auspicata era della donna si identifichi con l’era del cuore, è troppo!}}

Infine, passata la rabbia infantilistica, ho letto il pezzo dalla parte delle tante donne che da parecchi anni leggono i testi della tradizione cristiana denunciandone la tessitura patriarcale e facendo uscire dal silenzio le figure delle donne che seguivano Gesù, le donne sagge del Vecchio testamento, le profete, il ruolo di Maria di Magdala nell’annuncio della resurrezione.

Il pezzo per buona parte potrebbe essere stato scritto da tante di loro (l’hanno fatto), perfino nel denunciare il peso maschile nella scrittura dei vangeli. Ma guarda caso è un uomo che parla e nessun testo di donna viene citato nella decina di note che accompagnano il testo (salvo {Le deuxieme sexe} di Simone de Beauvoir rea di aver ridotto la differenza sessuale ad un prodotto della cultura).

{{Nulla di nuovo; sappiamo bene la capacità della gerarchia ecclesiastica di appropriarsi di pezzi di pensiero critico}} per utilizzarli a proprio uso e consumo (sta accadendo anche con la “nuova laicità”, con gli inviti ad una “vera democrazia”).

In questa omelia, tutta la lettura femminile dei testi viene utilizzata per esaltare la funzione salvifica, meglio di servizio, delle donne. Maria di Magdala è si, come d’altra parte detto dalla tradizione, “apostola degli apostoli” e le donne “maestre dei maestri” perché portano l’annuncio della resurrezione ai discepoli, ma {{tutto ciò non può essere letto come anticamera del sacerdozio alle donne}} (desiderio di molte donne nella chiesa): “donne cristiane, continuate a portare ai successori degli apostoli, a noi sacerdoti loro collaboratori, il lieto annuncio”.

{{Il nodo centrale resta sempre quello dell’oligarchia ecclesiastica}}, e solo attraverso la sua messa in discussione può essere credibile qualunque tentativo di coniugare femminismo e cristianesimo. Non ci si può fermare alla ricostruzione di una genealogia femminile, importante per darsi riconoscimento ma fine a se stessa. {{A chi resta in mano il potere di dire ciò che è bene e ciò che è male? A chi il potere sulla nostra libertà?}}