Unicef: nel mondo ancora 123 milioni di bambin* fuori dalla scuola – le bambine le più penalizzate
Nel resoconto fornito dall’Unicef si utilizza il termine universale bambini. Noi abbiamo utilizzato un linguaggio di genere mettendo in evidenza la presenza anche di bambine e giovani ragazze, sapendo che in situazione di difficoltà nei paesi poveri e nelle zone di conflitto ad essere le più penalizzate sono proprio le bambine.
Secondo l’Unicef, negli ultimi 10 anni la percentuale di bambin* e giovani tra i 6 e i 15 anni che non vanno a scuola è appena diminuita: oggi l’11,5 % dei bambini e delle bambine in età scolare – pari a 123 milioni – non frequenta la scuola, nel 2007 erano il 12,8% (ovvero 135 milioni).
I bambini e le bambine che vivono nei paesi più poveri del mondo e nelle zone di conflitto sono colpiti in maniera sproporzionata. Dei 123 milioni di bambin* che non frequentano le scuole, il 40% vive nei paesi meno sviluppati e il 20% in zone di conflitto. Le guerre continuano a minacciare – e a invertire – i progressi fatti nel settore dell’istruzione. I conflitti in Iraq e Siria si sono tradotti in altri 3,4 milioni di bambin* che non seguono percorsi scolastici, portando il numero dei bambin* fuori dalle scuole in Medio Oriente e in Nord Africa ai livelli del 2007 con circa 16 milioni di bambin*.
A livello globale, il 75% dei bambini e delle bambine in età da scuola primaria e secondaria inferiore che non frequentano la scuola si trova in Africa sub sahariana e Asia del Sud, dove ci sono alti livelli di povertà, rapido aumento della popolazione e ricorrenti emergenze.
Alcuni progressi però sono stati fatti. L’Etiopia e la Nigeria, che sono tra i paesi più poveri del mondo, negli ultimi 10 anni hanno fatto i più grandi progressi nel tasso di iscrizione a scuola di bambin* in età da scuola primaria con un aumento, rispettivamente, di oltre il 15% e di circa il 19%. Secondo l’Unicef, i diffusi livelli di povertà, i conflitti protratti nel tempo e le emergenze umanitarie complesse hanno causato l’arresto di questo tasso, che necessita di maggiori investimenti per rispondere alle cause che tengono i bambini e le bambine vulnerabili fuori dalle scuole.
“Gli investimenti mirati a far crescere il numero di scuole e insegnanti per far fronte alla crescita della popolazione non sono sufficienti. Questo approccio tradizionale non riporterà i bambini e le bambine più vulnerabili a scuola (e non li/le aiuterà a sviluppare il proprio pieno potenziale) se continueranno ad essere intrappolati in povertà, deprivazione e insicurezza – ha dichiarato Jo Bourne, responsabile Unicef per l’Istruzione -. I governi e la comunità globale devono focalizzare i loro investimenti sull’eliminazione di fattori che in primo luogo non consentono ai bambini e alle bambine di andare a scuola, dovrebbero inoltre rendere le scuole sicure e migliorare insegnamento e apprendimento”.
La mancanza di fondi per l’istruzione nelle emergenze sta colpendo l’accesso alle scuole dei bambini e delle bambine che vivono in situazioni di conflitto. In media, meno del 2,7% degli appelli umanitari a livello globale sono dedicati all’istruzione. Nei primi 6 mesi del 2017, l’Unicef ha ricevuto soltanto il 12% dei fondi richiesti per garantire istruzione ai bambini e alle bambine che vivono in situazioni di crisi. Sono necessari più fondi per rispondere al numero crescente e alla complessità delle crisi e per dare ai bambini e alle abmbine la stabilità e le opportunità di cui hanno bisogno. “Imparare garantisce ai bambini colpiti dalle emergenze un aiuto nel breve periodo, e nel lungo periodo rappresenta un investimento cruciale per lo sviluppo delle loro società. Ma gli investimenti nell’istruzione non rispondono alla realtà di un mondo instabile. Per rispondervi, è necessario che ci siano fondi per l’istruzione nelle emergenze maggiori e meglio pianificati”, ha concluso Bourne.
Malala 5 anni fa consegno al segretario generale dell’Onu una petizione di 4 milioni di firme, raccolte online, per chiedere ai leader del mondo fondi per nuovi insegnanti, aule, libri e l’immediato stop allo sfruttamento dei bambini nei luoghi di lavoro, ai matrimoni forzati e al traffico dei minori perché si possa davvero garantire l’istruzione primaria universale entro il 2015. Siano nel 2017 e i dati Unicef confermano che ben poco è cambiato!
Dovunque nel mondo, anche nella nostra Europa con le sue comunità Rom, ci sono tante piccole Malala che lottano per quello che dovrebbe essere un diritto. Spesso i ‘talebani’, dall’Africa all’Asia, le bambine ce li hanno in casa: hanno il volto di un padre che vede un peso economico in una figlia che vuole andare avanti negli studi. A volte l’istruzione negata è una questione di insormontabili distanze, una scuola lontana chilometri di savana dalla propria abitazione. A volte sono i fattori atmosferici a costringere migliaia di ragazze ad abbandonare i propri sogni sacrosanti. E’ anche una questione economica, naturalmente. Dimenticando però che il mancato accesso all’istruzione per una bambina ogni tre nel mondo è un’aberrazione che comporta anche un costo finanziario, una perdita nel prodotto Interno Lordo di una nazione, ancora più inaccettabile in tempi di crisi.