Unite per unire: una vittoria contro il frammentarismo imperante
A rendere speciale la giornata sarà la caparbia volontà delle donne, a partire dai Tavoli avviati il 27 novembre a Roma in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, e, a seguire, i Tavoli del 4-5 febbraio a Bologna.
Un primo grande risultato: la straripante presenza di donne a Bologna, il loro saluto urlato al momento del congedo “Siamo una marea, diventeremo oceano”. Non era scontata questa partecipazione di massa. Quante volte, alle proclamate intenzioni di dar vita a un movimento in un clima di entusiasmo ci si è scontrati nel successivo incontro con un flop!
Il merito va al neonato movimento Nonunadimeno, punto d’incontro imprevisto quanto necessario di associazioni e movimenti. Una vittoria contro il frammentarismo imperante.
Sono state queste donne (giovani e diversamente giovani) che dall’Aula Magna della Facoltà di Psicologia della Sapienza (Roma) hanno lanciato una proposta dirompente: dar vita a un percorso decentrato con la creazione di 8 Tavoli di riflessione e iniziativa sui terreni in cui le donne sono sfruttate, colpite, massacrate da una violenza dalle mille sfaccettature. L’obiettivo per tutte è dire “BASTA”, andare oltre l’evocazione e il simbolico e praticare concretamente il blocco delle attività produttive e riproduttive:
“incrociamo le braccia, interrompiamo ogni attività produttiva e riproduttiva; la violenza sulle donne non si combatte con l’inasprimento delle pene ma con una trasformazione radicale della società..” si legge nel documento proposto dalle organizzatrici.
È la prima volta che una dichiarazione di sciopero globale investe contestualmente gli ambiti lavorativi , di cura e la sfera sessuale
Un netto cambiamento rispetto ai cortei degli anni ’70-’80 tra mimose, zoccoloni, sottanoni, al grido orgoglioso della riappropriazione della differenza “tremate tremate le streghe son tornate”…Tanti 8 marzo in cui si chiedeva con forza la liberazione di una donna simbolo della lotta contro il razzismo, rinchiusa ingiustamente nelle carceri statunitensi : Silvia Baraldini….
Ancora più netto il cambiamento rispetto alle cene conviviali anni ’50-’60, tra le colleghe d’ufficio, col mazzetto di mimosa appuntato sul tailleur nel segno di una provvisoria emancipazione, sotto lo sguardo condiscendente di mariti, nonni e fratelli addetti eccezionalmente alla cura della prole…
Di sciopero delle donne, dalle lontane memorie delle lotte operaie in Russia, in Europa e negli USA nei primi decenni del secolo scorso, si torna a parlare per la prima volta in Italia il 25 novembre 2013, sciopero ripetuto anche l’ 8 marzo dello scorso anno col sostegno di alcuni sindacati di base Lo sciopero rendeva tangibile mediante l’astensione dal lavoro la protesta contro la disuguaglianza di diritti delle donne lavoratrici, la richiesta di riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento delle pause… In alcune località la polizia municipale garantiva i servizi di base…
Si trattava di sciopero generale, ma benché l’invito fosse rivolto a tutte le donne, protagoniste erano le lavoratrici stabili o precarie, poiché le proteste erano rivolte contro specifici luoghi e condizioni di lavoro.
Sono ormai 40 i paesi del mondo in cui le donne scenderanno in piazza l’8 marzo di quest’anno scioperando contro condizioni di subalternità e violenza per le donne.
Sciopero generale e globale.
Due istanze si saldano nelle dichiarazioni che in questi ultimi mesi hanno invaso reti e siti web. E qui sta la novità della lotta. “una giornata in cui sperimentare/praticare forme di blocco della produzione e della riproduzione sociale”.
Questi due aspetti erano stati tradizionalmente percepiti come scissi.
Non a caso i documenti prodotti parlano di “reinvenzione dello sciopero come vera e propria pratica femminista a partire dalle forme specifiche di violenza, discriminazione e sfruttamento che le donne vivono quotidianamente”.
Esempio fondamentale di scissione tra le due attività –produttiva e riproduttiva- è il celebre testo teatrale di Aristofane. Lisistrata, circa 2500 anni fa, chiamava a raccolta le donne ateniesi e, via via, perfino le abitanti della nemica Sparta, incitandole a rifiutarsi all’atto sessuale fintanto che i loro uomini non avessero abbandonato le armi, e non avessero riconosciuto la loro importanza.
Protagonista della commedia è la sessualità e la solidarietà tra donne, non la violenza di genere, non l’attività produttiva; l’aspirazione alla pace, ossia la pace alla fine firmata tra Atene e Sparta, è soltanto il modo perché la vita familiare e l’attività riproduttiva con al centro una donna cresciuta nella stima del compagno per aver saputo resistergli, possa riprendere il suo corso….
Nonunadimenorompe la separazione storica tra le due sfere: “il prossimo 8 marzo ci asterremo da ogni attività produttiva e riproduttiva che ci riguardi…. Se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo.”
E ancora, a ribadire che non solo del consueto sciopero contro il datore di lavoro si tratta, il documento prosegue: “ Sarà uno sciopero in cui si riafferma la nostra forza a partire dalla nostra sottrazione: una giornata senza di noi. Resteremo al sole delle piazze a goderci la primavera che arriva anche per noi a dispetto di chi ci uccide per “troppo amore”…di chi scrive leggi sui nostri corpi…..di chi ci ricatta con le dimissioni in bianco …di chi ci offre stipendi comunque più bassi degli uomini a parità di mansioni…..” Attività riproduttiva e attività produttiva si intrecciano in un’unica dimensione e prendono corpo in un’unica prospettiva: “Le forme tradizionali del lavoro e della lotta si combineranno con la trasformazione del lavoro contemporaneo-precario,intermittente, frammentato e con il lavoro domestico e di cura, invisibile e quotidiano……” In Polonia l’8 marzo saranno i padri, i nonni, i mariti, i fratelli a garantire i servizi di base , “come se le donne non ci fossero”…
C’è in queste settimane che precedono la data fatidica un tramestio incessante in rete, twitter, fb . Le donne si scambiano messaggi di località in località per affermare il proprio protagonismo, per manifestare dubbi e inquietudini: l’indizione dello sciopero da parte dei sindacati è arrivata in tutti i luoghi di lavoro? E la comunicazione del MIUR alle scuole? È certo che sarà uno sciopero di 8 ore? Sì, CGIL e FLC lo hanno indetto.
E le “Pastafariane” di Padova? Sono una religione? Accoglierle? Ma i tavoli non hanno messo a tema la laicità? Sì, accoglierle… non sono una religione, ma uno sbeffeggio delle religioni…E come fanno a scioperare le precarie, e le lavoratrici bancarie che proprio il mercoledì non possono scioperare? E le lavoratrici autonome, le imprenditrici che metterebbero a rischio il proprio introito? A tutte viene data una risposta.
Ma la risposta ai dubbi raccoglie risposte anche su un altro versante…Un versante che ci preme richiamare. Che cosa significa sciopero delle donne? Interrompere il lavoro che una donna presta, di qualunque tipo esso sia e a qualunque titolo, significa far pesare alla controparte, in questo caso allo Stato, quanto conti il lavoro delle donne nella società. Ma una richiesta di riconoscimento è tutta interna al sistema, sia al patriarcato sia al capitalismo, che ha assunto il patriarcato a seconda delle sue esigenze, e, in questo momento specifico, rispetto alle esigenze della sua fase neoliberista. (E.Teghil- Lo sciopero delle donne: interclassismo e spoliticizzazione).
Più oltre viene affrontato il nodo nella sua complessità: “Quindi, scioperare come donne significa interrompere il lavoro che possiamo definire all’esterno, o anche il lavoro di cura e riproduttivo che è il nodo centrale del nostro asservimento patriarcale? Come si interrompe il lavoro riproduttivo? A meno che il lavoro riproduttivo non venga identificato con il lavoro sessuale (sono trascorsi 2500 da Lisistrata), ma è una forzatura, visto che il lavoro sessuale è un’altra attività vera e propria che ci viene accollata a titolo oneroso o gratuito.”
L’analisi delle forme del lavoro produttivo e riproduttivo condotta dalla Tighel ne mettono in evidenza i due aspetti specifici che richiedono due distinti interventi dello Stato: riconoscimento (per il lavoro produttivo), tutela contro la violenza maschile ( per il lavoro riproduttivo).
“Ma tutto questo- prosegue l’autrice- non ha niente di femminista e tanto meno di rivoluzionario, anzi è una dichiarazione esplicita di subalternità sia al maschile che allo Stato poiché si chiede alla controparte riconoscimento della propria esistenza. Una modalità di lotta interclassista, come è lo sciopero delle donne, ha dei connotati profondamente reazionari e neoliberisti ed incentiva la svendita delle donne al potere. È la spoliticizzazione delle lotte che il neoliberismo propugna da molti anni, in tutti gli ambiti, per cui la protesta e la ribellione devono perdere i connotati di classe…..”
Sono due visioni opposte, poiché Nonunadimeno invita “a un supporto mutualistico allo sciopero delle donne da parte degli altri lavoratori, delle reti relazionali e sociali, di chi assume come prioritaria questa lotta. Vogliamo trovare soluzione condivise e collettive”.
Questa ricetta credo sia la prima ragione del grande successo della proposta di Nonunadimeno.
Palese è la contrapposizione tra questo Stato e la visione di una società trasformata, finalmente la realizzazione della società di uguali. Questa è tuttavia l’aspirazione comune delle due visioni.
E qui entra in ballo la scuola. CPS e Autoconvocati hanno dato subito la loro adesione allo sciopero delle donne, ancora prima del convegno di Bologna. “Riteniamo fondamentale il ruolo della scuola di ogni ordine e grado nel contrasto alla violenza di genere, sia attraverso un’educazione alle differenze che metta in crisi stereotipi di una cultura ancora sessista e patriarcale, sia come luogo in cui riconoscere i segni della violenza subita e/o esercitata.”(CPS di Roma).
La scuola parteciperà allo sciopero secondo queste modalità. Non sarà una presenza per rilanciare solo proteste e istanze specifiche che non potrebbero avere in questa sede la dovuta visibilità (l’avranno nello sciopero indetto dai Comitati di base, ma -ci si augura- non nello stesso mese di marzo per non imporre un eccessivo onere economico alle insegnanti).
Sarà una partecipazione in difesa della libertà di insegnamento, sarà la manifestazione visibile del contributo indispensabile che solo il diritto allo studio per tutte e tutti, effettivamente garantito e realizzato dalla scuola della Repubblica, potrà formare cittadini e cittadine in grado di dar vita a quella società “radicalmente trasformata” fondata sulla giustizia sociale e non più sul privilegio di pochi. (Lacittàfutura)