Unite sulla violenza sessuale nei conflitti armati – L’indignazione dell’Osservatorio interreligioso sulla violenza contro le donne sulle reticenze della risoluzione ONU
La risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti armati
Come donne dell’Osservatorio interreligioso sulle violenza contro le donne esprimiamo la nostra indignazione per le reticenze della risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti armati ( n. 2.467 del 23 aprile 2019).
Riconosciamo che la condanna della violenza è assai articolata nel testo; esso infatti raccomanda alle comunità tutte, incluse quelle religiose, di svolgere un ruolo più attivo nella difesa contro la violenza sessuale nei conflitti, per evitare la marginalizzazione e la stigmatizzazione delle sopravissute e dei loro familiari, e di impegnarsi per assisterle al fine di una loro reintegrazione sociale ed economica. Inoltre il documento riconosce l’importanza di sostenere e promuovere organizzazioni di donne, guide religiose e leaders di comunità, per uno spostamento dello stigma delle violenze sessuali dalla figura della vittima a quella del violentatore.
Ma la Risoluzione ci delude e ci offende comunque per la sua reticenza rispetto al tema della salute sessuale e riproduttiva delle donne violate; per evitare un fallimento totale dell’intesa, è stata accolta la linea voluta da D. Trump, secondo il quale tale riferimento era un via-libera all’aborto e le donne stuprate in guerra non hanno diritto ad abortire. Notiamo per inciso che dal testo è stata stralciata l’istituzione di un meccanismo formale per monitorare e segnalare le atrocità compiute in guerra, cui si sono opposti USA, Russia e Cina, tre fra le nazioni più potenti del mondo.
«Nonostante numerosi sforzi- ha affermato il segretario generale Guterres- la violenza sessuale continua ad essere una caratteristica orribile dei conflitti in tutto il mondo», ed «è usata deliberatamente come arma di guerra». «Dobbiamo riconoscere che lo stupro in guerra colpisce in larga misura le donne perché è collegato alla questione della discriminazione di genere», ha proseguito.
Nonostante ciò, il veto posto dagli USA ha negato la dignità umana e il rispetto – e come donne di fede diciamo anche la misericordia – per le donne che sono orrendamente offese e violate. Lo stupro di guerra ha una lunga storia nelle culture patriarcali; ha molti significati, tra cui quello di umiliare il paese nemico e consolidare il patto omofobico criminale tra gli aggressori. È atto brutale, troppo spesso vissuto nel silenzio e nella vergogna della vittima; un atto di una crudeltà feroce, le cui conseguenze laceranti sotto il profilo della integrità della persona sono gravissime. Se per di più la donna è ferita anche per l’umiliazione di essere stata resa gravida dall’aggressore rapace, allora ad una vessazione si aggiunge un’altra vessazione. È DISUMANO imporle tale “pesantezza”, costringerla ad ospitare nelle sue viscere la presenza di un feto che non può che essere segno di quella sventura immane. Ognuna poi sarà libera di scegliere del suo destino, ma appunto: avrà la facoltà di scegliere lei. E il sostegno non le deve mancare qualunque sia la sua scelta. Facendo nostra le parole della giurista Paola Di Nicola, e parafrasandole, affermiamo che ciò che è successo all’ONU è una gravissima lesione dei diritti di tutte
le donne nel mondo. Non avere scritto espressamente che dopo uno stupro di guerra una donna abbia diritto ad avere una tutela sanitaria e la possibilità legale di abortire è intollerabile. Tutti/e dobbiamo poi vigilare su tali leggi: sia al processo di Norimberga sia a quello di Tokio, nonostante lo stupro fosse stato già previsto come reato, esso non venne perseguito; non sempre infatti è sufficiente che ci siano leggi, ma è necessario che ci sia anche un contesto culturale in grado di recepirle e applicarle.