Vale più la forza simbolica che vede una donna raggiungere posizioni di potere o la concretezza del suo agire politico indirizzato a scelte conservatrici ?
Vi segnalo un articolo uscito su Micromega di Maria Concetta Tringali
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La circostanza che per la prima volta nella storia della Repubblica non sia un uomo ad assumere le funzioni di presidente del Senato ha innescato l’inevitabile: la retorica dello storico passo in avanti, compiuto verso la parità e la simmetria.Maria Elisabetta Alberti Casellati è oggi la seconda carica dello Stato, quella stessa che, per intenderci, sostituisce il presidente della Repubblica in caso di impedimento o malattia. Accadde nel 1964, per esempio, con Merzagora che fece da supplente a Segni, colpito da trombosi.
Sabato scorso, dopo un venerdì di fumate nere, la scelta è caduta su di lei. Scalzato Paolo Romani, superata l’indicazione di Anna Maria Bernini che nella giornata di venerdì aveva fatto temere lo strappo definitivo di Salvini, tutti a brindare alla nomina della Casellati. Ma possiamo davvero dirci soddisfatte? Le donne e, tra tutte le donne penso proprio alle femministe, devono salutare con scroscianti applausi il nuovo scenario politico che si è appena delineato? O non è forse più opportuno, prima di festeggiare in maniera acritica, entrare nel merito e domandarsi chi è la persona sul cui nome si sono trovate quelle convergenze necessarie a mettere d’accordo centrodestra, destra e pentastellati?
Chiedersi chi sia Maria Elisabetta Alberti Casellati, significa indagare su quale sia la sua storia politica oltre che professionale e umana. Laureata in giurisprudenza e in diritto canonico nella Pontificia Università Lateranense, ricercatrice, avvocata specializzata nelle cause di nullità matrimoniale presso la Sacra Rota. Questo, il profilo professionale. Ma Casellati ha anche una lunga militanza politica. Sostenitrice di Forza Italia dalla primissima ora è, come dire, una fedelissima di Berlusconi. Al di fuori però degli slogan o dalle mere classificazioni, andiamo sulle tracce delle decisioni e delle affermazioni rese quando ancora Casellati non era al vertice del Senato. Ad esempio sulla vicenda Ruby. È infatti sui giornali e i tg dell’epoca la marcia compiuta davanti al palazzo del Tribunale di Milano, insieme a un centinaio di altri parlamentari del Popolo delle Libertà. Lo scopo era quello di contestare che si tenesse quel giudizio nei confronti del Cavaliere. Un avvocato in marcia contro la celebrazione di un processo è già un’anomalia o almeno, in un paese normale, dovrebbe esserlo.
Poi. Del marzo 2013 è il disegno di legge n. 197. Il documento si intitola Modifica al codice civile in materia di disciplina del patto di convivenza. Dal testo, che nasce dall’iniziativa tra gli altri proprio della senatrice Casellati, viene fuori l’idea mutuata da una sentenza della Consulta, datata 1998. Il principio richiamato è quello secondo cui la convivenza more uxorio «rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio: da ciò deriva che l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti».
Non può sfuggire come quel progetto si ponga al di fuori dall’idea laica e dei diritti, suggerita dall’Europa, che avrebbe voluto piuttosto il riconoscimento dei matrimoni tra due persone di qualunque genere, nonché quello delle unioni civili, quale alternativa per tutti coloro che avrebbero scelto invece la convivenza. Non è peregrino pensare che se la legge sulle unioni civili che ne seguì non fu il provvedimento che ci si aspettava, ciò in molta parte è dovuto al freno innescato dalle anime più conservatrici, confessionali e cattoliche rappresentate in parlamento ad esempio dalla senatrice Casellati. E nelle sue stesse parole, quelle posizioni si chiariscono del tutto: “La famiglia non è un concetto estensibile. Lo Stato non può equiparare matrimonio e unioni civili, né far crescere un minore in una coppia che non sia famiglia. Le diversità vanno tutelate ma non possono diventare identità, se identità non sono”. Il pericolo è incombente e, citando il papa, Casellati dichiara: “Non si può fare confusione. Ogni omologazione sarebbe un’improvvida sovrapposizione e un offuscamento di modelli non sovrapponibili”.
Continuando nella disamina dell’attività parlamentare della prima donna presidente del Senato della Repubblica, succede ad esempio che ci si imbatte nel disegno di legge n. 177 del 15 marzo 2013. Questa volta il tema è quello del dibattito sorto intorno alla vicenda di Eluana Englaro. Ma siamo in un momento storico di poco successivo. Le posizioni su cui una parte del paese si arrocca sono le stesse tradotte da Casellati in questo disegno di legge. “Il testo vuole garantire il primario diritto all’alimentazione e all’idratazione in base ad un fondamentale principio di precauzione. (…) Il presente provvedimento corrisponde sostanzialmente a quello del disegno di legge che era stato varato dal Governo Berlusconi, con lo scopo anche di interrompere il processo di accompagnamento a morte di Eluana Englaro. La sua riproposizione nella nuova legislatura corrisponde ad una ipotesi di intervento minimo del legislatore sulla regolazione della tutela della vita nonostante i due rami del Parlamento abbiano approvato due testi ben più complessi, comprensivi delle dichiarazioni anticipate di trattamento”. Il disegno si compone di un solo articolo e recita, secco: “L’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi”.
E questo è quanto, si potrebbe dire. Invece no, c’è dell’altro. Sempre a firma della neopresidente – in direzione ostinata e contraria a quella delle più importanti rivendicazioni dei diritti delle donne – si rintraccia una proposta di legge che mira alla abolizione della 194 e alla cancellazione dal nostro sistema della avversatissima legge sull’aborto. Non mancano poi sue prese di posizione contro la pillola abortiva Ru486, definita “un gravissimo errore, che strizza l’occhio alla cultura della morte”. Ma questo non dovrebbe sorprenderci. Basta andare ancora più a ritroso per recuperare della senatrice Casellati, in tema di fecondazione assistita, delle affermazioni nettissime, già nel 2003.
Una dichiarazione di voto che sfodera princìpi e convinzioni inflessibili, in favore di una legge che ammette solo la fecondazione omologa “perché si ispira al prevalente interesse del nascituro, che non va mai sacrificato o limitato sull’altare della scienza o subordinato all’egoismo aberrante di chi pretende di avere un figlio a tutti i costi”. Seguono alcune precisazioni, difesa a oltranza di quanto strenuamente sostenuto: “Non si dica che è una visione retrograda, barbara, che costituisce un tuffo nel passato, che non tiene conto dell’evoluzione della scienza. Noi riteniamo che lo scienziato debba essere sempre un uomo di cultura, ma che debba inserire la propria conoscenza, la propria ricerca, la scienza stessa, in una visione filosofica ed etico-sociale. Questo significa che la scienza non è mai fine a se stessa – continua – ma deve perseguire obiettivi compatibili con i principi etici che la società continua ad esprimere e che le tecnologie non hanno alterato. Questo è proprio di uno Stato laico e non di uno Stato etico. Noi riteniamo che non ci sia progresso ma che ci sia regressione, imbarbarimento, quando le tecnologie determinano danni psicosociali che sono connessi al venire meno dell’identità parentale genetica del nascituro. È il caso della fecondazione eterologa che determina un’inaccettabile dissociazione tra filiazione sociale e filiazione biologica, una frattura tra parentela genetica, parentela gestazionale e responsabilità educativa, con danni psicologici inevitabili e irreparabili sul nascituro. Né si dica che il concetto di genitorialità oggi sta evolvendo verso nuovi orizzonti perché gli orizzonti dei genitori sono diversi da quelli del bambino, specie se si considera che la coppia oggi è sempre più precaria e quindi abbisogna di scelte meditate e per così dire ortodosse.”
In quelle dichiarazioni è fotografata, in maniera nitida, la visione di Casellati: “Il principio del bene del nascituro è la ratio che è stata affermata anche dal punto di vista della tutela della vita embrionale. Riteniamo che l’embrione sia persona e come tale vada tutelato fin dall’istante del suo concepimento, sia esso naturale, sia frutto di tecniche di procreazione assistita. Proprio perché l’embrione è vita, è persona, siamo contrari alla sperimentazione reimpianto”. Tanto estrema la sua professione di fede, da indurre altri dello stesso gruppo a una dissociazione che arriva secca nell’intervento di Malan (Fi), il quale precisa di non far proprio “il convincimento, categoricamente manifestato nell’intervento svolto dalla senatrice Alberti Casellati a nome del suo Gruppo, circa la sussistenza della vita fin dalla fase embrionale”.
Inevitabili le contestazioni dei comunisti. Rifondazione interviene sulla “esaltazione sacrale dei diritti dell’embrione, considerato dal disegno di legge soggetto autonomo rispetto alla donna che lo porta in grembo, i cui diritti sono quindi disprezzati in nome di una visione teologica fondamentalista e di un modello familistico patriarcale e superato, o come la negazione del diritto alla procreazione per tante coppie che per ragioni economiche non potranno recarsi all’estero e saranno magari costrette alla clandestinità, come ai tempi delle mammane”; i Verdi, a proposito di quel testo, parlano di sconfitta dello Stato laico.
Per amore di verità, va riferito altresì di una Casellati che – sul disegno di legge delega per l’istituzione presso i tribunali e le corti d’appello delle sezioni specializzate in materia di persone e di famiglia – compare nel 2014 tra i firmatari di quella riforma organica della magistratura che non ha ancora trovato spazio nella nostra legislatura e che sarebbe passaggio necessario per una più efficace trattazione della crisi di coppia, troppo spesso innesco di violenza e femminicidi.
Ma ad ogni modo, il quadro è quello tracciato. E se è un dato di fatto che la Alberti Casellati sia oggi la prima donna presidente del Senato, che questa reggenza si dimostrerà in linea con la lotta per i diritti delle donne non è cosa automatica. Gioire e brindare a priori, dunque, non è detto che sia utile o che preannunci vittorie.
Il pezzo è uscito anche sul blog di Cinzia Sciuto Animabella
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