VENEZIA – Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile: Charlotte Rampling per Hannahn
Articolo di Cristina Battocletti
La mia Charlotte Rampling
Anche “Hannah”, impersonata da un’intensa Charlotte Rampling, di Andrea Pallaoro, parla di abusi sull’infanzia e di presunta pedofilia senza mai far vedere l’oggetto delle violenze. Si tratta di congetture perché nel film di Pallaoro molto è frutto di una supposizione. La sceneggiatura, tutta in levare e in sottrazione, rivela pochissimi indizi che lasciano lo spettatore insicuro delle proprie cognizioni fino all’ultimo. Si intuisce un grandissimo dolore e la commissione di un reato, una lacerazione famigliare non sanabile che poggia tutta sulle spalle della brava Rampling. Hannah fa la domestica in una casa altoborghese in Francia e tiene in qualche modo compagnia a un bambino non vedente, che sembra circondato da benessere e molta solitudine. È su di lui che sfoga la sua tenerezza, non potendo stare con i nipoti perché la colpa caduta sul marito (André Wilms), che accompagna in prigione, è innominabile e comporta anche una sua responsabilità.
Questa sua implicazione negli eventi non permette a Hannah di ribellarsi al suo dolore e nemmeno di essere schiacciata da esso, di suicidarsi, per esempio. Il figlio non la vuole più vedere, la vicina di casa batte sulla porta urlando: «Mio figlio si fa la pipì a letto» e invoca un incontro da madre a madre. Sono queste situazioni che non hanno traduzioni in parole, sembra dirci Pallaoro, che restituiscono una disperazione dignitosa che ricorda certe situazioni di “Amour” di Michael Haneke. Anche le lunghissime inquadrature su Rampling, che in un primo tempo sembrano eccessive nella loro fissità e per l’esiguità dell’azione che inquadrano, sono giustificate dallo sviluppo successivo della trama e rendono bene l’isolamento di cui è vittima la protagonista; unica sbavatura la scena in cui ad Hannah viene revocato senza spiegazione l’abbonamento alla piscina. Il poco credibile escamotage aiuta a sottolineare le difficoltà di una persona cui viene tolto ogni piacere della vita. Questa croce, questa colpa da portare senza possibilità di riscatto riconduce ancora a Haneke e al luteranesimo senza sconti di “Il nastro bianco”.
Pallaoro, che è nato a Trento nel 1982 ed è andato presto a perfezionarsi in California, vive tra New York e Los Angeles. “Hannah” è il suo secondo lungometraggio, dopo “Medeas” che indaga, come promette il titolo, su una storia familiare ambientata nell’America rurale. “Hannah” è il primo promettente capitolo di una trilogia incentrata sulle donne.