Articolo di  Mariuccia Ciotta  su AlfaBeta2  —

Il cinema festeggia nella sarabanda demonica di Suspiria la sua liberazione, narrazione ed estetica frantumate, mentre avanza il format tv, vero e simulato con film estenuanti dall’impianto seriale. Quindi spazio alla Mostra di Venezia per la “telenovela” più pregiata di tutte, tratta dal fenomeno editoriale firmato Elena Ferrante, L’amica geniale, serie Hbo-Rai, produzione Fandango-Wilside, dal 30 ottobre su Rai1.

Due le puntate presentate con le protagoniste bambine sui banchi di scuola anni ’50, primo volume della quadrilogia sulla lunga storia d’amicizia di Elena, detta Lenù, e Lila, compagne delle elementari circondate dalla Napoli misera e rancorosa del dopoguerra. Una è bionda, timida, delicata, Elena (Elisa Del Genio), l’altra bruna, pelle scura, selvatica, Lila (Ludovica Nasti), due mini-attrici formidabili con la macchina da presa incollata addosso per i 50′ di ogni episodio, voce-off di Alba Rohrwacher.

Saverio Costanzo, regista dalla sensibilità speciale (La solitudine dei numeri primi, Hungry Hearts) sceglie di sottrarre il più possibile alla prosa incalzante dell’autrice e crea un’atmosfera sospesa, un immobile campo d’azione dove i fatti violenti e concitati restano a margine. Fantasmi fluttuanti, le due bambine giocano in un cortile quadrato che assiste a pestaggi camorristi, risse tra donne gelose, accoltellamenti, ma sempre in sottofondo. Un rione di Napoli devitalizzato, costruito in studio, vuoto, grigio, un po’ tela di De Chirico. Forse la regia di Costanzo è condizionata dalle esigenze televisive, dal set di 20mila metri quadrati, 14 edifici, una chiesa e un tunnel compresi, ma l’effetto è sorprendente, lontano dalla liturgia pop-folk del genere. La relazione tra le due amiche, che si dipanerà nelle 32 puntate previste, sembra rivolgersi non tanto alla saga sentimental-famigliare quanto verso il romanzo di formazione in stile De Amicis e del suo Cuore, versione Luigi Comencini, miniserie Rai del 1984. Lo stesso profumo d’inchiostro, i grembiuli e i fiocchi, la lavagna, il “cattivo”, la prima della classe, la maestra dalla penna rossa, la scoperta di sé… Avvincenti le prime due puntate di Lenù e Lila, ribelli a madri e padri snaturati, riflesse in Piccole donne, il romanzo che leggono e rileggono. Dopo, però, temibilmente, Piccole donne crescono… Battuta memorabile, “Voglio scrivere un libro per far soldi”.

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Di segno opposto alla filosofia della serie, un’opera sul rigenerare le immagini mancanti, quella di Angela Ricci-Lucchi e Yervant Gianikian, che dedica Il diario di Angela – Noi due cineasti (fuori concorso) alla compagna scomparsa nel febbraio scorso, regista e pittrice, co-autrice di film found foutage come Su tutte le vette e pace e Dal Polo all’equatore. Yervant sfoglia il diario di Angela, fitto di parole ordinate, intrecciato a piccoli schizzi di cose viste, paesaggi, facce, insetti, e ricorda i viaggi alla ricerca di rari materiali d’archivio su e giù per il mondo. Dall’accogliente paese d’origine, l’Armenia, a una Russia sull’orlo della caduta (1989-1990), e quindi maldisposta verso i due cineasti, se non fosse per un simpatico gatto che fa saltar fuori preziose bobine. I tour negli Stati Uniti con i “Film profumati” fine ani ’70, la Turchia e l’Iran con le sue donne-corvo, insaccate nelle vesti nere, viaggi spericolati e pericolosi a volte ma sempre pieni di scoperte. E anche di compagnie sorprendenti, Walter Chiari, fonte di “miracoli” linguistici. Angela dipinge, inventa, cucina piatti come quadri, raccoglie pomodori e racconta di quando Yervant andò a fuoco e rischiò di morire, salvato da un prato di salvia e da lei, l’amata, che nel suo diario lo disegnò ricoperto di garze, quasi una striscia a fumetti, allegra.

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La cartolina di Monrovia, cielo azzurro, campi gialli di mais, casette ridenti, cespugli di fiori, sembra disegnata da Norman Rockwell, ma c’è Frederick Wiseman dietro la macchina da presa, il documentarista americano che vede al di là delle immagini e affonda lo sguardo nella realtà, come in Titicut Follies, Art Berkeley, Ex Libris.

Nell’obiettivo la cittadina dell’Indiana, lo stato della Corn Belt, la fascia agricola dove il granturco scorre a fiumi, Monrovia, poco più di mille abitanti, disposti in fila lungo la strada che attraversa il paese. La chiesa, la bottega di tattoo, il barbiere, il supermercato, la palestra…  La Terra degli indiani è composta dal 90% di bianchi e dello 0,63% di nativi, mentre i neri sono al 9,42% e una di loro è l’unica a farsi notare, la voce da usignolo, bellissima mentre canta a un matrimonio con la sposa che ben rappresenta la corporatura oversize del posto.

Wiseman, il perfido innocente, curiosa nelle stalle pullulanti di maiali rosa e poi ci porta nelle cucine esalanti odore di “pepperoni” e salsicce destinati a imbottire rotoli di pasta fritta, hamburger di carne scura, un impasto di macinato e polvere di aglio. Dal parrucchiere le matrone cercano invano di migliore l’aspetto, gli omoni lo stesso con il ricorso a birra e fucili, venduti per ammazzare i cervi che rosicchiano l’insalata, e fa gola anche un pistolone con la canna lunghissima. I discorsi degli uomini si concentrano sui modelli di auto. E in caso di noia o di infelicità, preti e predicatori informano, durante cerimonie estenuanti di nozze e funerali, che dio ha destinato a Monrovia una dimora speciale nell’alto dei cieli. Non c’è da preoccuparsi.

Wiseman si infila dovunque, come al solito, anche nella seduta del consiglio comune che discute su una panchina – o meglio due? – da collocare davanti alla biblioteca. E poi dentro una cerimonia massonica per il conferimento della medaglia d’oro a un vecchietto incerto sulle gambe, tutto in una stanza spoglia con grandi declamazioni di fedeltà alla Loggia. Ed ecco spuntare Twin Peaks, ecco la donna del ceppo, l’indiano stralunato in cerca delle sue origini, lo sceriffo, Dale Cooper… David Lynch non si è inventato niente, è solo passato da Monrovia.

Ma questo Midwest non è miserabile, non è sprofondato nell’apatia e nella solitudine della campagna, Monrovia è florida e si vede dalle trebbiatrici splendenti, i mega-trattori, le macchine per innaffiare i campi, per imballare il fieno e per ogni cosa… è un’ alacre fabbrica che sforna prodotti seriali, dalle polpette ai quintali di chicchi dorati. Eppure la cosa pubblica è a zero, oltre alle panchine, mancano gli idranti e un incendio potrebbe, dice qualcuno, mandare a fuoco l’intero paese, che non gradisce un aumento di popolazione. Non c’è un mall né una piazza né un parco. C’è il supermercato, però, che espone scatole di cibo, buste di nachos e patate fritte, pareti di dolciumi e litri di bevande colorate. Il serbatoio di voti trumpisti è gonfio di calorie e ci ricorda altri territori nostrani. Wiseman con leggerezza in 143′ ci mostra qual è il problema di questi obesi, vuoti individualisti. Monrovia è senz’anima.

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In concorso, Vox Lux di Brady Corbet, nato in Arizona nel 1988, ex attore bambino, regista premiato a Venezia nella sezioni Orizzonti per L’infanzia di un capo, al suo secondo lungometraggio. È quasi un altro È nata una stella, ovvero la storia di una star della musica pop, interpretata da Natalie Portman, calata nelle tute luccicanti di Sia, la vera diva da milioni di dischi venduti, che ha composto le canzoni per il film. Era innocente Celeste prima che un compagno di scuola non facesse una strage di studenti e la ferisse alla spalla e al collo. Prima di fare il patto con il diavolo: la vita e il successo in cambio della sua integrità. Metamorfosi della purissima Portman che si dimena in performance da teatro di periferia, in duetto con un Jude Law, manager in golfino beige e passa tutto il repertorio della strafatta alcolizzata. Sembra la biografia di Lindsay Lohan passata bambina dal disneyano Parent Trap (il remake) all’arresto per guida in stato di ubriachezza e tossica dissoluzione finale.

L’amica geniale e seriale -Regia: Saverio Costanzo

Il Diario di Angela- Regia: Yervant Ricci Lucchi

Monrovia, Indiana (fuori concorso) Regia: Frederick Wiseman

Vox Lux (in concorso) Regia: Brady Corbet