Venti di guerra… Riflessioni
L’affermarsi dell’uso della guerra come strategia “normale” della politica e delle relazioni internazionali inquieta non poco: è diventato il nostro venefico “pane quotidiano”, che accompagna, coi telegiornali, tutti i nostri pasti, dalla colazione alla cena, in una liturgia tutt’altro che cristiana, soprattutto in questi ultimissimi giorni. All’orizzonte non si profila soltanto qualcosa che la civiltà europea pensava di avere liquidato insieme agli orrori della seconda guerra mondiale; c’è in ballo (comunque vada) anche il riproporsi di contesti, linguaggi e comportamenti -concreti e simbolici – carichi di potenziali conseguenze negative a lunga, ed ampia, gittata. In certa “logica” del conflitto amico/nemico si codificano non soltanto gli schieramenti nello scenario dei conflitti armati, ma si acuiscono, fino all’estrema barbarie intellettuale e comportamentale, anche certe dinamiche sociali (peraltro già presenti) del tipo “se non sei con noi sei contro di noi”, dando la stura alla temibile dicotomia della contrapposizione “noi/altri”, che fino a un po’ di tempo fa era appannaggio delle tifoserie calcistiche. Solo che adesso, in campo non ci sono palloni ma vite di popoli.
Sarebbe utile riflettere sul tema della violenza e della pratica del conflitto intese come “normali”…. E’ un tema che riguarda i nodi del potere, le ragioni del potere, la gestione del potere, il che, tradotto in soldoni (è il caso di dirlo), equivale alle ragioni dei potentati economici, più o meno “trasfigurate” da machiavelliche ragion di Stato….
Non si può non ricordare la Risoluzione ONU 1325 dell’ottobre 2000, che sancisce il riconoscimento della funzione specifica delle donne nei processi di promozione della pace e di eliminazione di ogni forma di violenza. Questa Risoluzione è stata recepita dal Parlamento europeo, che ha emanato una sua ulteriore Risoluzione di cui è stata ispiratrice la svedese Maj Brittheorin.
Su questo terreno, e per rafforzare l’attività di lobbing di genere, in Germania è nato da tempo il German Women’s Security Council, un organismo di pacifiste, che mira all’integrazione della prospettiva di genere nella politica estera del governo nazionale. Anni fa, nel 2004, anche la sezione italiana della Wilpf, Women international league for peace and freedom, ha lanciato la proposta della creazione di un Consiglio di sicurezza delle donne italiane, per concretizzare quanto sancito dalla “1325”, e per una politica che assuma posizione chiara sul fenomeno della riduzione delle persone a semplice corporeità numerica. Alle donne le “ragioni” della violenza e del dominio sfuggono. Le donne sono pacifiste nell’anima, sono per la vita, perché danno la vita. E siccome hanno pure imparato la storia dei popoli, intuiscono gli arcana imperii, i relativi garbugli carsici e anche certo “latinorum” ad usum delphini.
E’ sotto gli occhi di tutti la gravità di certo assassinio, visto l’enorme livello di potenziali conseguenze che interessano immense aree del pianeta, e le popolazioni, militari e civili.
Ieri, Josep Borrell, rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha invitato a Bruxelles il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, sollecitandolo a evitare l’escalation delle ostilità e a preservare l’accordo sul nucleare. Il giorno prima, Teheran aveva dichiarato che non rispetterà più i limiti sull’arricchimento dell’uranio: riprenderà a ottemperare agli impegni sanciti nell’accordo soltanto se gli Stati Uniti elimineranno le sanzioni. Ci sarebbero, quindi, (signori della guerra ed elezioni presidenziali made in USA, permettendo) possibilità per sanare la questione in termini diplomatici? C’è chi dice che, ormai, la pace è diventata araba fenice, e che il Medio Oriente (e non solo) infuocherà come non mai. Ricordiamo che anni fa, proprio un’iraniana, il Nobel Chirin Ebadi, di fronte alla Commissione per gli Affari Esteri e alla Commissione Donne del Parlamento europeo, ha affermato con vigore che ogni forma di terrorismo si vince con la diplomazia e rimuovendo le cause che lo producono. Proviamo a credere che ciò sia possibile, con l’ottimismo della volontà, e …. dimenticando il resto.