Ero a Vicenza ieri, era importante che ci fossi, io una qualunque.
Ci ha fatto festa il sole.
Mentre camminavamo, volavano le cifre: siamo centomila…ma che dici di
più.
Non avevo mai vista una città marciare così, insieme.
A Genova eravamo andati in tanti e non solo dall’Italia, le
manifestazioni che seguirono furono dal 2001 enormi, ma era sempre un
popolo, un movimento di persone che si spostava.Questa volta il popolo non è andato via dalla città, è rimasto a
difendere la sua vita, la sua terra, uscendo per la strada, rendendosi
visibile a chi è cieco, ci ha chiesto di esserci.

Siamo andati, sono andata con un treno speciale da Roma, e siamo arrivati
alle {{8 di mattina}}, abbiamo avuto tutto il tempo per vedere come nasce un
corteo, per capire l’umore e l’onda che si stava formando.

{{Alle 12}} ero alla testa, insieme ad un {{enorme spezzone di donne}}, quelle
che da mesi si alternano ai presidi, come se non avessero altro da fare
nella vita.
_ Poi mi sono fermata per vedere, avevo gli occhi pieni di folla, sono
passate quasi due ore, ogni tanto mi inoltravo, non sono mai riuscita a
vedere la fine, ho saputo che in fondo c’era la Cgil ed i partiti.

{{Chiunque poteva capire le ragioni del dissenso}}: i cartelli e gli
striscioni, non erano stati riesumati dalle cantine, erano fatti in
casa, in dialetto, in italiano, a rima baciata, in inglese,
fantasiosi-cantati-sofferti-gridati-sferzanti-veri.

Quando sono tornata alla stazione {{verso le 19}} a Vicenza, ho pensato solo
allora che non avevo visto la polizia, se non quei folli costosissimi
elicotteri sopra la testa. Ho ripreso il treno con compagni sconosciuti
e conosciuti. Il tono è stato sommesso al ritorno, non solo per la
stanchezza, tutti si chiedevano cosa fare, come proseguire, c’erano
tutte le “odiose” figure lì dentro i vagoni: i sinistri i cani
sciolti i tesserati gli antagonisti i cobas i centri sociali i
giovanissimi e gli anziani, qualche cane e qualche bambino, madri e
padri senza figli e figli senza padri nè madri, le tonte come me che
credono prezioso far numero con il proprio corpo. Siamo arrivati alle 2
a Roma.

{{Ho aperto poco fa il pc e ho visto quì e là brutti commenti}}.

Si riportano le frasi dei {{signori della guerra}}, che così voglio
cominciare da oggi a chiamare, anche quelli di casa nostra.
Uno per tutti {{mi colpisce, il ringraziamento di Amato alle forze
dell’ordine}}. Lui ringrazia loro per l’ordine.
Quale ordine? Questa linda parola ritorna sulla bocca di Prodi, quando
prende a dirsi contento che la manifestazione era ordinata e che nulla
cambia.

Lo strano poi è che questa parola {ordine} diventa anche immagine
forte e reale per ieri, dove cittadini di generi età professioni idee
provenienze assai diverse hanno convissuto tranquillamente, in un unico
tempo e spazio. Hanno camminato con ragione e forza, lottano,
rifiutano l’arroganza e il sopruso, la violenza e il non rispetto dei
patti, che non ha cittadinanze a quanto pare.

{{Non potremmo essere nei prossimi tempi a Vicenza, loro i vicentini lo
sanno, dovranno resistere da soli}}, ieri hanno detto centinaia di volte
grazie a quelli che erano là con loro e c’erano davvero tutti quelli
che potevano.

{{Siamo tornati a casa}}, ci sottoporremo a sfide, sfido chi non ha
problemi tra le sue quattro mura, nella sua città o paese, a sud nord e
nelle isole; dobbiamo farci sempre più consapevoli e respingere e
resistere come ieri a Vicenza, insieme.

Oggi piove un po’ dovunque, mi sto riposando, ho navigato tra foto
bellissime, ho letto commenti sui commenti dei signori più o meno
importanti della guerra, ho letto i commenti sui commenti di chi forse
non c’è stato a Vicenza.

Quì nel viterbese, molti carnevali sono stati rimandati per la pioggia,
a noi ci dicono che ieri ci siamo divertiti, e ci dovrebbe bastare quel
sabato di festa strapaesana, quella giornata così poco {{politica}} per
lor signori, che invece conoscono bene i tempi della mediazione e degli
affari, le strategie del potere.

Per concludere questo mio diarietto senza pretese, racconto anche che tra
la folla ho visto ieri
tre ragazze che tenevano con le mani un pezzo di stoffa con sù scritto
{“la vostra pace è il nostro incubo”}.

Che vi devo dire, mi sono sentita all’improvviso addosso una malinconia
che forse non se ne è ancora andata per niente.

Mi sono messa a scrivere quindi, ripensando all’incubo delle tre
ragazze, al nostro incubo, passato presente e futuro, a chi ci tratta
come merce da sempre, come servi, a chi ci blandisce prima di un voto, a
chi ci sputa addosso dopo il voto, a chi perseguitato perchè non ha
votato, a chi ci ricorda la parola pace e fa la guerra, seguendo un
copione logoro e logorante, dove variano solo le maschere e la musica.

E mi chiedo: {{sarebbe possibile immaginare che la nostra pace diventi il
loro incubo?}}