Violenza di genere: una agghacciante continuità
“Violenza contro le donne”: un pezzo di Zina Crocè, pubblicato nel 2010, sul quotidiano “CalabriaOra”, e che, purtroppo, potrebbe essere stato scritto oggi …Nel cosiddetto “secolo breve” l’unica grande rivoluzione che non ha causato spargimento di sangue è stata la “rivoluzione femminile”, quel movimento di emancipazione e di liberazione che ha determinato cambiamenti nelle relazioni familiari e lavorative, nelle norme, e soprattutto nel modo di percepire le identità ed i ruoli.
Oggi, però, a quella mancanza di violenza, a quella vittoria della ragione da cui quella “rivoluzione” è scaturita, si sta sostituendo, per un crudele paradosso della storia, una “reazione” violenta, di raccapricciante cadenza quotidiana: forse un fenomeno ritorsivo, punitivo di quello che le donne sono riuscite a conquistare.
Si tratta di una fenomeno inaudito che non ha connotazioni di classe, o di area geografica: “un dramma -come dice la ministro Barbara Pollastrini- che riguarda tutti i ceti sociali, avviene soprattutto in famiglia, e unisce, in modo sciagurato, Nord e Sud del paese e del mondo”.
Dello stesso avviso è l’ex ministro per le pari opportunità Anna Finocchiaro: “la violenza sulle donne è una tradizione di tutti i maschi del mondo, senza distinzione di confini geografici o religiosi. E’ uno scandalo che dura dalla notte dei tempi”. Ancor più mirata è l’analisi della senatrice calabrese Vittoria Franco, per la quale “all’origine della violenza sulle donne, fuori e dentro la famiglia, c’è la cultura patriarcale”.
E’ chiaro, quindi, che la violenza di genere costituisce una forma di inquietante continuità rispetto ad un’atavica abitudine radicata in uomini che considerano la donna alla stregua di un oggetto di cui disporre ad libitum. In questa ottica deformata, accade che certe forme maschili di prevaricazione siano anche considerate come naturali.
Questo succede lì dove certi atteggiamenti finiscono con l’assumere carattere di “normalità”, ovvero quando la violenza diventa parte integrante della quotidianità, familiare o lavorativa.
E ciò è dovuto, anche, al mantenersi di quei ruoli di sopportazione e di ciliciata rassegnazione che una secolare tradizione misogina ha collocato sulle spalle, e dentro l’anima, delle donne.
“Oggi, la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne”, ricorda Daniela Dioguardi, componente della commissione Affari sociali della Camera. Il problema, dunque, sta assumendo proporzioni tutt’altro che tollerabili: i telegiornali assomigliano sempre più a bollettini di guerra, tutti i Media sono diventati quotidiani testimoni di un conflitto di genere (a senso unico) che ormai non è più carsico.
Un conflitto che ribolle da secoli, rigurgita ed emerge periodicamente in vari modi, per esplodere con virulenza nei periodi di crisi economica, culturale e sociale. Risulta quindi inderogabile l’avvio di una riflessione pubblica nei luoghi della formazione, della politica e dell’informazione, per comprendere a fondo, affrontare e risolvere il fenomeno, o quantomeno, per arginarlo in modo fermo e decisivo.
E’ necessario inserire all’interno del “pacchetto sicurezza” efficaci forme di cultura della prevenzione, interventi a breve e lungo termine che incidano profondamente nel sociale. Bisogna interrogarsi sulle cause della violenza di genere evitando i sociologismi da talk show, prendere atto delle devastanti conseguenze della violenza, sia essa fisica o psicologica, e quindi trovare adeguate soluzioni, politiche e giuridiche.
E bisogna riconoscere il fenomeno – nelle sue varie modalità, più o meno grossolanamente percepibili- non come fatto eccezionale ma, purtroppo, come tessuto intrinseco, tutt’altro che logoro, di una parte della nostra società. Sarà dunque necessario, smantellare la cultura patriarcale che innerva i rapporti di disuguaglianza tra uomini e donne, “eliminare l’autorità maschile garantita dal patriarcato»(a ricordarlo è il Rapporto annuale dell’ONU sulla violenza contro le donne), senza dimenticare quella Raccomandazione europea, la 1552, che invita i governi ad introdurre nella loro legislazione l’equiparazione sessismo=razzismo.
Insomma, bisognerà continuare, uomini e donne, ad adoperarsi per costruire una società autenticamente fondata sul rispetto reciproco e sulla pari dignità tra uomo e donna. L’unico conflitto che bisognerà alimentare, sarà quello contro gli stereotipi, i pregiudizi, e le culture che sono complici della violenza e che narcotizzano ogni forma di coscienza civile.
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