Ci sarà un motivo per cui esistono espressioni gergali che indicano
situazioni universali, attraverso le quali se non tutta l’umanità almeno una
parte si riconosce e ne afferra immediatamente il senso.
Una di queste è spirito di caserma, o anche logica del branco.Non molto tempo fa le immagini che arrivavano alla mente quando si
nominavano queste due espressioni non comprendevano corpi femminili, se non
nella versione delle vittime, nello strazio dello stupro come
nell’umiliazione della battuta triviale, metalinguaggio tra uomini duri.

Si è parlato poi di ‘rivoluzione’ quando prima singole donne, e poi via via
gruppi di esse, hanno {{infranto con la loro presenza fisica i limiti sessisti
di istituzioni fondanti della nostra società:}} è successo per la prima donna
in polizia e poi per la prima nelle forze armate.

Nel momento in cui si infrange con la presenza fisica, con l’ingombro del
corpo un tabù che ha costruito il simbolico e le derivanti concrete leggi e
visioni della segregazione femminile di certo si compie un passo
importante.
Un passo importante e per questo pericoloso: laddove prima l’esclusione
immunizzava dall’assunzione di responsabilità, ora l’inclusione svela tutta
la possibile trappola dell’uguaglianza. Nel caso, per esempio, della
‘democratizzazione’ delle forze armate quando le loro porte si sono aperte
alle donne ho presagito il pericolo che poi si è materializzato nelle
immagini delle inquietanti, ( e non nuove alla storia), dominatrici di Abu
Graib: siccome gli uomini hanno fin qui gestito anche la violenza
istituzionale ora le donne devono essere le benvenute in questo sistema
dell’orrore, e si deve chiamare questo processo azione di pari opportunità?

{{Che dire}} della denuncia della volontaria italiana di origine africana che ha
subìto abusi da parte di colleghi uomini, e da una donna, quest’ultima in
particolare sembra accanitamente decisa a far pagare il rifiuto della
collega alla partecipazione a festini sessuali? {{Che dire}} del mobbing al
quale sarebbe stata sottoposta, fino alla negazione del trasferimento
chiesto per non essere più nello stesso posto dove stanno i colleghi ai
quali si è negata? {{Che dire }} del fatto che uno dei metodi per attuare il
mobbing fosse obbligare la collega musulmana ad assistere a celebrazioni
religiose cattoliche non gradite?

La nordamericana {{Barbara Ehrenreich}}, autrice di {La donna globale}, nel sito
femminista Awakened Women interviene così sulle torture perpetrate dalle
{{soldatesse nordamericane di Abu Graib}}:
“Un certo femminismo, quello che potremmo definire ingenuo, è morto in
quelle prigioni. Un femminismo che dipingeva gli uomini come eterni violenti
e le donne come eterne vittime, e che metteva la violenza sessuale come
elemento basilare nella piramide dell’ingiustizia, come se alla base della
guerra ci fosse lo stupro. In quella visione c’era una implicita
affermazione secondo la quale le donne sarebbero state superiori moralmente
agli uomini”.

Enorme emozione hanno creato le immagini di quelle donne (una minoranza
nelle prigioni delle torture, ma di loro sappiamo molto di più di quello che
si è detto dei loro colleghi); l’emozione, e l’orrore per quella banalità
del male che le foto proponevano hanno anche svelato come sia ottusamente
familiare la crudeltà, incarnata da donne giovani e prive di spessore,
figlie di un dio minore che negli Stati Uniti come da noi partorisce queste
persone vuote, specialmente nelle classi più economicamente deboli, nutrite
fisicamente nei fast food e simbolicamente di tv via cavo, che non possono
riconoscere più il bene e il male, il bello e il brutto, la vita e la morte,
e per questo vanno alla guerra come al bar.

Le foto hanno colpito il nostro immaginario di donne e di uomini sensibili
alla crescente perdita di compassione e vicinanza che avanza non solo nei
luoghi di guerra, ma anche in quelli di apparente pace, come le nostre
caserme, dove si mobbizzano le donne ( e gli uomini) forse più fragili e nei
commissariati, dove si pensa di poter avere rapporti sessuali con una
detenuta come ad una festa in casa propria.

Non credo sia morto alcun femminismo, con Abu Graib, il femminismo che è
scelta di prendere parola non come minoranza oppressa che si organizza su
questioni valide ma pur sempre minori, ma come maggioranza del genere umano
che afferma che ogni problema la riguarda. Va ricordato che {{il movimento
delle donne è giovanissimo eppure sta dando speranza, con la sua pratica
nonviolenta, a nuove generazioni di donne e uomini nel mondo}}. Un mondo nel
quale sono le immagini di violenza che vendono, (o quelle della mediocrità)
e che ci allontanano dalla complessità del reale, e non quelle del lavoro
paziente e duro che milioni di donne e uomini svolgono lontano dalle
telecamere. La brutalità esiste, va documentata per non essere dimenticata e
mai minimizzata, senza diventare l’immagine assoluta. Il lavoro di
giustizia, pace, compassione, liberazione esiste, è maggioritario, va
documentato per diventare storia, senso comune, forza collettiva, bellezza
del futuro.

Se ha ancora un senso, e in tempi tristi e angusti come i nostri ce l’ha,
tenere in vita {{la memoria storica e l’esercizio del pensiero critico}} allora
non si può accettare che una data significativa per almeno tre generazioni
di donne sia obliata e sommersa dalla volgarità commerciale che tutto
pervade. Se ha ancora un senso parlare di politica oltre gli incontri
oceanici e fuori dai salotti dell’elettrodomestico più abusato allora {{una
data come l’8 marzo va spiegata, narrata, vissuta come lo sono altre nella
storia della faticosa costruzione della democrazia umana.}}

L’8 marzo, per chi oggi ha vent’anni, è il giorno nel quale girano più
mimose, si fanno gli auguri alle donne senza saperne bene il motivo, e
fioccano gli spettacoli post pizza di striptease maschile. Per alcuni
milioni di esseri umani è, invece, ancora un giorno nel quale si rischia la
vita per l’affermazione della propria identità sessuata, per il diritto
alla dignità, alla libertà di espressione, di scelta, di autodeterminazione.

Gli integralismi religiosi, l’ostracismo sociale e politico, il
totalitarismo patriarcale di ogni segno e colore, alleato perenne
dell’ignoranza, intrappolano donne e bambine in gabbie con un unico fine
criminale: l’annientamento di metà della specie umana.
Forse non è ancora il caso di sputarci sopra, tutto sommato, al giallo
effimero del fiore della mimosa.