Wikigender, a ciascuno il suo?
Tra le novità dell’ultimo Otto marzo c’è la piattaforma Wikigender, uno strumento di cui l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE, formata da 30 paesi che condividono l’impegno per l’esistenza di governi democratici e per un’economia di mercato) ha scelto di dotarsi per migliorare la conoscenza e lo scambio di informazioni sui diritti di genere nel mondo, nel quadro di una più vasta indagine sull’evoluzione della società. Un progetto che i creatori di {Wikigender} non esitano a definire indispensabile e innovativo, grazie al suo funzionamento aperto, sul modello libero di {Wikipedia}, e al ruolo federatore nei confronti della moltitudine di banche dati esistenti.
Un giudizio lontano dal fare l’unanimità, specie per le reti di militanti impegnate da anni per fare della riduzione delle diseguaglianze tra uomini e donne la condizione indispensabile dello sviluppo sostenibile.
Claudy Vouhé, esperta in genere e sviluppo e co-fondatrice della piattaforma francese {Genre en Action,} ci mette a parte di alcune sue riserve. “Parto dal principio che ogni iniziativa capace di sostenere la parità tra i sessi è la benvenuta. E visto che un simile strumento ancora non esisteva, trovo pertinente la decisione di crearlo. Detto questo, dico anche che bisogna fare {{attenzione a non fare del ‘genere’ un gadget}}”.
“Da qualche tempo infatti – prosegue Claudy Vouhé – assistiamo ad una {{eccessiva tendenza alla creazione di strumenti legati alle nuove tecnologie da parte di istituzioni internazionali}}. Tutti vogliono avere il proprio strumento di lettura dell’esistente e ciò a detrimento di quelli esistenti e funzionanti, realizzati da organizzazioni militanti”.
Il problema è sapere se {Wikigender} sarà davvero in grado di migliorare l’accesso alla produzione e alla redistribuzione dell’informazione sulle tematiche di genere. Ma soprattutto preoccupa il tipo di informazione prodotta e le {chances} che essa provenga da una forma davvero partecipata.
Si teme soprattutto un effetto di ridondanza, di moltiplicazione di notizie superficiali che rischiano di dare solo l’illusione di una informazione completa, compromettendo l’efficacia di questi strumenti partecipativi e l’isolamento delle strutture già oggi operative e competenti: “Penso che nella fase di elaborazione del progetto l’OCSE avrebbe almeno potuto consultare {Genre en action} o un’altra rete che come la nostra si occupa di ‘genere e nuove tecnologie’, piuttosto che fare da sola. E poi, non è sempre l’informazione iniziale sul genere che manca, anche se è ancora necessario assicurare il suo costante aggiornamento, ma dei contenuti nuovi che emanino dalla base e la loro traduzione in azioni, in politiche. Così invece {{si rischia il riciclaggio, il copia-incolla, l’invadenza dei lavori accademici}}”.
Perché, se il concetto di gestione partecipata dell’informazione è attraente, la sua messa in pratica non è cosi realistica. Teoricamente, come ogni {wiki}, la nuova piattaforma permette a chiunque disponga di un computer e di una connessione internet di redigere nuovi articoli o contributi e di modificare quelli esistenti. “Per collaborare a un {wiki}, tuttavia, si deve saper leggere, scrivere, avere accesso ad un computer e sapersene servire, possedere una connessione accessibile, essere convinte/i di aver qualche cosa da dire, ecc. Le donne del Sud del mondo hanno tanto da dire, ma hanno messo insieme i mezzi per farlo, a parte le intellettuali e la militanti ‘connesse’? – si chiede Claudy Vouhé -. Per far sì che Wikigender sia uno strumento efficace di {bottom up} ci vogliono azioni di promozione, di accompagnamento e di formazione concrete. Bisognerebbe {{ incoraggiare la connessione tra i diversi media – compresi quelli audio – per permettere anche agli/alle analfabeti/e di avere accesso alla produzione e alla consultazione di informazione }}. Dov’è questa strategia?”.
Orientato in particolare verso i paesi in via di sviluppo, infatti, il progetto {Wikigender} è ora in cerca di nuovi partner che collaborino al suo mantenimento, alla costruzione di una rete attiva, capace di utilizzare e tenere regolarmente aggiornata la banca dati. La preponderanza di grandi agenzie statali, internazionali o comunitarie tra le fonti d’informazione – la Banca mondiale, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), l’Istituto internazionale di ricerca e formazione per la promozione delle donne (UN-INSTRAW) – non depone a favore dell’innovatività del progetto.
{Wikigender} attende dunque il contributo di quante e quanti vogliano partecipare e l’invito è ufficialmente esteso alle organizzazioni non governative, alle organizzazioni internazionali e agli istituti di ricerca. “{Genre en action} non è stata neppure consultata, sebbene sia un sito di riferimento per il mondo francofono. Il che mi fa pensare che la consultazione non sia stata poi cosi partecipata, né tanto meno orientata verso il ‘Sud’. Insieme ad altre organizzazioni militanti del Nord e del Sud noi disponiamo degli argomenti, dei contatti e dell’esperienza necessaria sul tema dei diritti di genere. Ma le organizzazioni internazionali hanno a volte la tendenza ad appropriarsi del lavoro volontario delle militanti in cambio di una vetrina attraente. Noi siamo interessate a collaborare, però ciascuna/o di noi deve poterci trovare un senso”.
{{Quanto alla traduzione dei dati e delle informazioni raccolte in azioni e politiche realistiche di sviluppo, il progetto dell’OCSE è atteso al varco}}: “Quando penso alle difficoltà del {Comité d’aide au développement} (Comitato di aiuto allo sviluppo, la più importante istanza dell’OCSE incaricata della cooperazione con i paesi in via di sviluppo, {ndr.}) a far applicare il punto di vista di genere nei paesi membri (la Francia in tal senso fa scuola!) mi domando quale sarà il ruolo di questo wiki…” conclude Claudy Vouhé.
La struttura stessa della nuova piattaforma, inoltre, marca già la contraddizione con le politiche che intende veicolare: il gruppo di esperti di genere che gestisce la piattaforma si compone infatti di quattro uomini, tutti evidentemente convinti della necessità di fare il bene delle donne.
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